Intervista dietro le quinte con Paolo Sorrentino
“I particolari del progetto Campari Red Diaries che mi hanno maggiormente interessato sono due: uno è Campari stesso, che è un marchio che mette allegria perché mi ricorda la mia infanzia; l’altro è il fatto che si potesse mettere il naso negli anni Ottanta, un decennio della mia adolescenza che conosco bene. Mi divertiva l’idea di potere fare un tuffo in quel passato.”
Che cosa è che ti affascina circa gli anni '80 in particolare?“Cosa mi affascina degli anni Ottanta? Se li analizzo con distacco quasi nulla perché per molti versi non è stato un decennio particolarmente brillante però, da un punto di vista emotivo, mi affascina tutto perché è una decade che ha coinciso con una fase della mia vita in cui guardavo al futuro, avevo mille speranze, mille aspettative. È diventato, come è giusto che sia, il momento più importante della mia vita. E quindi per me gli anni Ottanta sono quel lungo momento in cui ero pieno di progetti, speranze, aspettative e per questo ne ho un ricordo meraviglioso anche se, analizzandolo col senno di poi, è stato per tanti versi molto meno affascinante di quanto mi sembrasse all’epoca.”
La storia di Killer in Red è incentrata sulla figura di un grande barista. Ti è piaciuto entrare in contatto con questo mondo?“Si assolutamente, soprattutto perché ne sapevo poco o nulla e quindi, come succede sempre in questi casi, mi sono incuriosito quasi subito. Mi ha molto divertito mettere il naso in un mondo che non conoscevo. Tutta questa cultura legata ai cocktail mi ha sempre interessato anche se da lontano perché, non essendo io un particolare bevitore, non l’ho mai frequentata da vicino. Questa è stata un’occasione per vedere più da vicino quel mondo.”
Killer in Red crea un'atmosfera decisamente 'noir'. Hai tratto ispirazione da qualche autore in particolare, o da qualche suggestione cinematografica o letteraria?“L’ispirazione legata al noir c’è senza che io me ne accorga nel senso che la produzione letteraria e cinematografica del noir è così vasta, e io per lungo tempo sono stato un grande appassionato di quel genere, che non ho avuto bisogno di ispirarmi ad una cosa in particolare. Mi sono ispirato proprio ad un mondo che è quello noir di Los Angeles. Del resto certe ispirazioni bisogna guardarle da lontano. Uno potrebbe dire: “Mi ispiro a ‘Chinatown’ di Polanski”, però è pericoloso perché stiamo parlando di capolavori assoluti, inarrivabili, e quindi è anche meglio non lasciarsi ispirare da cose così alte. Però tutte le atmosfere del noir contenute nei romanzi e contenute nei film sono un bagaglio che uno si porta appresso quando si deve affrontare, da facitore e non più da fruitore, una cosa sul noir.”
Killer in Red è stato ideato soprattutto per un utilizzo digitale, che riflette una tendenza che il cinema e le serie TV non possono più permettersi di ignorare. Qual è il tuo punto di vista?“Il mio punto di vista sulla fruizione del digitale è molto semplice, è lo stesso che avevo quando ho cominciato a fare questo lavoro e cioè quando nutrivo la speranza che le cose che facessi venissero viste nel modo più ampio possibile e, in questo senso, il mezzo attraverso il quale la gente può vedere le cose diventa abbastanza irrilevante purché le veda. Ovviamente in un mondo ideale il grande schermo assume un’importanza, un fascino unico, però non sono tra i nostalgici del grande schermo, tra quelli che dicono: “O il grande schermo o nulla”. D’altronde sarebbe anche una specie di lotta contro i mulini a vento: questo è l’andamento delle cose, questo è il futuro e quindi mi reputo fortunato che una cosa che faccio possa essere vista. Ora che venga vista al cinema o in televisione o su un computer devo dire mi risulta abbastanza ininfluente.”
“Io penso che la sovrapposizione tra arte e advertising possa far bene ai linguaggi, nel senso che l’arte è una specie di sorpresa in attesa. Non è così facile preventivarla e metterla a fuoco prima. Nasce in maniera del tutto inattesa e quindi può nascere anche all’interno di progetti che non hanno delle finalità prettamente artistiche, come possono essere la realizzazione di un quadro o di un’opera. Quindi da qualsiasi combinazione di elementi può nascere l’arte, anche in questo caso.”
Campari Red Diaries porta in vita la potente filosofia che "ogni cocktail racconta una storia", celebrando i cocktail come una forma d'arte e come un potente veicolo di espressione - come fa Killer in Red a riflettere questa filosofia?“Io penso che i cocktail siano immersi dentro un mondo sociale, che da sempre siano considerati qualcosa legato alla socialità e anche alla socievolezza. Quindi, per quanto in maniera non immediata, in realtà anche intorno a un cocktail si celebrano e avvengono decine e decine di storie. Come posso definire i cocktail? Sono delle cose che hanno a che fare con quell’altro meraviglioso oggetto che è il bancone di un bar. Il bancone di un bar è uno dei più grandi portatori di storie nella vita e spesso anche nel cinema: quanti film sono occupati dai banconi dei bar? Tantissimi.”
Campari ha collaborato con numerosi artisti nel corso della sua storia, del calibro di Dudovich, Depero, Federico Fellini e Mario Testino, condividendo con ognuno di loro la personale visione del marchio. Ora è il tuo turno; cosa significa Campari per te?“Per me Campari significa un appuntamento con qualcuno che hai sempre conosciuto ma che non hai mai incontrato. E questa volta l’ho incontrato.”
Questa è la prima produzione della nuova Campari Red Diaries, passando dal solo progetto artistico fotografico che è stato l'ultimo Calendario Campari, ad un progetto di comunicazione integrata con un nuovo formato - un cortometraggio. Sei orgoglioso di essere coinvolto nel prossimo capitolo di un progetto con un tale prestigiosa case history?“Sono fiero di essere stato coinvolto in un progetto della Campari proprio perché i precedenti sono molto illustri, molto più illustri di me, e quindi è del tutto lusinghiero essere stato anche ingiustamente avvicinato a figure come Depero, Fellini e altri. Ma sono anche fiero di far parte di un progetto che, nelle intenzioni di Campari, è diverso dal solito e ha anche una funzione pioneristica. A me piace molto lanciarmi in cose che non sono state fatte prima, non tanto per essere il primo ad arrivare ma perché quando si fanno delle cose per primi si può godere di un’immensa libertà di cui quelli che vengono dopo non possono godere perché devono fare riferimento a chi c’è stato prima.”