Conobbi per la prima volta di persona Domenico De Masi a novembre 2021. Mimmo in risposta al mio messaggio in cui gli chiedevo dove e a che ora avrebbe preferito incontrarmi, rispose: “Domani. Scelga lei il luogo e l’ora, come avveniva con i duelli dell’Ottocento. Io abito in Corso Vittorio”.
Da quel momento in poi iniziai a frequentarlo con sorprendente assiduità: per circa due anni, quasi sempre il sabato, ci incontravamo a casa sua. Inizialmente senza alcuno scopo se non quello di conoscerci; poi con l’intento di trasformare questi piacevoli “duelli” culturali in un piccolo volume scritto insieme – “il nostro libro” lo chiamava lui – per dare un senso all’attualità che imponeva una riflessione più profonda di quanto non riuscissimo a fare con la nostra rivista indipendente, alla quale pure contribuiva partecipando a quasi tutte le riunioni di redazione e scrivendo articoli.
Ho avuto la fortuna di incontrare De Masi da vicino per soli due anni. Ma intensissimi.
Mimmo mi stava regalando delle preziosissime sessioni private di sociologia che sfociavano, spesso, in delle vere e proprie sedute psico-analitiche sul senso della vita.
Mi faceva accomodare nel suo salotto davanti a un caffè servito con una fetta di ciambellone fatto dalla sua adorata Susi. Alla sua sinistra, affissa al muro, una gigantesca televisione, a destra un grande trumeau con sopra e di fianco fogli, libri, riviste. Si accendeva il sigaro e iniziava a parlare. “Allora, dove eravamo rimasti?”.
Un pomeriggio mi prese per mano, come ogni tanto faceva lui, e mi trascinò, letteralmente, sin fuori il terrazzo davanti il salotto: quei pomeriggi per me – orfano come molti della mia generazione di leader, mentori, pensatori – furono il mio liceo, la mia università e il mio master messi insieme.
Questo signore affabile e affascinante, basso di statura ma altissimo di mente, è stata una delle persone più brillanti, e senz’altro uno fra i sociologi più importanti, che il nostro paese abbia vantato nell’ultimo secolo.
CONVERSAZIONI SUL FUTURO – RIVEDI L’INCONTRO ALLA FESTA DEL FATTO
Colto, forse troppo per scendere a patti con la superficialità dei nostri giorni, ironico e autoironico, sembrava il Nonno di Miracolo nella 34ª strada e invece era aduso andare a colazione con Lula o telefonare all’una di notte a premier, ex premier e ministri per donare loro cultura e istruzione.
Il compito più difficile, alla fine e all’inizio di ciascuna delle nostre sessioni di incontri, fu mettere ordine a questo flusso di coscienza infinito.
Un confronto tra due generazioni con mezzo secolo di differenza. Lui, che ha vissuto a pieno almeno tre società: quella rurale, quella industriale e quella post-industriale. Io, figlio di quella post-industriale e della sua crisi più profonda, nel bel mezzo della transizione verso una nuova epoca: quella del pensiero creativo, che De Masi ha coniato ed elaborato.
Iniziammo col parlare della sua vita personale, dedicando ai primi 18 anni della sua esistenza un intero ciclo dei nostri incontri, e si divertì moltissimo a ripercorrere quelle emozioni come forse non faceva da tempo. Lo studio, la guerra, il rapporto con i suoi cari, le sue amicizie e i suoi “vizi”. Come quella “ossessione” di scrutare e individuare un metodo e l’organizzazione di ciascuna attività sociale in cui si imbattesse.
In questo senso una delle cose che più mi colpirono fu la sua capacità, forse unica, di sapere organizzare il lavoro. Proprio e altrui. Disponeva di un metodo efficace, per molti semplicemente impensabile, studiato e limato negli anni, a partire dal Fordismo. Il metodo è cruciale in qualsiasi ambito, mi aveva spiegato: ti permette di risparmiare tempo, di avere ordine mentale, imparare in fretta, aumentare la produttività. E di estendere quel metodo in larga scala a una serie infinita di attività, compreso il pensiero creativo.
L’aveva acquisito negli studi e nella sua esperienza (cruciale) con l’amico Adriano Olivetti, prima in fabbrica, poi come consulente di vari progetti d’impresa.
Lui guardava e osservava tutto. Attentamente. De-strutturava il metodo e lo analizzava. Talvolta facendolo a pezzi, altre volte elogiandolo e migliorandolo. Il che ovviamente era una sorta di mental crisis breakdown per ciascuno dei suoi interlocutori.
Ciò gli ha permesso di vedere con largo anticipo una serie di fenomeni che, come diceva lui, erano ormai il segno evidente della fine della società post-industriale: lo smart working, lavorare meno e meglio (a parità di salario), l’ozio creativo. Ancora: il Reddito di cittadinanza, o di esistenza, il salario minimo.
Già dal secondo nostro incontro fu necessario stilare una tabella di marcia con i temi da affrontare. Alla fine, fra lezioni e incontri informali avvenuti nel biennio tra dicembre 2021 e maggio 2023, ne uscirono circa 24 ore totali di audio-registrazioni.
Quando, alla tragica notizia della sua prematura scomparsa, iniziai a rileggere gli appunti presi e a riascoltare per una seconda volta quel materiale registrato, fu naturale proporre l’idea di pubblicare un libro basato proprio su quelle nostre conversazioni, mantenendo fede all’impegno e al percorso comune che avevamo intrapreso.
Non è stato affatto facile riuscire a farlo da solo, senza la rilettura e il giudizio di Mimmo. Per questo abbiamo optato per la forma dialogica, preservando la natura di quelle conversazioni e dando la possibilità al lettore di fruire del valore di quegli incontri.
Il risultato, come potrete leggere nel libro, è un dialogo informale ma serrato, rievocativo e introspettivo, in cui Mimmo ripercorre, con aneddoti inediti ed esperienze personali che hanno plasmato il suo pensiero di intellettuale, i capisaldi del suo lavoro di sociologo.
Il senso era, ed è tuttora, quello di affrontare insieme alcuni fra gli argomenti più divisivi del nostro tempo, offrendo una spiegazione, e in alcuni casi una possibilità di soluzione, ai problemi esistenziali dell’uomo nell’età post-industriale. I quali, nonostante le potenzialità introdotte dalla rivoluzione dell’era digitale, rimangono gli stessi dall’inizio dell’Ottocento. Fino ad arrivare, oggi più che mai, al diritto di essere felici. Perché “si vive una volta sola” e “la felicità è una cosa seria”.