Mafia. Ricordare le vittime a Trapani, la città inabissata nel mondo di mezzo
Trapani. Quella città di incanti all’ultimo sud-ovest dell’Italia, assisa su uno dei tre vertici della Sicilia piantata nel cuore del Mediterraneo, ha più o meno 65mila abitanti. Meno di Cremona, quasi la metà di Monza o di Forlì. Eppure per la storia nazionale, non solo quella siciliana, ha un’importanza cruciale. Trapani, una delle quattro province storiche della mafia, con Palermo, Caltanissetta e Agrigento. Trapani cassaforte di voti e di denaro, con le sue banche che a un certo punto degli anni ottanta presero a pullulare sulla scia della droga. Trapani che, mentre Palermo uccideva e insorgeva sotto i riflettori del mondo, si acquattava sotto uno spesso manto di omertà. È una storia tutta da studiare quella di Trapani e della sua provincia.
Decisiva fin dalla nascita della nazione, con lo sbarco di Garibaldi a Marsala, sotto la protezione della flotta inglese, là dove era stato assicurato il favore dei “picciotti”. E poi sempre più strategica per la mafia, che in quella storia si sarebbe tuffata seguendo i precetti del Gattopardo. E che costruì lì la sua roccaforte, da cui partire alla conquista dell’America con i “castellamaresi”, contadini benestanti che presero il largo verso la costa atlantica fiutando sia l’aria di repressione del fascismo sia l’aria di affari del proibizionismo. Ma da cui partire anche alla conquista dell’Italia se è vero che fu da Alcamo che alla fine degli anni sessanta Vincenzo Rimi, il “leader morale” di Cosa Nostra secondo Buscetta, progettò di espugnare il Lazio alla nascita delle regioni ordinarie. Storia poco conosciuta ma di interesse straordinario per chi voglia cogliere lo spessore strategico dell’agire mafioso, e di cui si trovano vivide (ma ignorate) tracce negli atti della Commissione parlamentare antimafia.
Trapani città del connubio esemplare, come pochissimi altri, tra mafia e massoneria. Trapani di Giangiacomo Ciaccio Montalto, di Mauro Rostagno, del maresciallo Giuliano Guazzelli, dell’attentato fallito dei “coraggiosi” capimafia (Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano) messi in fuga dalla reazione della vittima designata, il commissario Rino Germanà. E Marsala, la città nevralgica per la storia della giustizia italiana se è vero che fu la nomina di Paolo Borsellino a suo procuratore capo a scatenare la battaglia epocale sui “professionisti dell’antimafia”. E poi Matteo Messina Denaro, non leggendario “capo dei capi”, ma certo capo dotato di potere e di consenso in quella parte dell’isola così importante per i destini del primo nemico della nostra democrazia. Messina Denaro nascosto e protetto, lui e i suoi familiari, a Trapani; ma, come si è poi visto, anche nella provincia milanese dove il cugino Paolo Errante Parrino se la spassava con un po’ di amministratori dell’hinterland.
Ecco dunque che cosa vuol dire celebrare il 21 marzo la giornata nazionale della memoria e dell’impegno e i trent’anni dalla nascita di Libera a Trapani. Che cosa vuol dire portarci le bandiere della speranza del popolo di don Ciotti, provare a invertire, e possibilmente non solo per un giorno, il ruolo del capoluogo, da città a lungo la più ospitale per Cosa Nostra a città del cambiamento. Sarà bello vedere quelle bandiere fucsia, gialle, rosa, azzurre, rosse o arcobaleno sventolare di fronte ai bagliori di sole distesi sull’azzurro cangiante del mare aperto e delle saline. Vedere camminare ai bordi del mare un’umanità che chiede la libertà e la pace dei giusti, quella per cui si batterono a viso aperto i nomi e cognomi che vi verranno ricordati. Lì, ma anche in altri luoghi d’Italia, a partire proprio da Milano dove decine di sindaci si troveranno per iniziativa del presidente della città metropolitana Beppe Sala con i magistrati minacciati. È un mondo in subbuglio. Lo spirito di lotta, la voglia di conoscenza, il bisogno di memoria dell’antimafia aiutino a dargli una rotta.