La penetrazione “ucraina” nel territorio russo di Kursk, iniziata con un centinaio di uomini, si è allargata e relativamente approfondita. Ora le fonti occidentali contano circa cinque brigate meccanizzate e corazzate oltre alle forze speciali ucraine in Russia e ogni chilometro da esse occupato o attraversato è considerato un successo definitivo. Anche gli analisti più […]
La penetrazione “ucraina” nel territorio russo di Kursk, iniziata con un centinaio di uomini, si è allargata e relativamente approfondita. Ora le fonti occidentali contano circa cinque brigate meccanizzate e corazzate oltre alle forze speciali ucraine in Russia e ogni chilometro da esse occupato o attraversato è considerato un successo definitivo. Anche gli analisti più scettici sulle capacità militari ucraine tendono a presentare la situazione come un punto di svolta fondamentale per l’intero conflitto mentre i bellicisti nostrani già esultano in vista del crollo russo su tutto il fronte. Lo sviluppo delle operazioni sul terreno suggerisce però alcune considerazioni sia tattiche che strategiche.
1. L’invasione ucraina segna il passaggio dell’iniziativa strategica e del comando delle operazioni dall’Ucraina alla Gran Bretagna, sia come parte della Nato sia come leader del BB (Blocco Baltico o Banda Bassotti ad lib.) di sostegno all’Ucraina. Le forze ucraine sono motivate e addestrate con evidenti segni di rivitalizzazione grazie alla partecipazione di professionisti occidentali, agli ordini precisi e agli obiettivi spregiudicati. Le cautele nei confronti della potenza russa e della sua capacità di escalation sono scomparse. Gli stessi ucraini hanno abbandonato i timori delle ritorsioni russe e, da parte loro, la Nato, l’Europa e la Gran Bretagna non hanno mai tenuto conto dei rischi e dei sacrifici che il conflitto ha comportato e comporta per gli ucraini. Il bullistico whatever it takes coraggiosamente sbandierato si è sempre riferito all’indifferenza per le perdite ucraine e all’accaparramento dei profitti di guerra da parte degli occidentali.
2. La manovra “ucraina” che tendeva a distrarre forze russe dal Donbass di fatto ha favorito la mobilitazione di nuove forze russe che si stanno preparando mentre l’area occupata viene evacuata con l’intento di guadagnare tempo cedendo spazio. La residua capacità di penetrazione delle forze ucraine può portarle ancora avanti per decine di chilometri ma, senza rinforzi alle spalle, man mano che avanzano si allunga il braccio logistico, e le forze tendono a trovarsi in una sacca pericolosa che potrebbe chiudersi non tanto con la resistenza russa sulla fronte ma con la saldatura del fuoco missilistico e aereo sul retro, in territorio ucraino.
3. L’occupazione ucraina non è stabilizzata ed è fluida. La possibilità di costituire comandi militari territoriali ucraini annunciata dal presidente Zelensky per lo svago dei suoi sostenitori è fine a se stessa e può durare finché dura la presenza militare. Da che mondo è mondo l’occupazione militare sottrae risorse alla popolazione, impone regimi che alienano le eventuali simpatie per gli occupanti e impegnano le forze operative in compiti di controllo del territorio distraendole dai fronti di combattimento. Anche l’eventuale trasformazione della breccia in una zona controllata da un contingente internazionale ha probabilità nulla per la prevedibile opposizione russa a un illecito internazionale, e alta probabilità di rappresentare una aperta provocazione militare.
4. La manovra di Kursk si basa sulla scommessa occidentale che la Russia non impieghi armi nucleari tattiche. Senz’altro non lo farà sul proprio territorio anche se occupato e anche se gli stessi falchi russi stanno premendo per una mattanza che colpisca le forze d’invasione. Ma può farlo sul territorio ucraino e proprio in corrispondenza della cerniera di chiusura della penetrazione. Facile prevedere gli effetti devastanti di qualcosa che si esclude a priori.
5. L’operazione in corso, che alimenta i sogni dell’inizio della fine della Russia, può svilupparsi in senso contrario proprio grazie al cinismo della direzione occidentale delle operazioni. Lo scopo ucraino e britannico più razionale e probabile dell’operazione è quello di coinvolgere la Nato nella guerra diretta contro la Russia in territorio russo prima che gli Stati Uniti e altri Paesi, presi da problemi interni e priorità internazionali, stacchino la spina al respiratore artificiale che tiene in vita l’Ucraina. Sarebbe una guerra aperta Ovest-Est disastrosa per tutti, sia che preveda operazioni prolungate sia, peggio ancora, che inneschi lo scontro nucleare. Tuttavia il cinismo occidentale che guida l’operazione di Kursk autorizza a considerare lo scopo strategico di affrettare la fine del conflitto sacrificando le ultime forze ucraine, contrattando lo scambio di territori e inglobando ciò che resterebbe dell’Ucraina nella Nato e nell’Unione europea. Si aprirebbe la nuova Guerra fredda che molti vagheggiano con i suoi nuovi schieramenti di missili in Europa, i grandi affari della nuova corsa agli armamenti e della ricostruzione dei territori devastati dalla guerra e i “vantaggi” della nuova cortina di ferro: questa volta sul Dnepr, spaccando in due o in quattro Kiev.