Ogni buon meloniano non perde occasione per celebrare il record dei dati sull’occupazione che certifica l’Istat mese dopo mese. Andrebbe, invece, fatto notare che non c’è nulla da festeggiare a guardare come è messo il nostro mercato del lavoro. Il tasso di occupazione, benché ai massimi storici, rimane molto basso, il livello di precariato molto alto, i salari fermi al palo, i divari territoriali e di genere restano insostenibili. E, soprattutto, nei prossimi mesi una serie di incognite peseranno sulla tenuta di questa crescita. Vediamo quindi quali sono i dieci problemi che il lavoro si ritroverà davanti a settembre.
1) Ultimi in Europa. Il tasso di occupazione italiano è storicamente molto basso, problema cronico della nostra economia. Questo è l’unico motivo per cui, per dire, è bastato arrivare al 62,2% negli ultimi mesi per battere ogni record, complice il calo demografico. Insomma, parliamo di un record molto semplice da battere. Ecco perché, malgrado i picchi raggiunti, restiamo fanalino di coda in Europa. Infatti, nel 2023 il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni da noi è arrivato al 66,3%, contro una media Ue del 75,4%. E ancora: il record raggiunto nel 2023 riguarda il numero di persone occupate, ma le ore lavorate restano inferiori a quelle del 2006, del 2007 e del 2008.
2) Ruolo delle costruzioni. C’è poi da capire a cosa sia dovuta questa crescita di occupazione. Se guardiamo anche qui ai dati sulle ore lavorate, notiamo che l’industria è in realtà ferma ai livelli pre-Covid: circa 1,9 miliardi di ore nel primo trimestre. In agricoltura si lavora oggi meno di quanto non si facesse prima del Covid. Il sorpasso è garantito solo dai servizi e dalle costruzioni, legati a una serie di misure che le stanno spingendo, dal Pnrr al Superbonus: toccherà verificare che succederà con il graduale esaurirsi di questi effetti.
3) Disoccupati reali. Secondo l’Istat abbiamo 1,9 milioni di disoccupati, con tasso di disoccupazione al 7%. Tuttavia in Italia i disoccupati reali sono molti di più, pari a 4 milioni: gli altri si “nascondono” tra gli inattivi disponibili, persone che non cercano (spesso poiché scoraggiate) ma vorrebbero trovare un impiego.
4) Cassa integrazione. Un aspetto forse sottovalutato è il dato sulla cassa integrazione. Nel 2023, anno del record, le ore autorizzate di ammortizzatori sociali sono state di molto superiori a quelle del 2019. Secondo i dati Inps sono state autorizzate 409 milioni di ore, contro le 260 del 2019. Va ricordato che anche chi è in cassa integrazione è considerato occupato secondo l’Istat, a meno che non sia a zero ore per tre mesi. L’aumento riguarda soprattutto gli operai, legato probabilmente alle difficoltà dell’industria (la produzione è in calo da oltre un anno)
5) Domanda-offerta. Sembrerà strano ai detrattori del Reddito di cittadinanza, ma anche ora che il sussidio è stato abolito le aziende fanno fatica a trovare manodopera. La difficoltà di reperimento ad agosto è pari al 49%, contro il 48% del 2023. Questo non vuol dire che i disoccupati siano fannulloni, ma solo che le maggiori opportunità di lavoro continuano a concentrarsi in zone del Paese con bassi tassi di disoccupazione, quindi in modo diseguale. E, soprattutto, vuol dire che le politiche promesse dal governo Meloni per ridurre il mancato incontro tra la domanda di lavoro e le offerte sul mercato, non stanno funzionando.
6) Morti sul lavoro. Insieme ai posti di lavoro, purtroppo continuano a crescere anche i morti sul lavoro. Una realtà che il governo sta cercando di dissimulare con un nuovo metodo di calcolo: riportando nei bollettini non più il dato in valore assoluto, ma ogni 100 mila occupati. Ma anche con questo escamotage la crescita si nota: nel primo semestre 2024 abbiamo avuto 469 decessi contro i 450 del 2023. In termini di incidenza, si è passati da 1,91 a 1,96 ogni 100 mila. A partire da ottobre, sarà tutto da verificare l’impatto della patente a punti, che i sindacati definiscono troppo morbida.
7) Salari fermi. Dopo un lungo periodo di perdita, negli ultimi tre trimestri i lavoratori hanno recuperato un po’ di potere d’acquisto, grazie al rallentamento dell’inflazione e a una serie di rinnovi contrattuali. Anche qui però si tratta di una magra consolazione, perché abbiamo ancora 4,6 milioni di lavoratori con contratti collettivi scaduti, in attesa di rinnovo (e aumento di stipendio). L’Italia è l’unico Paese Ocse che ha visto un calo delle retribuzioni medie negli ultimi trent’anni, quindi il problema resta cronico e non solo legato all’aumento dei prezzi.
8) Precariato. In un anno i precari si sono ridotti di 260 mila unità, a fronte di una crescita dei dipendenti a tempo indeterminato, ma restano 2,7 milioni. Il tasso di precariato quindi resta alto, al 17,3% del lavoro dipendente. Inoltre, è un dato sottovalutato, poiché in Italia il precariato si nasconde anche nel lavoro autonomo, che da noi ha un livello molto più alto rispetto agli altri Paesi. Insomma, tra i 5 milioni di lavoratori indipendenti ci sono tante finte partite Iva e circa 300 mila collaboratori. Precari sotto mentite spoglie. Ancora: l’Italia ha 2,6 milioni di dipendenti a tempo indeterminato ma part time, con tasso di involontarietà molto più alto della media Ocse. Altro fattore di disagio lavorativo.
9) Divario uomini-donne. Il livello è insostenibile per un Paese moderno: il tasso di occupazione maschile è al 70,4%; quello femminile al 52,7%. Le donne inattive per motivi famigliari sono 2,7 milioni; 104 mila gli uomini.
10) Divario Sud. Altro livello inaccettabile. Per il Mezzogiorno, il record significa tasso di occupazione al 49,1%, raggiunto nel quarto trimestre del 2023. Il record al Nord, invece, è stato raggiunto nello stesso periodo ed è stato pari al 69,9%.