Israele: Ben non va alla guerra
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Israele: Ben non va alla guerra

A Tel Aviv un centro sociale e un'associazione supportano i giovani refusenik che non vogliono partecipare ai massacri di Gaza

di Stefano Stranges

Il fotografo Stefano Stranges ci racconta di una sorta di centro sociale nel ventre di Tel Aviv. È il punto di riferimento per i refusenik, i giovani che rifiutano di prestarsi al servizio di leva e di andare a combattere a Gaza e nei territori occupati. I refusenik sono una costante delle ultime guerre israeliane, ma l’attacco di Hamas del 7 ottobre e il conseguente massacro di civili operato dall’Idf ha esacerbato le fratture.

Stranges ci mostra fra l’altro quello che si può definire un “galera party”. È stato organizzato in onore di Ben Arad, un refusenik di 18 anni. È uno dei suoi ultimi giorni di libertà prima di scontare la pena in un carcere militare. Ben ha scelto la galera piuttosto che essere parte di un conflitto in cui non crede. Il fotografo lo ha incontrato allo Young Yiddish, un centro culturale underground di Tel Aviv. Un gruppo di amici e compagni di resistenza hanno organizzato una serata per salutarlo, sperando di poterlo riabbracciare presto. Siamo nei sotterranei della stazione centrale dei bus di Tel Aviv, una delle più grandi del mondo. Mendy, un uomo dallo sguardo intenso e l’aria da vecchio rocker, lo ha fondato nel 2005. Qui la cultura è padrona e le armi sono sostituite dall’enorme quantità di libri, parte della storia yiddish, che dividono gli spazi.

Nella sala accanto, Ben conclude il suo discorso testimoniando la sua scelta coraggiosa di fronte a una piccola platea, composta da quella giovane resistenza che sopravvive malgrado il clima di odio e la sete di vendetta che imperversa per le strade di Israele.

Molti di questi ragazzi gravitano nel Left Bank, sede del partito Hadash, una piccola palazzina in un quartiere residenziale di Tel Aviv. Qui trovano rifugio e assistenza legale perché molti di loro sono refuser proprio come Ben. Le conseguenze di questa scelta, forse quelle più pesanti, se le porteranno dietro anche dopo il periodo di detenzione in carcere militare previsto per il rifiuto della leva. Il prezzo da pagare per un pacifista in Israele, oltre al carcere, è la marginalizzazione e l’esclusione sociale. Ma i refusenik anche grazie a Mesarvot, l’associazione che li supporta, si sono creati uno spazio sicuro.

Il Left Bank è una sede politicizzata e attiva, in cui viene bandito l’odio e l’occupazione e la guerra contro Gaza sono considerate un crimine, un’arma che avrà un effetto boomerang contro lo stesso Stato israeliano. Il fotografo ha seguito alcuni giovani del partito Hadash durante le grandi proteste in piazza nel centro di Tel Aviv. I cartelli con scritte in ebraico invocano: “Cessate il fuoco ora”; “Il governo della distruzione della nostra casa, e del Tempio, sta dilaniando la nazione”; “Il sionismo sta terrorizzando e ci sta portando all’esilio”; “Prima il ritorno (degli ostaggi) e poi lo schiacciamento” (di Gaza). La protesta, qui come altrove, ha molte facce.

Una festa prima della galera

Ben Arad,
refusenik israeliano di 18 anni, tre giorni prima di essere arrestato per renitenza alla leva, In uno degli spazi del Young Yiddish, un centro culturale underground di Tel Aviv

Acuni giovani del movimento “Mesarvot” si dirigono verso una manifestazione nel centro di Tel Aviv
Mendy Cahan, fondatore, nel 2005, del centro Young Yiddish.

Il prezzo del rifiuto si paga a vita con l’emarginazione sociale

Il cartello dice: “Il sionismo terrorizza”

Il fotografo Stefano Stranges ci racconta di una sorta di centro sociale nel ventre di Tel Aviv. È il punto di riferimento per i refusenik, i giovani che rifiutano di prestarsi al servizio di leva e di andare a combattere a Gaza e nei territori occupati. I refusenik sono una costante delle ultime guerre israeliane, […]

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