Anche l’operaio vuole il figlio dottore: Valditara glielo nega

Di Sottosopra *
13 Settembre 2024

Anche l’operaio vuole il figlio dottore, ma è bene essere chiari: probabilmente non lo avrà. E le chance andranno diminuendo man mano che va a regime la riforma degli istituti tecnico-professionali voluta dal ministro dell’Istruzione e del merito Valditara, che ha il merito – quello sì – di giocare a carte scoperte: la restaurazione sostanziale dell’avviamento professionale è la certificazione del classismo istituzionalizzato.

La prole di medici e professionisti assortiti studierà; gli altri saranno attrezzati per affrontare le richieste del mondo del lavoro: meglio detto, saranno “addestrati”, come ha scritto lo stesso ministero nel testo di legge. Apprezzabile sincerità: “Un sistema di istruzione che dia a ogni giovane gli strumenti per costruirsi, in base alle proprie inclinazioni, un solido futuro. E che al tempo stesso consenta al sistema produttivo di avere le professionalità necessarie per essere competitivo. Ad oggi la metà delle aziende fa fatica a coprire i posti disponibili, un mismatch drammatico tra offerta e domanda di lavoro. Noi ce ne siamo fatti carico”, ha spiegato Valditara, segnalando involontariamente con la quantità di parole rivolta agli uni e alle altre che chi gli interessa convincere non sono certo alunne e alunni, ma le imprese a cui serve manodopera. Ecco, dunque, che queste potranno stipulare contratti con le scuole per attività di “insegnamento e di formazione nonché di addestramento”, per preparare insomma un esercito – è il caso di dirlo – di giovani laboriosi e pronti al sacrificio, come nel miglior spirito patrio. In barba al fatto che molti istituti tecnico-professionali eccellono proprio combinando formazione critica generale e specializzazione tecnica slegata da specifici interessi. C’è, insomma, parecchio di cui preoccuparsi.

Tanto più che le scuole aprono con una carenza del 25% degli insegnanti, almeno 250 mila supplenze da attivare e 20 mila posti vacanti nei posti amministrativi, secondo stime della Cgil. Per non parlare della strutturale e sempiterna mancanza di docenti di sostegno, ulteriormente precarizzati e già in mobilitazione. In compenso, a dispetto del parere negativo del Consiglio di Stato, dovrebbe debuttare in questi giorni il liceo del Made in Italy, che ha registrato nemmeno 2 mila iscritti in tutto il Paese. Ma più degli esiti contano le intenzioni, e ogni mossa del ministro di quella che fu la Pubblica istruzione segnala qual è il nuovo standard: promuovere il privato business. Proprio come fatto con la sanità, diventata grande affare per pochi mentre l’universalità di accesso ai servizi prevista dalla Costituzione viene nei fatti cancellata. L’idea di scuola delineata nella Carta – luogo aperto a tutti, a prescindere dai mezzi, per crescere, sviluppare capacità critica, coltivare aspirazioni – viene infatti seppellita dalle nuove linee guida per l’educazione civica promosse dal dicastero. Oltre a promuovere la “patria”, la formazione dell’identità italiana e l’iniziativa economica privata, Valditara col consueto candore ha cancellato dai programmi il concetto di responsabilità sociale, sostituito con “la responsabilità individuale, in una logica che è moderna e autenticamente liberale”. Difficile, così facendo, spiegare “il tema della libertà, che è uno dei pilastri fondamentali della nostra Costituzione, e del rispetto verso ogni individuo”: perché a garantire quella libertà sostanziale è proprio la responsabilità sociale appena cancellata. Ma questo al ministro sfugge. C’è una sola consolazione: per mandare in porto la riforma mancano i decreti attuativi. Resta un po’ di tempo: andrebbe utilizzato per mobilitarsi in protesta. Chissà se il centrosinistra se ne renderà conto in tempo.

* Per il Forum Disuguaglianza e Diversità

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