In principio pareva solo un flop annunciato. Nella versione originaria, il concordato preventivo biennale tra Agenzia delle Entrate e partite Iva prometteva a chi avesse firmato l’accordo benefici ingiustificati, ma non tali da far prevedere un’adesione di massa. Così, negli ultimi 11 mesi, il terrore di un’accoglienza simile a quella riservata 20 anni fa al concordato versione tremontiana ha innescato la corsa della maggioranza ad arricchirlo di favori e sconti. Fino a trasformare la misura in un’imbarazzante svendita. In extremis sta per arrivare anche la possibilità di sanare a prezzi di saldo il nero fatto negli ultimi sei anni. “Un tentativo pasticciato e probabilmente fuori tempo massimo di rendere più attrattivo uno strumento che è stato mal disegnato”, commenta Alessandro Santoro, ex presidente della commissione del Mef che stima l’evasione fiscale. Di fatto sarà un nuovo condono. Dopo i dodici inseriti nella manovra 2023 (dallo stralcio delle mini cartelle alla rottamazione quater), lo scudo penale per chi prima della sentenza di appello rateizza i debiti col fisco, la riduzione delle sanzioni per chi evade, la cancellazione automatica dopo cinque anni dei debiti finiti a ruolo e non pagati, la sanatoria sugli scontrini non emessi.
La storia inizia due mesi dopo l’insediamento di Giorgia Meloni a Chigi, nel dicembre 2022: il viceministro dell’Economia Maurizio Leo, in audizione sulle linee programmatiche del governo, annuncia l’arrivo di una riforma che tra il resto offrirà a partite Iva e pmi “un accordo preventivo sulle tasse” da pagare nei due anni successivi. Nulla di più potrà esser chiesto nel caso il reddito effettivo risulti superiore a quanto stimato. Obiettivo, oltre alla “semplificazione”, rendere gradualmente virtuose le categorie che oggi stando alle stime ufficiali evadono in media il 67% del dovuto. L’anno dopo viene approvata la delega fiscale e in novembre il governo partorisce la bozza del decreto attuativo sul concordato: l’accesso è consentito agli 1,8 milioni di autonomi che godono della flat tax (esclusi quelli che hanno aperto partita Iva solo nel 2023) e a una parte dei 2,4 milioni sottoposti agli Indici sintetici di affidabilità fiscale, le “pagelle” che hanno sostituito gli studi di settore. Potrà aderire solo quel 44% che raggiunge un voto pari a 8, la sufficienza. Per ingolosire i contribuenti, accanto all’esclusione da alcune tipologie di accertamenti si concede una modica quantità di evasione consentita: chi occulta meno del 30% del dichiarato anche se scoperto non decadrà dal concordato.
Alla maggioranza non basta: i senatori di Lega e Fdi su stimolo dei commercialisti lamentano che il requisito Isa restringe troppo la platea degli interessati. Chiedono di abbassare l’asticella. Il governo ascolta e provvede: il testo che approda in Gazzetta ufficiale a febbraio 2024 apre l’accordo a tutti, compresi autonomi e piccole imprese che il fisco ritiene probabili evasori. Cosa che costringe ad azzerare la previsione di gettito, 1,8 miliardi in base alla prima relazione tecnica, perché chi è interessato al concordato non dovrà preventivamente integrare la dichiarazione dei redditi per arrivare a un punteggio Isa adeguato. Leo tiene il punto solo sul fatto che le Entrate possano proporre un reddito davvero “congruo” e non limitato al 110% di quanto dichiarato l’anno prima, altra richiesta della commissione Finanze di Palazzo Madama guidata da Massimo Garavaglia. A giugno il software di calcolo messo a disposizione dei contribuenti conferma l’obiettivo ambizioso di portare chi aderisce alla piena affidabilità, cioè un punteggio Isa pari a 10. Per chi parte da un’insufficienza il salto è traumatico, decine di migliaia di euro di reddito in più. Ma per ridurre lo choc c’è lo sconto all’ingresso: nel primo anno la proposta sarà dimezzata.
Non basta: a luglio un sondaggio del Sole 24 Ore certifica che l’interesse degli autonomi è sottozero. Il viceministro di Fdi, che va ripetendo di voler tagliare l’Irpef al “ceto medio” usando i proventi della misura, accoglie il nuovo assist arrivato puntuale dalla maggioranza – sempre su suggerimento dei commercialisti, affiancati dalle confederazioni delle imprese del commercio e dell’artigianato – e cambia ancora le regole in corsa. Sulla differenza tra cifra proposta dall’amministrazione e reddito dichiarato non si applicheranno le aliquote Irpef o Ires ma un’imposta sostitutiva di favore: solo il 10% per chi è già ritenuto affidabile e per i forfettari, il 12% per chi ha un punteggio tra 6 e 8, appena sotto la sufficienza, il 15% per chi con tutta probabilità è un evasore. Evidente, e iniquo, il risparmio rispetto all’imposizione che grava su qualsiasi lavoratore dipendente. Ulteriore zuccherino, la scadenza per aderire slitta dal 15 al 31 ottobre. Per quella data gli autonomi con la flat tax, per i quali il concordato vale per il solo 2024, avranno un quadro quasi completo dell’andamento dei propri affari e sottoscriveranno la proposta solo se inferiore al reddito reale: l’unico a perderci sarà lo Stato. Per loro, nelle pieghe del decreto correttivo, c’è anche un’altra cortesia: nonostante in teoria debbano rispettare un tetto di ricavi di 85mila euro oltre il quale tornano nell’Irpef, se “concordano” potranno arrivare a 150mila euro senza che le Entrate possano revocare l’intesa. Anche in questo caso, il capestro è solo per l’erario.
L’ultimo capitolo della questua risale a metà settembre. I dati provvisori sulle adesioni in mano al Mef sono evidentemente poco rassicuranti. Un gruppo di parlamentari di maggioranza presenta un emendamento al decreto Omnibus che mette sul tavolo il rilancio finale: una sanatoria su eventuali redditi evasi tra 2018 e 2023 e non ancora sanati approfittando delle tante chance offerte finora dal governo. Chi accetta il concordato potrà “ravvedersi” pagando un’imposta sostitutiva, anche stavolta del 10, 12 o 15% a seconda dell’affidabilità fiscale, su un imponibile super scontato: dal 5 (per chi ha Isa pari a 10) al 50% (in caso di Isa sotto il 3) della differenza tra dichiarato e nero. Non solo: per il 2020 e 2021, anni pandemici, c’è un’ulteriore riduzione del 30%. Significa cavarsela sborsando una minuscola percentuale delle imposte evase, peraltro con la comoda opzione delle 24 rate mensili. Un condono di cui il viceministro in quota FdI decide di lavarsi le mani annunciando che sull’approvazione “deciderà il Parlamento”. Le votazioni in commissione iniziano lunedì e l’esito è già scritto.
Ma resta da vedere se la mossa in extremis sarà determinante nel convincere gli autonomi ad accettare la proposta del fisco. Perché chi evade e vuol continuare imperterrito non ha molto da temere. La minaccia di inserire chi rifiuta in liste selettive di contribuenti da controllare, ripetuta da Leo negli ultimi giorni, lascia il tempo che trova vista la carenza di risorse dell’amministrazione finanziaria. Tanto meno avrà interesse ad aderire chi è già “congruo” e gode quindi dei benefici previsti ai livelli Isa più alti. Il gioco di sponda tra esecutivo e Parlamento è sfociato in una disperata caccia a un po’ di gettito aggiuntivo che potrebbe non materializzarsi affatto. “Qualcuno nel governo aveva all’inizio davvero pensato il concordato come un mezzo per arrivare gradualmente a un miglioramento della compliance e quindi a una minore evasione”, ricapitola Santoro. “Ma parti della maggioranza hanno voluto farne uno strumento di consenso elettorale, arrivando a questa sbracatura finale. Che comunque sospetto sarà inutile: non prevedo un successo”.
Questo maxi condono è peraltro solo l’ultimo prodotto del fisco meloniano. Nella legge di Bilancio, come detto, sono stati inseriti 12 tra condoni e sanatorie a vantaggio di chi ha evaso. Poco dopo è stato concesso uno scudo penale per chi non ha versato oltre 150 mila euro di ritenute e 250 mila di Iva se rateizza i debiti col fisco prima della sentenza d’appello. Poi è arrivata la riforma fiscale con i suoi decreti attuativi. Quella della riscossione, per esempio, concede rateizzazioni più lunghe a tutti, indipendentemente dall’effettiva “difficoltà”. Dal 2025 basterà dichiarare di non poter saldare tutto il dovuto per ottenere sulla fiducia la possibilità di spalmare il debito su 7 anni, che saliranno gradualmente fino a 9 nel 2029. Dopo 5 anni le cartelle non riscosse vengono di fatto cancellate. La revisione delle sanzioni ha invece ridotto quelle amministrative ed esteso lo scudo penale per gli omessi versamenti a chi rateizza, che non potrà subire sequestri e peraltro non sarà più punibile se tiene per sé meno di 50 mila euro di ritenute e 75 mila di Iva. Dulcis in fundo, è arrivato anche un condono per gli scontrini non emessi.
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