Mentre le prime persone cominciano a sbarcare dalla Sea-Watch 5, ci disponiamo su due file prima della passerella, in modo che ognuno che scenda abbia modo di salutare tutti. Cominciano con le donne incinte, rumorose e allegre. L’equipaggio sembra commosso. Qualcuno piange. Loro mentre scendono, li sgridano, a gesti, e sembrano dire: ma cosa piangete che è andato tutto bene? Non vedete che andiamo a stare bene? Io penso: speriamo che abbiate ragione voi. Poi è il momento dei minori non accompagnati. E qua davvero sembra il primo giorno di scuola, pieno di preoccupazione e attesa. Scrutano lo strano agglomerato di tende, ambulanze, medici, polizia. Uno abbraccia un sacco della spazzatura nero, con dentro tutte le sue cose. Uno ha lo zaino aperto. Mi avvicino e glielo chiudo e mi sembra il gesto più paterno che abbia mai fatto in questa mia vita senza figli. La campanella immaginaria suona e la scuola comincia. Scendono. Ad aspettarli sulla banchina c’è un poliziotto della Scientifica che gli attacca sul petto un numero e gli fa una foto segnaletica. La foto segnaletica ai bambini di sette anni è uno spettacolo incongruo, sbagliato, oltre che difficile per il fotografo, che quelli corrono, scappano. Credo sia privilegio dell’infanzia trovarsi in immagini disturbanti senza saperlo. Le ragazze affrontano l’obiettivo con una grazia diversa: si fanno carine, si mettono in posa e spostano leggermente la testa a ogni scatto, come se il fotografo scegliesse poi quelle venute meglio. Le donne somale scendono tutte insieme, indossano dei piumini invernali col collo di pelo sintetico. Mi hanno spiegato che accade spesso: quando partono si portano dietro tutte le loro cose e, non potendo avere bagagli, se le tengono addosso. Però a vederle così, mentre io in maglietta grondo di sudore e loro non fanno una piega col piumino addosso, mi domando quale congegno di termoregolazione abbiano impiantato. Poi è il momento degli uomini soli, quelli che Piantedosi chiamerebbe aggraziatamente “il carico residuale”. Ma questo lo racconto la prossima volta.
9. Continua