Pubblichiamo di seguito un estratto dell’appello che la Fondazione Fatto Quotidiano ha lanciato per consentire ad Aya Ashour, bloccata a Gaza, così come agli altri studenti palestinesi di raggiungere l’Europa per proseguire gli studi. La petizione si può firmare sulla piattaforma ioscelgo.org.
I lettori del Fatto Quotidiano conoscono Aya Ashour. Ne conoscono la scrittura e il coraggio, la capacità di raccontare e la voglia di vivere, nonostante tutto: e il tutto è che da ottobre 2023 è imprigionata a Gaza con la sua famiglia, e che ogni giorno rischia la vita. Più volte ha raccontato di essersi trovata in mezzo a un fuoco incrociato di droni e carri armati, tra corpi che cadevano e proiettili ovunque: è viva per miracolo. Aya ha 23 anni e si è laureata in diritto internazionale (titolo della tesi: Il ruolo delle donne nella sicurezza e nella pace, secondo la Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza: la Palestina come caso di studio) pochi giorni prima che Israele iniziasse la sua guerra di sterminio. Da quando ne aveva 17, si è impegnata a difendere i diritti umani, soprattutto quelli dei bambini e delle donne, anche come educatrice in materia di Diritto internazionale umanitario, violenza di genere e diritti dei bambini e delle bambine. L’Università per Stranieri di Siena – il cui rettore è Tomaso Montanari – ha invitato ufficialmente, diversi mesi fa, Aya Ashour come visiting scholar, perché possa continuare a studiare a Siena ciò che le sta a cuore: che oggi è soprattutto il trauma profondissimo del suo popolo. Aya potrebbe studiare in pace, in Italia: i docenti, gli studenti e le studentesse dell’Università per Stranieri e degli altri atenei italiani potrebbero ascoltare ciò che ha visto, sentito, studiato in Palestina. È per questo che esistono le università, infatti: per costruire contatti, conoscenza, esperienza comune al di là di guerre, nazioni, fili spinati. L’Unistra ha già inviato mesi fa ad Aya il denaro necessario per il viaggio, chiedendo alle autorità consolari italiane in Israele di prepararle il visto: ma la risposta è stata che chi si trova imprigionato a Gaza deve uscire da solo, praticamente impossibile, e solo dopo (a questo punto al Cairo) può chiedere il visto. Ora – con mesi e mesi di attesa, in una situazione che, per quanto orribile da subito, peggiora continuamente, e visto che si infittiscono le occasioni nelle quali Aya può morire – dopo l’appello del rettore Montanari di qualche mese fa, anche il Fatto Quotidiano chiede pubblicamente al ministero degli Affari Esteri Italiani di intervenire facendo pressione sulla comunità internazionale per ristabilire il diritto allo studio anche per chi vive nella Striscia di Gaza.
Così ha scritto la stessa Aya Ashour sul Fatto Quotidiano il 17 novembre scorso: “Avrei dovuto essere in Italia per completare la mia formazione, ma invece scrivo da questo luogo di sterminio, perché Israele non mi consente di lasciare la Striscia. (…) Questa non è solo la mia storia, ci sono migliaia di studenti che hanno perso le borse di studio per completare la loro formazione all’estero a causa della chiusura del valico di Rafah. (…) Ed è uno sterminio sistematico contro il processo educativo e formativo nella Striscia. (…) Il movimento di solidarietà internazionale degli universitari ci ha fatto sentire meno soli. (…) La comunità internazionale deve fare pressione su Israele affinché riapra il valico in modo che gli studenti possano viaggiare e iscriversi alle università all’estero. Fino a quando Israele continuerà, invece, a confiscare i nostri diritti e a privarci dei più semplici desideri e sogni?”