Caso Calderone, se privatizziamo l’università i risultati sono questi
L’imbarazzante vicenda della laurea della ministra Calderone così come l’ha meritoriamente ricostruita questo giornale, costituisce di per sé un serio danno reputazionale per l’intero sistema universitario italiano: ed è proprio per questo che è opportuno che gli scandali diventino di pubblico dominio. Ed è una vicenda che, nella sua triste meschinità provinciale, ha però nessi profondi con situazioni ben altrimenti importanti: come il vergognoso cedimento della rettrice ad interim di Columbia University alle minacce liberticide di Donald Trump, o come lo stupefacente ritiro della laurea al sindaco Ekrem İImamoglu imposto dal governo di Erdogan all’Università di Istanbul.
Il filo conduttore è unico, ed è la sottomissione dell’università agli interessi, alle pressioni, alle volontà del potere politico. Quando le università hanno padroni privati, piegarle è più facile: e da noi (fatte salve le vecchie e indipendenti private di grande tradizione, come la Cattolica o la Bocconi, o altre) il risultato è un triste sottobosco di scambi, collateralismi, lobbismi che smontano le regole del sistema, o peggio le piegano a favore degli interessi privati.
Quando le università sono pubbliche, piegarle è in teoria più difficile, ma si possono privatizzare (l’ha fatto Orbán in Ungheria), o minacciare direttamente, come negli Usa. E ci sono ragioni concrete per pensare che anche in Italia potrebbe presto succedere qualcosa del genere: definanziamenti che inducano gli atenei a fondersi tra loro, a trasformarsi in fondazioni, a cadere direttamente sotto il controllo del potere politico.
A quel punto, una squallida vicenda come quella attuale non solo rappresenterebbe la norma (e non un’eccezione rara, come è ancora), ma rischierebbe perfino di essere il minore dei mali. Non sottovalutiamo i sintomi, finché il paziente (il sistema universitario pubblico) è vivo.