Fanno più che bene a raddoppiare la scorta al procuratore di Milano Marcello Viola e alla sostituta Alessandra Cerreti, colpevoli di cercare la verità nella mafia milanese a tre facce, oltrepassando i cavilli del suicidio civile. Ma non basterà. Perché è a Milano che occorre raddoppiare la scorta. È Milano che occorre difendere. Il progetto di colpire i magistrati concepito a Milano è folle. Per noi. Ma “loro” non lo pensano.
Eppure, come tutti ammettono, non sono puri criminali, hanno una testa che ragiona anche politicamente. Che sa valutare quando certe cose si possono fare. Idearono l’eliminazione del pm Alberto Nobili nei primi anni Novanta perché Milano era la capitale della corruzione, dove tutti giuravano sull’inesistenza della mafia, anche all’inaugurazione dell’Anno giudiziario. L’idea venne ai clan di Buccinasco, quelli di Platì, che avevano dimesso sul campo una brava sindaca socialista che si opponeva ai Papalia. E che al Nord erano egemoni nel narcotraffico.
Ora qualcuno torna a progettare l’assassinio, a crederlo possibile. Perché? Le risposte sono tutte lì davanti a noi. Sì, il comune ha ora ben due commissioni Antimafia, in consiglio comunale e a supporto diretto del sindaco. Milano ha scuole preparate come solo in Sicilia, università ai vertici nazionali, giornalismo attrezzato, volontariato e chiesa sensibili, teatro vitalissimo. Il fatto è che ci sono ormai troppi legami da spezzare. Imprese e affari si affannano a firmare protocolli, a sfornare programmi etici. Poi però nessun imprenditore o commerciante denuncia, nessuno conferma, nessuna associazione di imprese o nessun ordine caccia o “scoraggia” propri iscritti.
Più correttamente: “Quasi nessuno”. Le stesse ricerche sulla mafia si fanno solo sui beni confiscati, come se non si dovesse disturbare nessuno qui e oggi. Mentre teorie di consulenti giungono a chiamata e si insediano negli enti pubblici, e da lì decidono a tutte le ore su Milano indisturbati. Loro e i loro “paesani”. Sia chiaro. La vera lotta sulla mafia in Italia si gioca a Milano, non altrove, e occorre che tutti se ne assumano le responsabilità più profonde. Un giorno un mafioso pentito spiegò a un giudice: sa perché vinciamo noi? Perché gli imprenditori del Nord hanno paura di morire, noi no, noi con l’idea della morte ci conviviamo. O anche perché, come spiegò Falcone, “il denaro ha zampe di lepre e cuore di coniglio”.