Inviato a Montecchio (RE) La perizia sul dipinto è netta, la confessione del falsario piena. A inchiodare Sgarbi al quadro rubato c’è pure la “pistola fumante”: un tubetto di tempera a olio white cremnitz da 250 ml acquistato nello storico colorificio “Poggi” in via del Gesù, a due passi dal Collegio Romano dove Vittorio Sgarbi faceva il sottosegretario di Stato alla Cultura. Carbonato di piombo e olio di lino, marca Michael Harding. Allo scaffale costa 79,20 euro. A Sgarbi può costare da 4 a 12 anni di carcere. Il 3 ottobre scorso, la Procura di Macerata ha chiuso l’indagine sull’affaire Manetti, inchiesta giornalistica del Fatto Quotidiano e Report – che ci tornerà con un servizio in onda domenica prossima – poi diventata giudiziaria. L’ex sottosegretario di Stato giurava di aver trovato il dipinto così com’era nella soffitta della sua villa in provincia di Viterbo. Ora è imputato per riciclaggio, autoriciclaggio e contraffazione di opere d’arte e rischia per questo una condanna pesante.
“La torcia nell’originale non c’era, fu lui a chiedermi di aggiungerla”, ammette il pittore-falsario, che i carabinieri del reparto operativo Tutela Patrimonio hanno rintracciato, col suo bel tubetto bianco, in una dimora di gran pregio a Montecchio dell’Emilia, cuore della Val d’Enza. Citofonare, Pasquale Frongia.
In arte Lino, 66 anni, grande amico di Sgarbi, Frongia in Italia è poco noto ma in Europa è una vera celebrità, suo malgrado: pittore eccezionale, ma anche copista di fama internazionale, nel 2019 e ancora nel 2023 è stato raggiunto da un mandato di cattura europeo su ordine del Tribunale di Parigi. Mandato cui l’Italia per due volte si è opposta. Nel 2024, però, Lino Frongia torna davanti ai magistrati italiani per il Manetti. Gli inquirenti arrivano a lui seguendo le tracce dei reporter sulla tela rubata nel 2013 da un castello di Buriasco, in provincia di Torino, ma riapparsa del tutto identica nove anni dopo a Lucca, nella mostra “I pittori della luce” curata proprio da Vittorio Sgarbi, come opera di sua proprietà. Identica, salvo il dettaglio di una torcia in alto a sinistra. Sequestrata a gennaio a casa di Sgarbi, la tela è stata sottoposta agli esperti dell’Istituto Centrale per il Restauro.
E la perizia cosa dice? “Per materiali costitutivi, tecnica esecutiva e morfologica del degrado, il dipinto coincide con i frammenti consegnati dalla signora Buzio e si ritiene, pertanto, sia lo stesso provento di furto e oggetto di denuncia il 14 febbraio 2013”. E quello rinvenuto dai “depensanti” giornalisti, come ci hai definiti in pubblico, nella cornice? “In base a quanto rilevato, è possibile affermare che il frammento trapezoidale appartiene al dipinto raffigurante La cattura di San Pietro sottoposto a sequestro”.
Sgarbi potrà chiedere di essere sentito, presentare memorie e controperizie, ma quella redatta dalla consulente della Procura Barbara Lavorini appare granitica, tra rilievi fotogrammometrici, analisi biologica delle fibre, radiografie e sezioni multispettrali: “Per quanto concerne eventuali modifiche o aggiunte all’impianto pittorico originario – recita il documento tecnico – è stato possibile dimostrare che nella parte superiore sinistra del dipinto sono stati realizzati con pigmenti di produzione industriale nuovi elementi: la fiaccola accesa, il chiarore intorno a essa e le stesure che definiscono il contorno della colonna”.
Da qui le accuse di contraffazione di opere d’arte, riciclaggio derivante dal tentativo di nascondere la provenienza delittuosa del bene e autoriciclaggio, per aver esposto una copia commissionata agli ignari titolari della G-Lab di Correggio “a fine speculativo” poi esposta al posto dell’originale per attenuare la vistosità delle modifiche pittoriche e aumentare il valore della tela.
“Le misure sono diverse!”, ripeteva Sgarbi, ma mica tanto: tagliando la tela dall’interno della cornice ha perso 5 cm. “Il confronto tra quelle del dipinto di Sgarbi e quelle interne dei bordi recisi portano a ritenere che il supporto del dipinto sottoposto a sequestro sia la parte mancante di quello reciso, ancora vincolato al telaio”. Le sue condizioni sono compatibili con le foto che la mostravano arrotolata “come un tappeto” il giorno in cui fu consegnata a un casello autostradale al restauratore: “La radiografia – conclude la perizia – ha messo in evidenza una serie di danni di minore entità che si ritiene siano stati originati da un improprio maneggiamento della tela arrotolata”. Ci sarebbero forse gli estremi del danneggiamento, se non bastasse lo sfregio di una candela messa lì, mai esistita nella mente del Caravaggesco.
La posizione di Frongia, non indagato, è al vaglio degli inquirenti, gli autori del furto la faranno franca perché il reato è prescritto. In bilico quelle dei tanti – trasportatori, espositori, curatori etc – che a vario titolo hanno concorso a tutto questo. Le loro posizioni potrebbero essere trasmesse alle procure di competenza.
Per Sgarbi, invece, la chiusura indagini segna la fine dei giochi, delle balle e forse delle intemerate contro i giornalisti: “L’ho trovato così il quadro – ci urlava – dovete fare l’analisi del vostro buco del culo e troverete la merda che avete, mettetevela in bocca. Capre!”. Poche le opzioni che ha di fronte: confessare e patteggiare per avere una riduzione di pena, o affrontare un processo che si preannuncia lungo e in salita per lui. Al Fatto risulta che il suo legale, Giampaolo Cicconi (che, pur cercato, non ha risposto), abbia già preso contatto con quello della proprietaria del dipinto, l’anziana signora Margherita Buzio che a fronte di un risarcimento congruo potrebbe ritirare la sua costituzione di parte civile, alleggerendo così la posizione di Sgarbi sul fronte penale. Il ministero non si è costituito parte civile. Il sequestro potrebbe diventare confisca facendolo così rientrare nel patrimonio dello Stato. Con la sua candela a sfregio, e come monito a futura memoria.
* Ha collaborato Manuele Bonaccorsi