“Mi resta solo un dente e cerco di riavvitarlo”. E’ questo il titolo dello spettacolo di Elio e le storie tese che andrà in scena sabato sera alla Casa del Jazz, nell’ambito della festa del Fatto Quotidiano. Ci sono ancora alcuni biglietti disponibili, acquistali QUI in prevendita. Appuntamento con Elio e la band il 7 settembre alle 21.30 sul palco del Fatto!
Ecco l’intervista di Stefano Mannucci.
“Non avevo l’amplificatore per la chitarra. Infilai il jack nella spia delle luci”.
Il primo concerto, miliardi di anni fa.
Della band c’ero solo io, più due amici prestanomi. Il pezzo di debutto della nostra leggenda fu Elio. Eravamo a Milano, via Mar Jonio, al Caf.
Consulenze fiscali? Craxi-Andreotti-Forlani?
Comitato Antifascista. Zero pubblico. Solo nonne che avevano portato i nipotini al parchetto. I nostri fan sono ancora di quelle generazioni decisive. I miei coetanei sono diventati nonni, i bimbi mi conoscono per via di Lol.
Sabato sarete alla Festa del Fatto, alla Casa del Jazz di Roma. Il concerto si intitola Mi resta un solo dente e cerco di riavvitarlo.
Per la prima volta nella carriera degli Elio e le Storie Tese è uno spettacolo scritto. Le canzoni si legano a un filo recitato, non improvvisato, creato con il regista Giorgio Gallione. Una radiografia obliqua del Paese, a modo nostro, dunque cialtrona. Però ci sono costumi e scenografie, roba inedita per noi. Ci serviva per tornare in pista con un brivido nuovo. Avevamo avvertito il pericolo della noia, dell’assuefazione, della prevedibilità. Così abbiamo coinvolto Gallione, che nasce nel giro genovese di Crozza e dei Broncoviz.
Con Gallione ha già omaggiato Jannacci e Gaber.
A ottobre, ultimato il tour con il gruppo, mi rimetterò al tavolo con Giorgio per la prossima avventura da solo: la rilettura del mito del cabaret milanese. Jannacci e Gaber, ma anche Fo, Cochi e Renato, il Derby.
Alla Festa potrebbe coinvolgere Travaglio.
Dopo il promo che abbiamo girato gli ho scritto: “Siamo la nuova coppia comica del cinepanettone”. E Marco: “Ci sto, voglio farlo”.
Di sicuro sul palco sarà con voi Mengoni, il “Supergiovane”.
A 14 anni eravamo compagni di banco allo Scientifico Einstein. Luca già come ora. Dieci chili in meno, qualche capello riccio in più, la voce esattamente uguale e pure l’indole. Non si ferma davanti a niente. Non è un punk, però sfida tutto e tutti, vestito da architetto.
È il vostro Marenco. Lei è mai entrato in uno dei palazzi che ha progettato?
Me ne guardo bene. A Milano, dalle parti di Corso Lodi, spicca un suo edificio bianco, circolare. Noi Elii, per burla, la chiamiamo Mangoni Tower. Inspiegabilmente quel nome è finito su Google Maps.
Mangoni prese una preferenza alle elezioni per il presidente della Repubblica nel 2015.
Poteva diventare un Mattarella Supergiovane. L’avrà votato un nostro fan alla Camera. Siamo come il Fight Club, abbiamo sostenitori bipartisan. L’ho capito meglio all’udienza del Papa per i comici.
In Vaticano.
Fu un susseguirsi di persone che sostenevano di seguirmi sin da bambini. Sacerdoti, funzionari, due guardie svizzere. Senza alabarde.
Potrebbe farsi prete.
Non escludo niente, nella vita.
La reunion l’avete già fatta. Peccato vi siate fatti surclassare dagli Oasis.
Che a me hanno sempre fatto schifo. Godo in silenzio vedendo chi si svena per andarli a vedere.
Potreste sbeffeggiarli con una cover di Wonderwall al contrario.
Tutti coloro che fanno schifo andrebbero oltraggiati. Oasis, Dylan. A Carpi suonammo prima di Patti Smith. L’ultimo bis era Because the Night disintegrata da Mangoni vestito da re, con corona e mantello. Arrivò trafelata la manager di Patti intimandoci di smetterla. Naturalmente non lo facemmo.
Un tour condiviso con i Pooh? Scambiandovi il repertorio.
Questo sì, volentieri.
E travestirsi da Sangiuliano?
Questi personaggi non li vedo come dei Pulcinella. Sono tragici. Come lo era stato Berlusconi. Trent’anni fa ero circondato da gente che mi diceva: “Basta dare la colpa di tutto a Silvio”. Io: “Ma vaffanculo”. Mi avesse almeno fatto ridere con una delle sue barzellette. Invece eccoci qui, con questi al governo anche per i disastri combinati dal Cav.
Perché non tornate a Sanremo con una Terra dei Cachi 2.0?
Non abbiamo più la curiosità di vedere cosa ci sia dietro le quinte dell’Ariston. Con Baudo abbiamo fatto due festival in piena libertà. L’unica fregatura fu nel 2013: dovemmo tenere addosso i costumi da grassoni fino alle 3 di notte. Non potevamo andare a pisciare.
Lei, Elio, sogna l’anonimato.
Ovvio. Non esisto. Al mare entro in una gelateria. Il tizio alla cassa mi fa: “Sa che è uguale sputato al cantante?”. Io: “Me lo dicono tutti. Ho pure la stessa voce”. Esco e mi insegue: “E si chiama pure Stefano!”. “Infatti”, gli ho gridato. “Che coincidenza incredibile!”.