“Attacco la Kamchatka!” è un grido che mischia rimembranze dell’adolescenza, lancio di dadi, notti insonni, liti furibonde tra amici e voglia di conquista del mondo. Insomma, inutile spiegarlo a chi (quasi tutti, spero) abbia mai preso in mano due dadi e qualche carrarmatino del Risiko, gioco da tavolo bello e bellico. Quindi può far sorridere leggere che oggi, anni Venti del Terzo millennio, risuoni il grido “Attacco la Groenlandia”. Eppure.
La Groenlandia è grande più di sette volte l’Italia e ha meno abitanti di Frosinone, è una colonia della Danimarca, che le concede una forte autonomia, ma forse sarà presto indipendente grazie a un referendum tra i suoi 56.800 abitanti, che si svolgerà tra poco, probabilmente in aprile. Della Groenlandia, diciamoci la verità, non fregava molto a nessuno, perché un continente ghiacciato non era poi così glamour. Però adesso i ghiacci si sciolgono (al ritmo di una superficie grande come il Veneto ogni anno), il terreno diventerà trivellabile (c’è molto petrolio), vanno di moda nuovi tesori (un quinto delle terre rare, preziose per l’industria tech, si trova lì) e i nuovi equilibri geopolitici mondiali (le rotte commerciali artiche) fanno della Groenlandia un bocconcino prelibato. Leggi: uno snodo strategico per chi vuole appunto, come a Risiko, conquistare il mondo.
Virgolette: “Ai fini della sicurezza nazionale e della libertà in tutto il mondo, gli Stati Uniti ritengono che la proprietà e il controllo della Groenlandia siano una necessità assoluta”. Firmato: Donald Trump. In soldoni – è proprio il caso di dire – gli Stati Uniti vorrebbero comprarsela, per farne una specie di avamposto e tappa preziosa tra Europa e Nord America, con l’inevitabile corollario di basi militari, trivellazioni, saccheggio di risorse e conseguenti pericoli per l’area protetta più grande del pianeta. Il premier groenlandese Múte Egede ha già detto che non se ne parla nemmeno, la Corona danese ha appena modificato il suo stemma mettendoci un orso polare, come dire “giù le mani”, ma insomma, l’Opa sulla Groenlandia è stata lanciata, e si vedrà. Colpisce però, nella dichiarazione di Trump, la proprietà transitiva, il ricalco in scala uno a uno, tra l’interesse strategico, commerciale ed economico degli Stati Uniti e “la libertà in tutto il mondo”. Più che un’equazione sembrerebbe un’equivalenza: siete liberi se siete nostri. Vecchio trucco, che è, se ci pensate, il fondamento alla base di ogni colonialismo (prima) e imperialismo (poi). È quello che diceva Colombo agli indios, o i belgi agli autoctoni neri del Congo, quello che dicevano i francesi agli algerini, gli afrikaaners sudafricani ai neri, gli italiani in Abissinia, con una retorica risibile che risuona ancora oggi: “Gli abbiamo fatto le strade!”, che non aggiunge mai la verità successiva: per conquistarli meglio.
Non so se tra dieci o vent’anni, oppure prima, ci troveremo a difendere la Groenlandia dall’imperialismo, non mi stupirebbe, ma resta il fatto che la conquista, il possesso, il controllo di territori altrui, purché ricchi e/o strategici è ancora – come nei secoli passati – il motore di grandi e piccole potenze aggressive e violente, vedi Putin con il Donbass, vedi Israele che si espande a Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria, con un disegno coloniale così evidente che rivela come complice chi finge di non vederlo. So cosa state pensando: e in tutto questo, l’Europa? Ecco bravi, lo dico anch’io: e in tutto questo l’Europa, che è colonia a sua volta? Buon anno.