L’Italia è prima in Europa per azioni legali temerarie subite da giornalisti, associazioni e cittadini impegnati per l’interesse collettivo. A certificare il nuovo record negativo è l’ultimo report di CASE (Coalition Against Slapps in Europe), la rete europea che monitora le minacce nei confronti di chi si batte per il bene pubblico.
Nel 2023, in Italia, ci sono stati ben 26 casi, a conferma di un primato già rilevato da uno studio precedente del Parlamento Ue. Seguono: Romania (15 episodi), Serbia e Turchia (dieci a testa). Solo lo scorso anno sono state registrate 166 azioni temerarie in 41 Stati membri Ue e Paesi candidati, per un totale di 1.049 dal 2010: un trend definito “preoccupante” dagli autori del report e considerato solo “la punta dell’iceberg” di un fenomeno ancora sommerso. I bersagli, come si legge nel documento, sono innanzitutto giornalisti che vengono colpiti individualmente. Poi testate mediatiche, chi le dirige, attiviste e attivisti, ong. Ma anche accademici, blogger, scrittori e vignettisti. A portarli in tribunale, nel 2023, sono stati soprattutto aziende e imprenditori (45,2% delle segnalazioni) e politici (35,5%). Ad allarmare gli autori del report è anche l’oggetto dei contenziosi: l’anno scorso, il 36,1% delle azioni temerarie è stata fatta per bloccare tentativi di rendere pubblici fatti di corruzione. E nel 16,3% dei casi, attivisti e giornalisti sono stati trascinati in tribunale dopo aver preso posizione sull’ambiente.
A parlarne ieri a Roma – all’incontro “Liberi di esprimersi, liberi di informarsi” – gli esponenti di alcune delle associazioni prese di mira in Italia: ReCommon, Greenpeace, Essere Animali. E pure la rete dei Centri antiviolenza. Ma anche i rappresentanti di testate locali e nazionali, come il condirettore del Fatto Peter Gomez.
“L’uso sistematico di molestie legali per mettere a tacere le voci dissenzienti”, ha dichiarato Sielke Kelner, ricercatrice dell’Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa, tra i membri italiani di CASE che hanno organizzato il convegno, “mina la libertà di espressione generando implicazioni preoccupanti per la democrazia italiana. In quanto guardiani della democrazia, giornalisti e attivisti svolgono un ruolo essenziale nel facilitare il dibattito pubblico”. Le azioni legali spesso si traducono in richieste che, denuncia sempre il report, continuano a essere “esorbitanti”: nel 2023, “un’azienda bulgara ha preteso 500 mila euro per diffamazione dal sito investigativo Bivol”. O nel Regno Unito, “Shell ha fatto causa a Greenpeace chiedendo 2,1 milioni di dollari di danni per le proteste pacifiche contro i combustibili fossili nel Mare del Nord. E la multinazionale ha fatto sapere che le richieste di risarcimento potrebbero arrivare fino a 8,6 milioni di dollari”. Secondo il Guardian si tratta di “una delle più grandi azioni legali contro la ong”.
Infine, parlando di richieste “sproporzionate”, CASE cita l’Italia e il fatto che sia ancora previsto il carcere per punire la diffamazione. Negli ultimi mesi, a livello Ue, ci sono stati sviluppi: è stata approvata una direttiva contro le azioni temerarie, accompagnata da una raccomandazione. Ma, scrive CASE, “sono misure minime” e riguardano solo i casi transfrontalieri che, per il report, dal 2010 sono stati il 9,4%. E così ne rimangono esclusi “la stragrande maggioranza”. Per questo serve un maggiore impegno degli Stati, a partire da quelli più colpiti. Italia in testa.