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Non solo Ilva: i 10 processi dell’Ambiente svenduto a rischio

L’Italia dei veleni e dell’impunità - Archiviati e prescritti. Eternit, Caffaro, Saras, Eni, Edison: come finiranno le inchieste?

Di Vincenzo Bisbiglia, Nicola Borzi, Davide Milosa, Lucio Musolino, Giuseppe Pietrobelli
15 Settembre 2024

Non c’è solo il caso del processo per il disastro ambientale dell’Ilva a Taranto che rischia di finire con la prescrizione a causa della rimessione, il trasferimento a Potenza deciso in appello dopo 10 anni di udienze e le condanne in primo grado. L’Italia è punteggiata di disastri ambientali che hanno causato migliaia di vittime e sono finiti nelle aule dei tribunali, per sfociare però in archiviazioni, assoluzioni, prescrizioni. Ecco un viaggio dal Nord al Sud nelle inchieste sull’ambiente svenduto.

Eternit.
Nello storico processo per i danni provocati dall’amianto a migliaia di persone, dopo le condanne in primo e in secondo grado a Torino contro l’industriale svizzero Stephan Schmidheiny, proprietario dell’Eternit, il 19 novembre 2014 la Cassazione ha dichiarato prescritto il reato di disastro ambientale della fabbrica di Casale Monferrato (Alessandria) che aveva sedi anche a Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia), Napoli Bagnoli e Siracusa. Le indagini erano iniziate nel 2004, il processo iniziato il 6 aprile 2009 con 2.889 parti civili per altrettante vittime. Restano in piedi altri filoni per omicidi colposi. Per la morte di oltre 170 persone, la Corte di Assise di Novara il 7 giugno 2023 ha condannato Schmidheiny a 12 anni e a indennizzi per oltre 100 milioni. Ma il 10 maggio scorso la Cassazione ha annullato la condanna in appello a 1 anno e 8 mesi di Schmidheiny in uno dei filoni dell’inchiesta Eternit bis di Torino, rinviando gli atti alla Corte d’Appello piemontese.

Caffaro.
Da anni l’azienda chimica Caffaro è considerata tra le maggiori fonti di inquinamento in Lombardia. Eppure a giugno il primo processo con rito abbreviato ha visto tutti assolti nonostante il gup abbia ribadito che la Caffaro inquina e ha inquinato. “Il fatto non sussiste”: il gup di Brescia Andrea Guerrerio ha assolto Marco Cappelletto, commissario straordinario governativo di Caffaro Snia, Alfiero Marinelli, procuratore speciale per la tutela ambientale della stessa azienda, e Roberto Moreni, commissario straordinario del Sito di interesse nazionale Caffaro. I primi due erano accusati di inquinamento doloso, il terzo di inquinamento colposo. Mentre per l’accusa di deposito incontrollato di rifiuti, il giudice ha assolto perché “il fatto non costituisce reato”. Il pm aveva chiesto condanne da 10 mesi a due anni.

Miteni.
È in corso dal 2021 in Corte d’Assise a Vicenza il processo per avvelenamento di acque e disastro ambientale a carico di 15 manager della Miteni di Trissino, di Mitsubishi Corporation e della lussemburghese Icig, che hanno gestito lo stabilimento nel Vicentino considerato responsabile dell’inquinamento della falda del Veneto da Pfas, sostanze perfluoroalcoliche usate nella produzione industriale. Colpita una popolazione di 350 mila persone che per decenni hanno bevuto l’acqua contenente una sostanza non degradabile che provoca gravi scompensi all’organismo. La sentenza è attesa nel 2025.

Solvay.
L’inchiesta per l’inquinamento della multinazionale chimica Solvay a Rosignano Marittimo (Livorno) è stata archiviata dal Gip Mario Profeta il 29 luglio 2023. La denuncia del 2017 di Medicina Democratica indicava l’esposizione di lavoratori, cittadini e ambiente dal 1953 fino al 1978 al cloruro di vinile monomero (Cvm), una sostanza cancerogena. Il 17 novembre 2023 Medicina Democratica si è opposta all’archiviazione e ha chiesto di riaprire l’indagine.

Malagrotta.
Il 5 luglio scorso il Tribunale di Roma ha condannato in primo grado a 6 anni e 4 mesi Manlio Cerroni, patron dell’ex discarica di Malagrotta, alla periferia ovest di Roma, e a 3 anni il suo braccio destro Francesco Rando. Il processo è durato oltre 10 anni. La procura aveva chiesto 17 anni per Cerroni e 11 per Rando, contestando agli imputati di avere avvelenato le falde acquifere utilizzate per l’irrigazione e per l’allevamento di animali e di avere omesso di coprire l’impianto che avrebbe evitato il passaggio del percolato inquinante dalla discarica più vasta d’Europa ai terreni circostanti. “Un’alterazione dell’ecosistema e un’offesa alla pubblica incolumità”, ha detto l’accusa.

Bussi.
A Bussi (Pescara) c’è stata la discarica di veleni più grande d’Europa. Il sito, fondato nel 1901 e passato in mano a Montedison, oggi appartiene a Edison. Nel 2007 il Corpo forestale individuò oltre 185 mila metri cubi di inquinanti come cloroformio, tetracloruro di carbonio, metalli pesanti. Il Consiglio di Stato nel 2020 ha ordinato a Edison di farsi carico della bonifica. Solo a gennaio però il ministero dell’Ambiente ha firmato il contratto per l’intervento da 42 milioni.

Pertusola.
L’unica sentenza che ha certificato il disastro ambientale nell’ex zona industriale di Crotone è del 2012, quando il Tribunale di Milano ha condannato l’Eni a pagare 56 milioni. A distanza di anni, la bonifica dell’area non è ancora partita, con Eni e governo che discutono del luogo dove smaltire i rifiuti degli stabilimenti ex Montedison e Pertusola. Sul fronte penale, nel 2013 la Cassazione ha confermato la decisione del gup e ha messo la parola fine all’inchiesta “Black Mountains”: tutti i 45 indagati sono stati prosciolti per prescrizione. Nessun colpevole mentre un milione di tonnellate di rifiuti sono ancora lì e stanno intossicando quella che, 80 anni fa, doveva diventare la “Torino del Sud”.

Petrolchimico Sud.
Piogge “oleose”, campagne inquinate, aria irrespirabile. Lo chiamano il quadrilatero della morte: Priolo, Augusta, Melilli e Siracusa, dove l’impatto del polo petrolchimico in questi decenni è stato devastante. Nel 2019 la Procura di Siracusa aveva sequestrato i quattro impianti: quello della Versalis (Eni) di Priolo, quello Sasol ad Augusta e i depuratori della Priolo Servizi e della società Industria Acqua Siracusana. Per i pm “gli scarichi incontrollati hanno compromesso mare e aria”.

Raffinerie Eni.
Come ricorda la Corte dei Conti, a febbraio 2012 la Raffineria di Gela, Eni Rewind ed Eni sono stati chiamati in causa da un ricorso dei genitori di almeno 30 bambini nati malformati tra il 1992 e il 2007, per verificare l’esistenza di un rapporto di causalità tra le patologie e l’inquinamento ambientale degli impianti industriali. Due sentenze del tribunale civile di Gela, a maggio 2018 e giugno 2021, hanno negato il rapporto di causa-effetto tra inquinamento e malformazioni e hanno respinto i risarcimenti a due famiglie, che hanno presentato appello a Caltanissetta. L’udienza per le conclusioni è fissata a fine 2024. È in corso un giudizio di primo grado a carico di dirigenti della Raffineria di Gela e di EniMed per disastro innominato, gestione illecita di rifiuti e scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione. Ad Agrigento pende un procedimento penale per un presunto traffico illecito di rifiuti industriali da bonifica di terreni, che si è chiuso con richiesta di archiviazione per l’ad della Raffineria e per la società, mentre restano a giudizio Enimed e il suo ad. Sempre a Gela è al dibattimento un processo per omessa bonifica della falda.

Saras.
Nel 2009 la Procura di Cagliari aprì un fascicolo su ipotesi di disastro ambientale per la presenza di idrocarburi nell’area della raffineria Saras a Sarroch: il fascicolo per l’azienda che fu dei Moratti è ancora aperto. L’11 giugno 2022 c’è stato un blitz della Forestale alla Saras per indagini su ipotesi di disastro ambientale relativo alle fumate nere emesse tra il 2020 e il 2021. Sono state sequestrate alcune aree dello stabilimento e numerosi documenti, sei dirigenti sono stati indagati. A fine settembre dell’anno scorso, il pm Giangiacomo Pilia ha chiesto una nuova proroga delle indagini.

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