Il Fatto Quotidiano al fianco di Msf: ecco come donare
Beirut è una città piena di ricordi per me. Ho vissuto e lavorato qui molte volte negli anni passati e la mia memoria è profondamente legata alle sue strade e alla sua gente. Oggi questi ricordi sono offuscati dalla sofferenza della popolazione. La guerra ha stravolto la quotidianità, trasformando le scuole in rifugi per le famiglie sfollate. Le aule, un tempo vivaci, ora ospitano bambini e genitori che lottano contro il freddo e il peso dell’incertezza.
Ogni giorno visito questi rifugi con i team di Msf, Medici Senza Frontiere, per offrire l’aiuto che possiamo. Nell’ultimo mese, tra le varie attività, abbiamo fornito più di 8.200 visite mediche, assistito oltre ottomila persone con sessioni di salute mentale, distribuito 11 mila kit igienici e 79 mila litri di acqua potabile.
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Ma le persone che incontriamo condividono una richiesta comune: non vogliono solo aiuti, vogliono tornare a una vita di pace. Sognano una casa dove i loro figli possano essere al sicuro, lontano dalla paura costante. Alcune settimane fa ho rincontrato un amico la cui vita è andata in frantumi e si è ritrovato a dormire per strada con sua moglie e sua madre senza un posto dove andare. È stato un ricordo doloroso del mio viaggio dalla Siria nel 2014, quando ho attraversato la Turchia nascosto solo dal buio, alla disperata ricerca di sicurezza. Ho trascorso mesi spostandomi tra diversi rifugi in Turchia e nel Kurdistan iracheno, senza mai sapere dove avrei trovato rifugio.
Sono diventato un medico perché credevo nella possibilità di curare e salvare vite umane. Ma dopo più di 10 anni di interventi in situazioni di crisi, ho visto vite rompersi e impossibili da recuperare come non avrei mai immaginato. Ho lavorato in molti conflitti ed emergenze tra cui Siria, Sud Sudan, Ucraina, Iraq, Etiopia, Sudan e Libano. Ogni missione, ogni nuova crisi, è diventata un capitolo di una lunga storia di resilienza in mezzo a un dolore insopportabile.
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Eppure, tra così tanta sofferenza, mi viene ricordato perché non posso voltarmi dall’altra parte. Anche quando il percorso è difficile, anche quando la speranza sembra lontana, so che i nostri sforzi per portare aiuto umanitario possono fare la differenza.
Nei momenti più bui, ci sono anche momenti di umanità che mi fanno andare avanti. Il sorriso riconoscente di una madre o di una donna anziana che nonostante avesse perso tutto, mi ha ringraziato mentre le consegnavo le medicine per il diabete. Questi piccoli atti di resilienza e gratitudine sono ciò che mi fa andare avanti e, nonostante io sia stanco, non mi sento sconfitto.
* Medico di MSF, fuggito da Aleppo in Siria, oggi è coordinatore medico in Libano