Ludovico Imperiale e Pasquale Iurillo tra gli anni 70 e 80 sono stati soci in affari a Castellammare di Stabia, in una concessionaria di automobili Chrysler-Talbot e in altre imprese. Il figlio di Ludovico, Raffaele Imperiale, ha deciso le sorti della faida camorristica di Scampia rifornendo di cocaina e armi gli Scissionisti, ha ricettato due tele di Van Gogh rubate ad Amsterdam e le ha usate e restituite per contrattare e ottenere un forte sconto di pena, e poi è diventato uno dei più potenti narcotrafficanti del mondo. Da condannato latitante, si è seduto a Dubai ai vertici del tavolo di un cartello internazionale capace di movimentare per anni in Europa – tra un clic sul pc e una chat sul criptofonino – quattrocento tonnellate di droga al mese, merce dal valore complessivo di 23 miliardi di euro. Il figlio di Pasquale, Vincenzo, ha avuto Ludovico Imperiale come padrino di battesimo, è andato a lavorare come giornalista di cronaca giudiziaria al Fatto quotidiano, organizza rassegne letterarie improntate ai valori antimafia e firma l’articolo che state leggendo.
Perché questa premessa? Presto detto, e non è un fatto personale. Uno dei pregi del libro Il Narcos. La storia di Raffaele Imperiale (Paperfirst), da oggi in libreria, è nel racconto di Lelluccio bambino e giovane, cresciuto nella Castellammare dove era considerato normale scendere a patti con la camorra. E di come sia sottile il crinale tra chi, pur provenendo da una famiglia facoltosa, si lascia sedurre dal fascino dei clan e decide di intraprendere questa “carriera”, e chi invece resta dalla parte giusta, a costo di fare sacrifici e perdere sostegni familiari.
Daniela De Crescenzo, giornalista di classe purissima, e Tommaso Montanino, l’investigatore che ha seguito per anni le tracce del boss dei Van Gogh, ci hanno descritto le introversioni di Imperiale, il disagio di una infanzia “blindata”, sotto scorta dopo un misterioso tentativo di rapimento. Un ragazzo che vive nell’agio, che potrebbe tranquillamente studiare, tramandare l’azienda edile del padre, e che invece si fa incantare dal male. I camorristi, peraltro, se li era ritrovati in casa. In uno dei suoi verbali da collaboratore di giustizia, che troverete in questo libro, ha spiegato che il padre, presidente della Juve Stabia e costruttore che realizzò a Gragnano un quartiere che ancora porta il suo nome, il “Parco Imperiale”, ospitava nella piscina della loro villa i figli dei boss del clan D’Alessandro e Cesarano, e regalava appartamenti ai loro genitori “per lavorare tranquillo”. Furono i clan locali a suggerire al padre che quel giovane, che intanto aveva iniziato a spacciare sul territorio, era meglio che andasse via da Castellammare perché aveva fatto uno sgarro. Imperiale così raggiunge il fratellastro Sami ad Amsterdam e lo aiuta nella gestione di un coffee shop dove è legale consumare droga leggera. Qui stringerà le relazioni che gli faranno prendere il volo.
Scrive Paolo Siani nella prefazione “che nessun bambino, naturalmente, nasce mafioso” e che “se un ragazzo che vive in una famiglia mafiosa o in un contesto mafioso viene messo nelle condizioni di scegliere, non sceglierà mai la mafia”. E allora, per eradicare la cultura mafiosa che attecchisce anche nelle famiglie “per bene”, bisognerebbe fare come la preside Nora Rizzi. Fu lei – e lo troverete in questo libro – che proprio al rione Imperiale fece intitolare la sua scuola a Giancarlo Siani, e fu la prima scuola in Italia a portare il nome del cronista del Mattino ucciso dai Nuvoletta, impartendo a tutti una lezione di legalità, e sfidando i clan sul loro territorio: quella scuola fu vandalizzata una dozzina di volte, ma il nome di Giancarlo è rimasto.
Il volume si lascia bere come un bicchiere di acqua fresca ad agosto. Ci scorrono i nomi e le malefatte, episodio per episodio del potentissimo cartello con cui Imperiale ha fondato una joint venture della polvere bianca: Rick Van der Bunt, Mink Kok, Martin Meech, Samir Bouyakhrichan, più noto come “Scarface”, Frankie “Pannenkoek” Scharrenberg, Daniel Kinahan, Edin Gacanin Tito, Ridouan Taghi, Richard Eduardo Riquelme Vega. Ci troverete dettagli inediti sulla restituzione dei Van Gogh rubati nel 2002 al museo di Amsterdam, La spiaggia di Scheveningen durante un temporale e Una congregazione lascia la chiesa riformata di Nuenen. I quadri erano stati “avvolti in stracci” dai genitori del narcoboss e conservati nel loro villone di via Schito a Castellammare. I finanzieri che li recuperarono scrissero ai capi: “I bambini sono a casa nostra”. Era il 2016 e il mondo scoprì l’esistenza di Imperiale, fino ad allora sconosciuto al mainstream e poco noto persino nei circuiti criminali. Lelluccio aveva sempre agito nell’ombra ed evitando, per quanto possibile, di sporcarsi le mani in prima persona.
De Crescenzo e Montanino ricordano che quello è l’anno in cui Imperiale, con le casse all’asciutto e con la sua organizzazione devastata dalle inchieste dei pm Vincenza Marra e Maurizio De Marco, si trova davanti a un bivio: tornare in Italia, scontare la sua modesta (allora) pena e provare a rifarsi una vita, o restare a Dubai e ricominciare da capo? Fa una riunione di famiglia e all’unanimità viene scelta la seconda opzione. Così Imperiale riparte grazie a una linea di credito di Richard Riquelme Vega, “il cileno più pericoloso del mondo”, che gli affida 300 kg di cocaina da pagare con comodo: ha un debito di riconoscenza, fu una soffiata di Lelluccio a salvargli la vita.
Gli ultimi anni negli Emirati, Imperiale li vive nel lusso più sfrenato. Compra una tigre per tenersela in salotto. Spende 300 mila euro al mese solo per la sua scuderia di cavalli. Vive in alberghi a otto stelle. Tutti gli vogliono bene. Ai “dipendenti” concede stipendi da 20 mila euro al mese “con la tredicesima e la quattordicesima”, come rivelerà in un verbale pubblicato in anteprima dal sottoscritto su ilfattoquotidiano.it.
Intanto il procuratore di Napoli Giovanni Melillo sta mettendo sul tavolo il peso delle sue relazioni internazionali per apparecchiarne l’espulsione da Dubai e il ritorno in un carcere italiano. È il ministro Marta Cartabia a strappare il risultato. Nel 2022 Imperiale è a Rebibbia. Pochi mesi dopo si pente e inizia a riempire pagine di confessioni. Non può fare altrimenti, Eurojust ha decrittato milioni di criptochat del cartello, la filiera del crimine è tutta nero su bianco con testi, foto, video. Le prove sono schiaccianti. Il narcos di Castellammare ha chiuso l’azienda per sempre.