LA TRASFORMAZIONE GREEN DI ENIparte da qui
dalla conversione delle raffinerie convenzionali in bioraffinerie, a Venezia il primo esempio al mondo,
e dalla chimica verde, per rispondere con soluzioni innovative e sostenibili a una grande sfida.
e dalla chimica verde, per rispondere con soluzioni innovative e sostenibili a una grande sfida.
La bioraffineria produce biocarburanti da oli vegetali e, a breve, da materie prime non convenzionali quali oli di frittura, grassi animali e scarti della produzione alimentare. Quello realizzato nelle nostre bioraffinerie è un biocarburante di altissima qualità la cui produzione nel 2020 raggiungerà il milione di tonnellate. La conversione delle raffinerie Eni in bioraffinerie è iniziata a Venezia nel 2013. Riutilizzare una struttura già esistente, invece che costruirne una nuova, ci ha permesso di risparmiare negli investimenti iniziali e di ridurre le emissioni.
Quello realizzato
nelle nostre bioraffinerie
è un biocarburante
di altissima qualità
Il sogno dell’ingegnere tedesco Rudolf Diesel era inventare un motore meno inquinante di quello a vapore, con migliore resa e consumi ridotti. Il brevetto che porta il suo nome è del 1892: non funzionava a petrolio, ma con olio di arachide. Esattamente 120 anni dopo, nel settembre 2012, Eni ha depositato il brevetto che ha dato vita alla prima riconversione al mondo di una raffineria tradizionale in bioraffineria e al primo carburante con il 15% di componente rinnovabile, l’Eni Diesel+.
Eni ha portato a Venezia le Associazioni dei Consumatori per far vedere come funziona il nuovo ciclo produttivo. A Porto Marghera la gloriosa raffineria che dal 1926 ha importato petrolio greggio per alimentare tubi e forni e produrre benzine, dal maggio 2014 va a olio vegetale ed entro un paio d’anni potrà essere “nutrita” anche da olii esausti, grassi animali, alghe e canne palustri…
Siamo sul waterfront più prezioso del mondo, quello di Venezia. Qui la raffineria che dal 1926 ha importato petrolio greggio per alimentare tubi e forni e produrre benzine, dal maggio 2014 va a olio vegetale ed entro un paio d’anni potrà essere “nutrita” anche da olii esausti, grassi animali, alghe e canne palustri. È stata la prima fabbrica a essere costruita in quella che è diventata la più estesa area industriale d’Italia, Porto Marghera, ed è stata la prima a trasformarsi.
Eni ha portato a Venezia
le Associazioni dei Consumatori
per far vedere come funziona
il nuovo ciclo produttivo.
La visita dei rappresentanti delle Associazioni dei Consumatori, una quindicina di responsabili Energia giunti da Roma e Milano, organizzata dall’unità RAPAC di Eni, è stata consumata in una tiepida mattina di maggio. Le loro domande sono state tante, e mirate.
Non poteva che essere così, perché l’assunto di tre ore di incontro può sembrare il contrario di ciò che ci si aspetta di sentire da chi ha il core business nell’oil & gas: «Dobbiamo continuare a focalizzarci sulla riduzione delle emissioni delle fonti energetiche tradizionali – ha esordito Francesco Santangelo, responsabile Eni dei Rapporti con le Associazioni dei Consumatori – e dobbiamo crescere nella ricerca e sviluppo delle nuove fonti green».
«Nella Bioraffineria di Venezia utilizziamo olio di palma certificato, cioè frutto di coltivazioni esistenti da molti anni, quindi sicuramente non causa di deforestazione – ha spiegato Giacomo Rispoli, “l’inventore” di questa tecnologia, ora Supply manager di Eni – e inoltre verifichiamo con audit locali, in Malesia e Indonesia. Ma la nostra tecnologia Ecofining® è flessibile, quindi potrà trasformare in green diesel l’olio ricavato dalle microalghe che già stiamo testando a Gela, oppure gli olii waste, oppure ancora i grassi animali e gli olii microbici da biomasse».
Eni ha scelto l’opzione make invece che buy, quindi di produrre da sé la parte bio che, per norma dell’Unione Europea, avrebbe altrimenti dovuto comprare sul mercato, il cosiddetto FAME, che è sempre a base di olii vegetali lavorati.
Ecofining®
è flessibile, quindi potrà trasformare
in green diesel l’olio ricavato
dalle microalghe
Oggi la parte bio del diesel che tutti acquistiamo in qualsiasi stazione di rifornimento è del 5,5%, dovrà essere del 6,5% nel 2017 e crescendo fino al 10% nel 2020. Quest’obbligo ha dato nuova vita alla Raffineria di Venezia, destinata a chiudere nel 2011, e alla Raffineria di Gela, dove i lavori per la riconversione degli impianti sono iniziati nel mese di aprile scorso.
Questa fabbrica è anche un sito di logistica avanzata che non ha paragoni in Italia: qui arrivano e distribuiamo sul territorio 3 milioni di tonnellate di prodotti finiti, blendiamo il green diesel per creare l’Eni Diesel+, l’unico carburante che ha una parte rinnovabile ben superiore a quanto previsto dalla legge europea e che, oltre a migliorare le prestazioni del motore riducendo i consumi fino al 4%, contribuisce a ridurre le emissioni di CO2 in media del 5% e in modo significativo quelle inquinanti di idrocarburi incombusti, di ossido di carbonio e particolato».
Quasi un ritorno alle origini, all’intuizione di Rudolf Diesel, con un’innovazione tecnologica che rende unico il green diesel prodotto a Venezia: grazie all’utilizzo di idrogeno, l’olio di palma viene completamente privato dell’ossigeno, dando vita alla conversione dei trigliceridi in isoparaffine e paraffine, annullando del tutto la presenza di zolfo, azoto e poliaromatici. Tutto ciò avverrà anche con le materie prime di seconda e terza generazione – non appena sarà possibile costruire l’impianto per la produzione di idrogeno da gas metano – grazie all’esperienza acquisita in questi due anni a Venezia e alle ricerche dell’Istituto Donegani, che dal 2007 ha cambiato mission, diventando il Centro di Ricerca Eni per le energie rinnovabili e l’ambiente.
«Mi piace questa Eni che guarda lontano, che torna alle rinnovabili e che investe in Italia – è stato uno dei commenti dei rappresentanti delle Associazioni dei Consumatori – era leader in questo settore tanti anni fa. Per chi c’era è come se Eni stesse ritrovando se stessa».