Chi ricorda o ha mai sentito parlare di Nunzio Gallo? Era vanto e gloria della musica leggera napoletana di un tempo. Melodico, con quello che voleva dire l’aggettivo negli anni cinquanta-sessanta. Bella e giovane (non giovanissima) presenza, piaceva molto alle signore di una certa età. Anche se la sua canzone più famosa era dedicata a una adolescente. Che veniva così consolata: “Sedici anni, non devi pianger mai così, è l’età del sorriso…”.
Chissà per quale diavolo di associazione mentale mi è venuto d’improvviso in mente proprio lui alla fine di uno sfogo che ho ricevuto da una signora su tutt’altra materia. La scuola, lo stato della scuola italiana. Soprattutto in certi indirizzi, soprattutto in certe città, soprattutto in certi istituti. La signora, di buona cultura ma non benpensante, era ancora scioccata dopo avere parlato a lungo con una professoressa di una scuola professionale marchigiana. Che le aveva rappresentato le condizioni effettive del suo istituto, del contesto umano e professionale in cui è costretta a svolgere il suo lavoro.
Un lavoro che le piace da morire, sia chiaro; ma che deve praticare in un ambiente che davvero la potrebbe far morire. Di infarto però. Classi anarchiche e che potrebbe domare solo un insegnante capace di incutere timore fisico nei maschi. Classi dove assenze e presenze effettive sono un optional e così pure il rispetto più elementare per l’insegnante, soprattutto se è donna. Così la nostra professoressa, bersaglio anche di un lancio del banco, non solo è stata costretta a chiedere a un alunno di chiudere il cellulare in aula, ma per risposta si è dovuta subire una decina-dozzina di bestemmie ben urlate in faccia a tu per tu. Una canea senza fine. Perché pare che in quella classe, in quella scuola, la bestemmia urlata vada molto di moda, senza troppe differenze di genere (“sedici anni, non devi pianger mai così….”).
Voi mi direte che esistono comunque dei presidi, delle gerarchie che dovrebbero intervenire e sanzionare duramente. Anzi, che il ministro Valditara ha introdotto regole stringenti (“Come, non lo sai?”) per impedire che la nostra scuola pubblica assomigli a un trivio più che a un luogo di istruzione/educazione per le nuove generazioni.
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Ecco, vi sbagliate. In questa scuola ognuno è di fatto autorizzato a fare quel che gli pare. Chiedete misure punitive? Vi ingegnate a spiegare che nessun ragazzo cresce ricevendo solo premi e sguardi carezzevoli? State allora a sentire. La prof assalita e umiliata ha convocato la mamma del giovane tanghero e le ha riferito le prodezze del figlio. La madre anziché arrossire nelle profondità del suo ego e sentire il bisogno di provare a riscattare sé e la sua famiglia agli occhi della prof, le ha risposto strafottente che il ragazzo va capito e che l’importante è che non bestemmi in chiesa quando ci vanno insieme la domenica. Mi sono domandato se avrebbe risposto così a un datore di lavoro, che so, un gelataio, un negoziante, che l’avesse convocata per annunciarle il rischio di licenziamento del pupillo. No, perché chi ti assume il figlio merita rispetto mentre chi faticosamente te lo istruisce e te lo educa neanche per idea.
Sapete che penso? Che quando ero in parlamento votai con slancio la norma che alzava l’età dell’obbligo a sedici anni. Immaginando di dare più opportunità ci crescita civile ai ragazzi meno abbienti compresi tra i 14 e i 16. Non certo di generare un’area franca anagrafica destinata a fare da grande bacino di una prepotenza impunita. Se così stanno le cose, meglio il lavoro. La povertà educativa non dipende dal grado di istruzione formale, ma esattamente da quel che si impara concretamente a fare e pensare. Da come si sta fra gli altri, dal senso della cultura, dalla fatica che si è disposti a fare per meritare il rispetto della società. I ragazzi contadini di don Milani lo sapevano. Anche perché il “don” certe madri le avrebbe fatte correre.