Nuovo disco

“Un’overdose…” di cover: Zucchero, disco tra duetti e ricordi

Discover II - “Le birre con Crowe, il registratore di Miles e la stima di Bono. Spero”

8 Novembre 2024

“Mi erano rimaste sul gozzo alcune canzoni, dopo Discover. Volevo inciderle a tutti i costi, perché le amo troppo. E così ho deciso di fare Discover II”. Esce oggi il nuovo disco di cover di Zucchero, tredici brani (diciotto nella versione deluxe) che spaziano da U2 a Bob Dylan, da Ivan Graziani a Marvin Gaye. Discover II, opera riuscita e in molti episodi sorprendente, è nato durante il trionfale tour mondiale Overdose d’amore (che a giugno 2025 toccherà di nuovo l’Italia). “Per fare un disco di inediti mi servirebbe stare a casa un anno di fila senza muovermi. Le cover non sono facili, ma almeno la materia prima c’è già. È un lavoro meno gravoso”.

La spinta qual è stata?

Cercare di personalizzare brani che amo. Divertirmi. E poi rischiare. Per rifare gli U2 o Knockin’ on Heaven’s Door un po’ di coraggio serve. Il capolavoro di Dylan me lo sono immaginato come un western di Morricone, con le campane a morto e un senso di sfida all’Ok Corral.

Bono cosa ha detto della versione di With Or Without You?

(ride) Nulla, perché non lo sa. Mica gliel’ho detto! Dalla mia ho la sua stima e il fatto che ami la mia voce, ma non è detto che basti. Stai sicuro che, se non gli piace, me lo dice subito, sottolineando che avrei potuto fare molto meglio.

Hai anche tradotto un brano dei Killers e uno dei Bleachers.

Per due motivi diversi. Quando ho realizzato My Own Soul’s Warning dei The Killers, mi sono reso conto che il testo originale non ci stava più bene. Ogni musica nasce in sé già con un suo testo, è “pretestuale”, per questo ci ho scritto sopra “Amor che muovi il sole”. Invece Una come te, che nasce da Chinatown dei Bleachers, mi ha permesso di toccare il tema del branco e della ferocia gratuita.

C’è anche Agnese di Ivan Graziani, uno degli artisti italiani più geniali e sottovalutati.

Totalmente d’accordo. Graziani è quello che più si avvicina al rock: sempre con la chitarra in mano, un suono poco italiano e molto anglosassone. Più rocker che cantautore. Formazione scarna: voce, chitarra, basso e batteria. Lui è il più rock degli italiani.

Più di tutti?

Sì, più di tutti. Nella sua essenzialità è il più rock. E poi in Agnese mi ci rivedo, parla della provincia da cui provengo. Un brano che volevo omaggiare a tutti i costi, come pure Acquarello di De Moraes e Toquinho.

Nel disco c’è anche Russell Crowe.

Abbiamo cantato Just Breathe dei Pearl Jam. L’ho conosciuto nel febbraio 2023 dopo una mia data a Sydney. Poi sono andato a vederlo quest’estate a La Spezia. Dopo il concerto ci siamo bevuti parecchia Guinness (lui ne è innamorato) e lì è nata l’idea.

Sei l’artista italiano con più collaborazioni e amici famosi.

(sorride) Forse mi aiuta il fatto che, quando mi avvicino a loro, mi presento come fan e non come collega. Il loro promoter mi fa entrare, magari gli dice “Lui è Zucchero, uno bravo”. Loro magari all’inizio non sanno nulla, però quando ci conosciamo scatta sempre qualcosa: è la chimica, e mi è sempre venuta naturale. A quel punto si incuriosiscono, vanno ad ascoltare qualcosa di mio, e se gli sono piaciuto mi ricercano.

La collaborazione più difficile?

Forse Miles Davis. Aveva ascoltato Dune mosse mentre mangiava a Viareggio e chiese al suo promoter, Mimmo D’Alessandro, di conoscermi. Si presentò con cappello nero e vestito nero, faceva paura. Io attaccai il brano e lui mi ghiacciò: “Stai sbagliando la chiave”. Provai a fargli notare che il brano era mio e quindi non potevo aver sbagliato la chiave, ma lui niente. Mezz’ora di gelo. Poi gli dissi che forse aveva ascoltato il brano con un registratore con le batterie scariche, e in quei casi poteva capitare che si abbassasse la tonalità. Lui ci pensò su e mi concesse un “Maybe”. Come a dire: “Forse hai ragione”. E mi salvai.

Perché in Oro incenso e birra non usasti la versione di Madre dolcissima con il mitico Stevie Ray Vaughan?

Memphis Ardent Studios, 1989. Nella sala A c’ero io, nella B Stevie. Lo conoscevo solo di nome, ma il mio produttore dell’epoca e chitarrista Corrado Rustici lo adorava. Mi disse di andare a salutarlo. Fu gentilissimo e accettò subito di suonare l’assolo di Madre dolcissima. Un fenomeno. Poi non usammo nel disco quella versione, perché Corrado aveva già fatto l’assolo e Stevie era arrivato “secondo”, ma sicuramente sbagliammo. Diciamo che Rustici è molto bravo, ma ha anche un ego smisurato. Non appena ho potuto fare una ristampa del disco, mi sono battuto per pubblicare subito la versione con Stevie.

Hai più volte criticato l’uso dell’autotune.

È una malattia che spero scemerà naturalmente. Puoi usarlo su disco, ma live proprio no. L’autotune è come andare a pescare con le bombe: troppo facile. Se non sai cantare dal vivo, limitati ai dischi e non fare concerti.

A te è riuscito avere successo all’estero. A Battisti, Guccini e De André no.

Tempi e stili diversi. A parte Battisti, che doveva avere più fortuna all’estero, De André e Guccini hanno sempre puntato tutto sui testi. Se non capisci le loro parole, come fai ad apprezzarli appieno? Io faccio un genere diverso, e pur cantando in italiano il pubblico straniero risponde bene. L’unico cantautore puro che può essere internazionale è Paolo Conte, che infatti fa una musica “anomala” per noi italiani. E comunque qualche settimana fa ho riascoltato in Austria Creuza de mà di De André: capolavoro totale, se lo avesse fatto un americano gLi avrebbero dato di sicuro il Grammy della world music.

Negli Stati Uniti ha vinto Trump.

Non me lo sarei mai immaginato, anche se in effetti – ogni volta che chiedevo a un tassista americano chi avrebbe votato – mi rispondeva Trump. Pessima notizia: ne vedremo delle belle.

Da noi Vasco è stato massacrato per aver detto che, con la Meloni, son tornati i fascisti.

È allucinante che lo abbiano attaccato così tanto. Gli hanno detto “Pensa a cantare”, come mio padre quando mi diceva “Mangia e taci”. Il mio vento tira ancora a sinistra, però mi spiace che all’opposizione non ci sia nessuno carismatico in grado di piacermi fino in fondo. Mi salvo giusto quando sento te e Travaglio. E forse pochi altri.

Non esageriamo. Però non ho capito: la Meloni ti fa paura come Vasco e Guccini o la trovi “solo” una politica lontana da te come Ligabue?

La seconda. È un governo brutto, che non mi rappresenta e non fa nulla per la cultura. Non ne posso più di ministri che fanno conferenze stampa trionfali solo dopo il ritrovamento di due fibbie a Pompei. Okay, va bene, ma lo sanno che esistono altre forme d’arte? Lo sanno che esiste anche la musica?

Devi scegliere un brano italiano da proporre in inglese agli americani. Spara.

Questa è facile: Dio è morto di Guccini. Sarebbe fantastico. Pensa cantare “God Is Dead” agli elettori di Trump. Come minimo mi lapiderebbero, come accadde alla povera Sinead O’ Connor quando strappò la foto del Papa…

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