L’intervista

Il Nobel per l’Economia Stiglitz: “La Ue è tornata all’austerità: con Donald pagherà due volte”

L'economista - ‘‘Italia come gli Usa: nelle zone deindustrializzate cova la rabbia di chi si sente lasciato indietro"

22 Novembre 2024

Il vangelo di Margaret Thatcher era un libro di 300 pagine pubblicato per la prima volta nel 1944: La strada verso la schiavitù. L’autore, l’economista Friedrich von Hayek, sosteneva che l’intervento pubblico in economia è la tomba delle libertà e apre la strada ai fascismi. Affidarsi al libero mercato avrebbe invece garantito i diritti individuali e rafforzato le democrazie. A distanza di ottant’anni, il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz, nel suo nuovo La strada verso la libertà (Einaudi), ribalta la diagnosi. È il capitalismo senza freni a creare terreno fertile per nuovi autoritarismi. La soluzione, come spiegherà domani all’assemblea costituente del M5S, è un sistema di mercato in cui lo Stato giochi un ruolo da protagonista.

Perché il capitalismo neoliberista alimenta gli estremismi?

Allarga le disuguaglianze, porta alla stagnazione economica e consente alle aziende di abusare del proprio potere di mercato. Larghe fasce di popolazione non se la passano bene. Ne deriva un senso di alienazione che si traduce in consenso per demagoghi come Trump.

Per uscirne lei propone un “capitalismo progressista”. Come funzionerebbe?

Manterrebbe elementi di economia di mercato, ma con più regolamentazione per correggere i fallimenti del mercato stesso a partire dall’inquinamento, per garantire la concorrenza e per limitare le forme di sfruttamento che sono state al centro di larga parte del capitalismo. Con un maggior ruolo dei governi nella ricerca di base, nei servizi sanitari, nell’assistenza agli anziani, nell’istruzione superiore. E più spazio per tutte le forme di organizzazione che stanno tra il privato e lo Stato: società civile, Ong, cooperative, sindacati.

Gli elettori scelgono sempre più spesso partiti di destra o estrema destra, nonostante le loro ricette economiche favoriscano ricchi e grandi aziende e – penso alle proposte di Trump – rischino di far esplodere di nuovo l’inflazione. Cosa sta sbagliando la sinistra?

Negli Usa tutto il Partito Democratico se lo sta chiedendo. È chiaro che c’è stato un enorme fallimento nella comunicazione. Un esempio? Molti non sanno che Medicare e Social security sono programmi governativi. Lo stesso vale per Obamacare. Ma non è solo questo. I Dem, appoggiati a loro volta dalle istituzioni finanziarie e dai ricchi, hanno esitato ad adottare politiche che rispondessero davvero alle preoccupazioni dell’americano medio. Trump è stato bravo a dar voce al risentimento, a dire che il sistema è “truccato”, anche se non ha mai offerto soluzioni e nel suo primo mandato si è limitato a tagliare le tasse ai miliardari e alle corporation.

L’idea di una tassazione minima delle grandi ricchezze, che è stata sostenuta da lei, è entrata tra gli impegni di massima dei leader del G20. Se non si riuscirà a introdurla in modo coordinato a livello globale, l’Unione europea può andare avanti da sola?

È importante discuterla a livello globale perché c’è il problema dei paradisi fiscali e i molto abbienti possono spostarsi in giurisdizioni a bassa tassazione. Ma sì, credo che l’Europa potrebbe imporre una wealth tax continentale: ci sono molti modi per evitare il rischio di elusione. Si può per esempio imporre una tassa di uscita a chi si trasferisce altrove.

Il Patto di Stabilità europeo è stato riformato. Ma restano severi parametri numerici di controllo del deficit: l’Italia di qui al 2031 dovrà garantire un aggiustamento da quasi 13 miliardi l’anno. Che conseguenze prevede?

Pessime. È la solita austerità neoliberista vecchio stile. Gli europei dovrebbero essere preoccupati, soprattutto perché se Trump gonfierà il deficit statunitense e la Fed risponderà aumentando i tassi (per controbilanciare la spinta inflazionistica, ndr) la Bce potrebbe reagire alzandoli a sua volta per mantenere in equilibrio il cambio. In quel caso avreste una politica fiscale e una politica monetaria entrambe restrittive e l’economia rallenterebbe molto, di nuovo.

I salari italiani sono fermi dagli anni Novanta e la povertà è aumentata, soprattutto tra i lavoratori. C’è una via di uscita?

Vedo una somiglianza con le aree degli Stati Uniti che hanno subìto una deindustrializzazione e in cui le persone si sono sentite lasciate indietro e hanno covato un forte senso di rabbia. L’Italia sta attraversando una trasformazione economica e il mercato è pessimo nel gestire queste situazioni. Per affrontare le sfide poste da questa ristrutturazione serve un intervento pubblico ben disegnato.

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