Prosciolto “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. È un agente di polizia penitenziaria del carcere minorile di Torino uno dei primi graziati dalla legge Nordio, che ha cancellato dal nostro ordinamento l’abuso d’ufficio. Il pubblico ufficiale, difeso dall’avvocato Enrico Calabrese, era accusato di aver pestato un 18enne marocchino in seguito a disordini nelle celle a ottobre 2023: “Con condotta consistita nel percuotere il detenuto M.B., colpendolo dapprima con una testata al volto e quindi con uno schiaffo violento al viso, ha recato alla vittima un danno ingiusto”, si leggeva nel capo d’imputazione. Senza la querela del ragazzo non è stato possibile procedere per lesioni (perseguibili d’ufficio solo oltre i 40 giorni di prognosi): perciò il pm aveva chiesto il rinvio a giudizio per abuso d’ufficio, valorizzando la violazione di legge commessa dall’agente. Ma dal 25 agosto, giorno di entrata in vigore della riforma voluta dal governo, quella fattispecie non esiste più. Così, nonostante i filmati delle telecamere che inchiodavano l’imputato, all’udienza preliminare di venerdì scorso il gup ha dovuto pronunciare sentenza di non luogo a procedere. E sempre a Torino, ancora in udienza preliminare, il Corriere dà conto di altri due proscioglimenti molto simili dovuti all’abolizione del reato: a beneficiarne sono stati un carabiniere accusato di aver mollato uno schiaffo a un automobilista durante un controllo stradale, e un poliziotto a processo per aver maltrattato un migrante.
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D’altra parte, la formula “il fatto non è più previsto come reato” – che rese celebri le assoluzioni di Silvio Berlusconi nei processi per falso in bilancio – rischia di diventare un mantra nei prossimi mesi. Riaperti gli uffici dopo l’estate, l’intero sistema giudiziario dovrà adattarsi alla novità: i migliaia di pregiudicati per abuso d’ufficio (3.623 sentenze solo dal 1997 al 2022) potranno chiedere la revoca delle condanne, mentre nei procedimenti in corso saranno pm e giudici a dover decidere le mosse a seconda dei casi. Come spiega il professor Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale a Milano, sulla rivista Sistema penale, una delle strade a disposizione per salvare indagini e processi è “modificare l’imputazione o la qualificazione giuridica del fatto, ove riconducibile anche ad altre figure di reato (ad esempio, l’omissione di atti d’ufficio, la turbativa d’asta, la truffa, eccetera)”. Laddove ciò non sia possibile, “ci si potrà chiedere se è possibile sollevare questioni di legittimità costituzionale”: una strada già intrapresa dalla Procura di Reggio Emilia, che nel processo sui presunti affidi illeciti a Bibbiano ha chiesto al Tribunale di portare la legge alla Consulta per violazione di vari principi della Carta, tra cui l’eguaglianza sostanziale e il diritto di azione in giudizio. Un’extrema ratio per non dover chiedere l’assoluzione di vari dipendenti pubblici imputati per condotte piuttosto gravi, come una dirigente dei servizi sociali accusata di aver “finanziato” la sua ex compagna versandole quote di affido superiori a quelle previste dalla legge. Se i giudici reggiani solleveranno la questione, è probabile che molti procedimenti in corso verranno sospesi in attesa della decisione della Corte. Rimandando, almeno in parte, il maxi-colpo di spugna.