Il giornalismo non sia un crimine, quando riguarda una reporter arrestata senza accuse dal regime iraniano a Teheran, come nel drammatico caso di Cecilia Sala, e non sia più un crimine in Palestina: nella Striscia di Gaza sono quasi 200 i giornalisti e gli operatori dell’informazione uccisi dall’8 ottobre 2023 a ieri. Spesso per loro l’accusa rivolta dall’esercito di Israele è quella di essere terroristi di Hamas e affini. Ovviamente non c’è processo, non c’è prova, non c’è garanzia, non c’è giubetto con la scritta “press” che tenga. In più nella Striscia di Gaza i giornalisti locali sono anche, come tutti i civili, intrappolati da quando il valico di Rafah è stato sigillato dall’Idf. Nessuna possibilità di andarsene. Aya Ashour, 23 anni, scrive ormai da un anno e mezzo le corrispondenze dalla Striscia per il Fatto Quotidiano: ha perso la sua casa, ridotta in macerie, è stata più volte sfollata, vive da mesi con la sua famiglia sotto le tende a Khan Younis in condizioni disperate. E continua a scrivere e raccontare. Il suo giornalismo non è un crimine. Eppure è intrappolata. Nonostante un invito dell’Università per stranieri di Siena non può lasciare la Striscia. Diritto all’informazione, diritto allo studio, tutto è calpestato. La petizione per Aya Ashour sul sito ioscelgo.org, rivolta al Ministero degli Esteri italiano perché faccia pressioni sulla comunità internazionale, ha superato quota 10 mila firme.
La Russia bombarda anche a Capodanno e avanza sempre più
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