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Sono ebrei, criticano lo Stato di Israele per quelle che definiscono “politiche di apartheid” contro i palestinesi, il “genocidio” a Gaza e la “pulizia etnica” in West Bank. Si sentono messi in minoranza, al pari delle voci pro-Palestina nelle democrazie europee, schiacciate da quella che ritengono un’estensione abusiva della categoria di antisemitismo il cui vero obiettivo è reprimere il dissenso sociale. “Non siamo così marginali come ci dipingono, da ottobre dell’anno scorso molti ebrei sono scesi in piazza contro la guerra con lo slogan Not in my name”, dice al Fatto Gabi Kaplan, militante del gruppo danese Jews for Just Peace. “Non è facile far passare idee anti-apartheid sui media ed è ancora più difficile per gli ebrei. Il massimo che hanno fatto è parlare di noi per raccontare ‘la comunità ebraica frammentata’. È una delusione, noi vogliamo parlare di Palestina, del fatto che i palestinesi devono avere gli stessi diritti degli altri, ecco perché abbiamo deciso di unirci”.
Giovedì, nel capodanno del 5785° anno ebraico, 18 associazioni di ebrei europei e britannici hanno lanciato, dal Parlamento europeo di Bruxelles, la rete degli European Jews for Palestine (Ejp), guardando al modello della Jewish Voices for Peace negli Stati Uniti. La conferenza è stata patrocinata dai Verdi europei e dalla Left, i gruppi afferiscono generalmente alla galassia della sinistra radicale, rappresentano 13 Paesi europei più Regno Unito e Lussemburgo. C’è il Jewish anti-zionist network, il collettivo ebreo “decoloniale” svizzero Marad e il Jewish Network for Palestine britannico, gli italiani del Laboratorio ebraico antirazzista. Gruppi portoghesi, catalani, olandesi e scandinavi accanto e sigle come la Jewish Bund e la Judische Stimme fur gerchten Fieden in Nahost o la francese Tsedek (“giustizia”) tacciati in patria di antisemitismo.
“Nonostante la brutalità del genocidio inflitto a Gaza, la maggior parte delle organizzazioni ebraiche affermate in Europa continua a sostenere acriticamente lo Stato di Israele, rendendosi complice delle atrocità israeliane – scrive la rete nel suo documento fondativo – Queste organizzazioni europee, come Israele, pretendono di parlare a nome di tutti gli ebrei, ignorando e mettendo a tacere il crescente dissenso all’interno della comunità ebraica”. L’Ejp rifiuta “l’ideologia dello Stato sionista di supremazia ebraica”, rivendica la possibilità di scollegare l’identità ebraica dal sionismo politico, denuncia per questo “la confusione cinica tra antisionismo e antisemitismo” (non senza negare “il pericolo reale e crescente” del secondo) nel dibattito mainstream. “Siamo ebrei antisionisti, contro la politica di apartheid portata avanti dallo Stato di Israele nei confronti dei palestinesi e contro il genocidio in Palestina”, chiarisce Gabi Kaplan, che è poravoce della Ejp. La rete chiede “uguali diritti per tutti nella Palestina storica, dal fiume al mare”. La prima battaglia concreta è quella per lo stop all’invio di armi occidentali a Israele: “Le atrocità perpetrate dallo stato ebraico sono commesse con la complicità degli Stati Uniti e dell’Unione europea”, continua Kaplan. Interrogata sulle atrocità di Hamas e del 7 ottobre, la giovane militante cita le parole del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres: “La morte di così tanti civili ci rattrista. Ma il 7 ottobre non è venuto dal nulla, per decenni Israele ha imposto un regime di oppressione e occupazione del popolo palestinese, era ovvio che qualcosa sarebbe successo”.