La legge sulla cittadinanza ha 30 anni: è tempo di modificarla

Di Sottosopra*
27 Settembre 2024

Ecosì le firme sono arrivate. Mezzo milione, un’onda cresciuta lentamente e poi gonfiatasi fino a infrangersi sul silenzio della politica: 500 mila persone hanno scelto di dare l’opportunità di una vita migliore a quasi un milione di ragazzi. Qui, a casa nostra, che è anche casa loro. Non basta però: bisogna continuare a firmare – si può fino al 30 settembre – e poi andare a votare per questo referendum abrogativo con lo scopo di cambiare la legge sulla cittadinanza agli stranieri. Ovvero per rendere l’Italia più giusta, più simile al resto d’Europa e anche più giovane e vitale, cosa di cui il Paese ammalato di gerontocrazia e di inverno demografico, ossia dell’inesorabile e insostenibile invecchiamento della popolazione, avrebbe assai bisogno. È lo stesso governo di Giorgia Meloni, d’altronde, a ricordarlo a ogni piè sospinto, augurandosi un grande sforzo popolare per sfornare più bebè bianchi e italiani alla nascita: non una parola invece sulla possibilità di rendere finalmente italiani ragazze e ragazzi che già lo sono a tutti gli effetti, perché qui nati o arrivati da piccoli, cresciuti e scolarizzati.

Minorenni che costituiscono il 10% circa di tutti gli studenti nelle nostre aule, 914.860 all’ultima rilevazione, la cui vita è costretta nel limbo della non appartenenza, spesso segnata da problemi psicologici e pratici – dalle difficoltà scolastiche a quelle di spostamento, inclusa la gita scolastica – per via di una legge scritta nel 1992 e più restrittiva di quella varata nel 1912 da Giovanni Giolitti. Questo il quadro: la norma attualmente in vigore prevede che i maggiorenni stranieri adottati da italiani possano chiedere la cittadinanza dopo cinque anni di residenza, mentre per i non adottati ne servono dieci. Il referendum promosso da Più Europa e da molte associazioni (da Italiani senza cittadinanza, CoNNGI, Dalla parte giusta della storia, Idem Network, Melting Pot Europa, passando per Arci, Oxfam, Libera e lo stesso ForumDD) chiede di cancellare alcune parole dall’articolo 9, equiparando le condizioni: gli stranieri extraeuropei maggiorenni potrebbero diventare cittadini italiani dopo cinque anni di residenza legale nel nostro Paese, e la cittadinanza sarebbe come effetto secondario passata anche ai loro figli. A patto, bene specificarlo in tempi in cui ministri blaterano di “sostituzione etnica”, di rispettare tutte le altre condizioni, dalla conoscenza della lingua alla presentazione di un certificato penale, con la possibilità per lo Stato di rifiutare la richiesta per “comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica”. Per sperare di modificare la norma – che tocca 2,5 milioni di persone – servivano 500 mila firme davanti alla Corte costituzionale, che si pronuncerà sull’ammissibilità del quesito. La politica è stata piuttosto silente, anche a sinistra.

Soprattutto per ragioni di calcolo: se la raccolta firme fosse fallita lo smacco sarebbe stato grande e il danno politico grosso. Ma quello umano sarebbe stato enormemente più grande. Parliamo di persone che chiamiamo stranieri anche se si esprimono in dialetto; a cui neghiamo diritti essenziali e dignità mentre approfittiamo del loro talento e della loro vivacità nello sport, nelle arti, nel sociale; che mortifichiamo con un linguaggio orrendo (“clandestini”, “irregolari”) negando il loro ruolo essenziale nella crescita e per il welfare del Paese. Il referendum è l’occasione per ripristinare giustizia sociale ed è ora che questa venga prima di qualsiasi tatticismo politico. Questo è il potere che danno una firma, e un eventuale voto, per il referendum. L’alternativa è condannare milioni di persone all’oblio: la legge sulla cittadinanza è di 30 anni fa, rischiamo che ne passino altrettanti prima di riaprire il dibattito. Davvero vogliamo essere così cattivi e autolesionisti?

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