Niente più camioncini in giro all’alba per Milano a raccogliere lavoratori, il caporalato nel settore dell’edilizia cambia volto, e si aggiorna alla contemporaneità. E così tutto si fa più liquido, meno visibile e rischioso. Già perché oggi il caporale 4.0 usa il telefonino come una volta si usavano i furgoni. È con lo smartphone che tutto si fa. Gli operai vengono reclutati attraverso chat Whatsapp e Telegram o su profili Facebook ad hoc. Un fenomeno nuovo intercettato da qualche anno e denunciato ieri da Alem Gracic, segretario generale della Filca Cisl di Milano. Un fenomeno in netta crescita visto che ad oggi già il 60% dei manovali viene agganciato con questo nuovo sistema. Soprattutto a Milano, città che nel bene e nel male sta vivendo da tempo un nuovo boom edilizio che trae benzina anche dai fondi del Pnrr.
Vittime di questa nuova realtà criminale sono soprattutto i lavoratori immigrati, di questi circa il 70% è di origine egiziana. Nessuno, spiega Gracic, conosce la lingua e le regole democratiche che in Italia tutelano i lavoratori. Sono come fantasmi, spesso appena arrivati nel nostro Paese e che vivono ai margini in quartieri ad alta densità araba, come quelli delle case popolari di San Siro e di via Padova. Molti poi arrivano dalla stessa tribù o dallo stesso paese. Un dato non di poco conto, molto utile al nuovo caporale e che, lo vedremo, pone l’operaio straniero sotto un doppio ricatto: quello del caporale e quello della sua stessa famiglia.
La filiera che porta a questo nuovo fenomeno passa, ad esempio, da una agenzia immobiliare che ha in tasca un terreno sul quale vuole costruire un palazzo. Questo il punto di partenza, a cui segue l’affidamento dei lavori a una ditta appaltante che quasi sempre dispone dei mezzi per operare, ma non dei manovali. Entra così in campo il complesso risiko dei subappalti. In molti casi, però, le srl subappaltanti non sono vere società edili ma puri e semplici contenitori di manodopera. Ed è da qui che arriva il caporale. Spesso è un lavoratore o un ex lavoratore che ha un ruolo direttivo occulto, visto che quasi sempre queste società sono intestate a ignari prestanome.
Che succede a questo punto? Il caporale ha in mano il telefono con la sua rubrica. Più ampia è la lista di contatti più alto sarà il valore di quel telefono. Un po’ come avviene per le piazze di spaccio digitali con i nomi dei clienti raccolti sulle memorie di vecchi Samsung il cui valore può arrivare, come testimoniano recenti inchieste della Procura di Milano, fino a mezzo milione. Una cosa simile, spiega il segretario generale della Filca milanese, avviene nel settore dell’edilizia. Per incrementarlo, poi, c’è il passaparola. Basta semplicemente frequentare l’esterno delle moschee o di luoghi religiosi dopo la preghiera del venerdì, far girare la voce e il gioco è fatto: i contatti arrivano come uno tsunami. Da qui in poi il caporale non deve fare altro che attendere la richiesta del committente. L’elemento del legame tribale o la provenienza dallo stesso territorio o dalla stessa città, come si accennava prima, è decisivo affinché il caporale possa avere la matematica certezza di riprendersi parte dello stipendio. E qui l’aguzzino digitale gioca su almeno tre tavoli. Il primo è quello del committente il quale, ovviamente, vuole che tutto risulti in regola. Come questo avvenga e come il subappaltatore trovi i documenti poco importa. Molto spesso, spiega Gracic, è solo una facciata. Tradotto: quello che appare non è reale. Il reale sta dietro nel rapporto tra operai e caporale, il quale in parte paga lo stipendio in busta e in parte in nero. Chiuso il mese di lavoro, all’operaio viene chiesto di restituire fino a 500 euro con le più svariate scuse: “Hai ricevuto troppo, restituisci la differenza; non avevi diritto a quel premio, riportalo al padrone”.
E la maggior parte di questi operai, racconta un operatore sindacale, è facile preda: “Alcuni devono ripagare i debiti del viaggio per essere arrivati in Italia; altri non parlano la lingua; e quasi nessuno conosce i propri diritti. Vogliono solo essere pagati”. Se l’operaio fa parte di un gruppo familiare allargato e se protesta, allora il caporale in stile para-mafioso fa girare in quella comunità, tra amici e parenti, la voce che il lavoratore non è affidabile. Per farlo si rivolge ai rappresentanti della comunità. Eccolo allora il primo ricatto che silenzia sul nascere l’ipotesi di una denuncia. Non solo, il ricatto si fa doppio perché sarà la stessa comunità a isolare il lavoratore. Risultato matematico: nessuno si ribella. E naturalmente, così come già emerso dalle indagini della Procura di Milano sulla intermediazioni di manodopera nel settore della grande distribuzione, grande colpa di tutto questo sta a monte, ovvero nelle società committenti che lasciano tutta la gestione ai subappaltatori. L’obiettivo, dice Gracic, “non è solo abbassare il costo del lavoro, ma evitare le rogne della gestione diretta: dove trovare i lavoratori, come formarli, in che modo amministrarli nei cantieri. Un gioco al ribasso, che lascia nelle mani di pochi il destino di molti”.