Piantatela: gli asini non volano, Rosa Bazzi e Olindo Romano sono colpevoli della strage di Erba. Non ci sarebbe molto altro da aggiungere, dopo questi diciotto anni di circo mediatico e aria fritta, di desolante serie di finti processi televisivi, finti investigatori, di criminologi da seconda serata, di profiler un tanto al chilo, di esibizionisti e narcisisti, di improvvisati detective che hanno imbracciato la lente di ingrandimento e astutamente perquisito l’anima nera della nostra nera provincia. Per tirare fuori il coniglio bianco dello scoop, immancabilmente di cartone.
Piantatela. Rosa, la donna delle pulizie, e Olindo, il netturbino, la coppia specchiante vissuta in un universo che non ammetteva interferenze, hanno confessato, anzi rivendicato, la strage che nella notte dell’11 dicembre 2006 ha accatastato i cadaveri di Youssef il bimbo di due anni, della madre Raffaella Castagna, della nonna Paola Galli, di Valeria Cherubini, l’altra vicina di casa. Avevano il movente dell’odio e la crudeltà per imbracciarlo. Olindo ai magistrati confessò: “La Raffaella è arrivata tre mesi dopo di noi. Prima con un’amica, poi con una decina di extracomunitari negri. Ci passavano dentro tutti i tossici di piazza Mercato e io un sacco di volte chiamavo i carabinieri. Niente, non succedeva mai niente. Così abbiamo capito che avevamo solo due alternative, o andarcene, o farli fuori”. E poi: “Ci avevamo provato altre due volte, quella sera andò bene”.
E Rosa: “Facevano feste sino alle due, alle tre di notte. Una sera ho detto basta, non ce la faccio più, ho preso il coltello e sono partita”. E poi piangendo: “Più picchiavo, più cortellavo, più mi sentivo forte”.
Solo dopo dieci mesi di detenzione – non dieci ore, non dieci giorni, non dieci settimane – hanno di punto in bianco cambiato gli avvocati difensori e ritrattato la loro confessione: siamo stati ingannati dai magistrati, ci avevano promesso una cella matrimoniale, “non siamo stati noi, quelle erano bugie estorte”. E in un oplà televisivo e processuale, con identica determinazione, hanno giurato il contrario di quello che avevano giurato: “Da oggi siamo innocenti!”, hanno detto. Senza spiegare come mai abbiano impiegato addirittura dieci mesi – non dieci ore, non dieci giorni, non dieci settimane – per accorgersene e risvegliarsi da quella indisturbata veglia, durante la quale Olindo annotava sulla sua Bibbia: “Dio accolga le vittime a cui abbiamo tolto il dono della vita”. E poi: “Sono alcune notti che rivedo la Raffaella, come quella sera col sangue che le scende sul volto e i colpi che le abbiamo inferto quando la uccidevamo”.
Piantatela di ignorare le prove provate e le sentenze scritte. Dovrebbero essere abbastanza i ventuno giudici che li hanno condannati all’ergastolo, durante l’intero corso processuale: primo grado, appello, cassazione. Più gli altri tre giudici del riesame di Brescia che a inizio luglio hanno respinto l’ennesima richiesta di revisione. Ventiquattro giudici in tutto, tra togati e popolari. Un numero sufficiente per mandare in archivio la fitta schiera degli innocentisti a oltranza, innocentisti a prescindere, gli investigatori della Terra Piatta, che hanno allestito chiacchiere, articoli, documentari tv, invenzioni, forzature, panzane, più una dozzina di libri pieni di strampalate teorie sulla fuga dai tetti degli assassini, compreso un libro che sembra più inventato degli altri, intitolato “Rosy”, confidenzialmente, che sarebbe la commovente vita di Rosa, quella che stando alla sua confessione in lacrime, ha personalmente tagliato la gola a Youssef, incendiato l’appartamento assaltato, mentre suo marito Olindo si occupava della vicina di casa Valeria Cherubini, vittima in fuga dall’alloggio di sopra, atterrata a sprangate e di suo marito Mario Frigerio, miracolosamente rimasto vivo, da allora testimone oculare della strage.
Testimone senza mai incertezze, nonostante le illazioni della difesa per delegittimarlo, le stupidaggini delle postume perizie sulla “falsa memoria”, la “memoria indotta” e che ogni volta in aula, ha riconosciuto il suo (quasi) assassino: “Sei stato tu, Olindo, vergognati!”, avendolo avuto per anni suo vicino di casa e a meno di 30 centimetri dalla faccia, in quella sera di furori e fiamme, mentre lottava sulle scale per difendersi.
la montatura narcos
Piantatela di inquinare quel fiume di sangue versato, la memoria delle vittime, il dolore dei familiari, con sconclusionate ricostruzioni per smontare quello che si intuiva a occhio nudo: la vendetta dei vicini di casa – i poveri del piano terra, contro i ricchi del piano di sopra – l’odio e il rancore accumulati per anni, contro la famiglia dei Castagna, compreso un processo per minacce e percosse a Raffaella, che li hanno indotti alla spedizione punitiva, diventata strage.
L’ossessione delle “Iene”, la celebrità insanguinata di Azouz con Corona e Mora, il pm “innocentista” Tarfusser: gli asini però non volano
È quello il solo movente plausibile per agire con tanta crudeltà contro tre donne e un bambino, l’arma bianca e il fuoco per cancellare definitivamente quei corpi massacrati, la loro memoria, le prove dell’assalto. Altro che vendetta trasversale contro il marito di Raffaella, Azouz Marzouk, spacciatore da due lire, altro che ‘ndrangheta, trafficanti albanesi o tunisini o marziani tanto sconsiderati da compiere una strage da ergastolo per uno sgarro, venire dal nulla e sparire nel nulla, visto che non siamo nei mattatoi di Sinaloa, nel Messico dei narcos, ma a Erba cittadina della pettinata e ricca Brianza, dove non è mai più successo nulla del genere.
Piantatela di allestire false ricostruzioni e falsi elenchi delle “234 incongruenze nella ricostruzione del delitto” – non una di più, non una di meno – che la difesa ha il diritto di elencare, ma che il buon giornalismo dovrebbe raccontare e anche confutare insieme con le 999 congruenze dell’indagine, delle confessioni, del movente di odio verso Raffaella, “la ricca bastarda”.
È vero, esistono gli errori giudiziari, ci mancherebbe. Ma mai se n’è visto uno in presenza della confessione degli imputati che si vantano della loro ritrattazione: “Li abbiamo presi in contropiede – scriverà Olindo nel suo diario -. Non si aspettavano una strategia così semplice”. Mai con un testimone oculare. Mai con un alibi così sconclusionato come quello allestito da Olindo e Rosa, lo scontrino del McDonald’s di Como che avrebbe dovuto collocarli altrove all’ora (sbagliata) del delitto e che consegnano ai carabinieri prima ancora di essere interrogati.
La difesa ha il dovere di inseguire ombre, congetture, persino le più trascurabili incrinature di una indagine se serve ai propri assistiti, anche negando l’evidenza. Altra cosa è il giornalismo all’arma bianca – come quello delle Iene con dozzine di puntate a configurare una vera ossessione televisiva – seminando illazioni persino sulla colpevolezza dei familiari, inseguendo i fratelli Castagna, Giuseppe e Pietro, avvelenando loro la vita, per mesi, per anni, con gli agguati sotto casa, i controlli al lavoro, gli appostamenti, le telefonate, i sospetti.
porsche e retromarce
Piantatela di dare retta a Azouz, il marito di Raffaella, il padre di Youssef, che quella fatidica sera era in Tunisia, fu il primo dei sospettati, tornò a scagionarsi e per prima cosa chiese la pena di morte per Olindo e Rosa “certamente colpevoli”. Per seconda, si accordò con Fabrizio Corona, il fotografo, per vendergli in esclusiva le immagini del funerale di Youssef, celebrato in Tunisia. Per terza, si accordò con Lele Mora, l’allevatore dei tronisti a tassametro, per vendersi le serate in pizzeria e nelle discoteche della Brianza, sfruttare la sua insanguinata celebrità televisiva, girare per Erba su una Porsche in prestito, dire al telefono con un amico: “Sono i mesi più belli della mia vita, mi hanno proposto di lavorare in cambio di sesso. Sono arrivati a dirmi quanto vuoi per una scopata!”. Poi cambiare anche lui opinione su tutto, “Olindo e Rosa sono innocenti”, alimentare nuove interviste, arrivare a insinuare che forse i fratelli sono coinvolti, una diffamazione che gli è costata un processo, una condanna, un risarcimento di 70 mila euro mai pagati.
Piantatela di assaltare la magistratura, per esibirne lo scalpo da conficcare sui giornali della destra e sulle televisioni tutte o quasi addestrate alla perpetua delegittimazione delle procure, come voleva la propaganda della casta berlusconiana, sempre insinuando secondi fini nelle indagini, errori, prevaricazioni, interrogatori fasulli e scorrettezze: “Hanno fatto sparire le prove”, “Hanno suggerito le risposte agli imputati”, “Gli hanno fatto vedere le fotografie della strage per guidarli alla confessione”, eccetera. Piccole e grandi maldicenze, senza mai spiegare quale sarebbe stato il tornaconto per quelle forzature, bastando il veleno della calunnia esplicita o solamente allusa a nutrire di sospetti una strage senza misteri, una indagine senza errori, un processo senza ombre.
Piantatela di mandare avanti questa triste sarabanda mediatica che si autoalimenta, ricominciando ogni volta da zero. Come è accaduto con la new entry di un tale Cuno Tarfusser, procuratore aggiunto di Milano, che senza averne alcun titolo, “ma solo per amore di giustizie e verità”, ha chiesto, nell’aprile del 2023 (e forse determinato) la revisione del processo, prendendo per buone le motivazioni che la difesa ha presentato e ripresentato da anni senza esito. “Mi sono convinto della loro innocenza – ha detto in una intervista al Corriere, ripresa con entusiasmo da tutti i siti e dai giornali innocentisti -. E trovo insopportabile il pensiero che due persone probabilmente vittime di un errore giudiziario, stiano scontando l’ergastolo”.
Poi, sempre per amore di verità, si è subito candidato alle europee nella bella lista di Carletto Calenda, purtroppo ignorata dagli elettori, niente scranno a Bruxelles per il Tarfusser affondato e sdegnato dalla sentenza di Brescia: “Me ne vado in pensione!”, ha annunciato il giorno stesso. E poi “Non mi riconosco più in questa magistratura a cui ho dedicato 40 anni della mia vita. Sono schifato da questo sistema”.
Piantatela Olindo e Rosa. Scegliete un giorno e un’ora per smontare il castello di parole e di bugie in cui vi siete nascosti in questi anni di isolamento, solitudine, prigione, illudendovi che negare tutto era il modo “più sorprendente e più semplice” per cavarvela. Le serrature non svaniscono. E voi due, siete la prima.
Piantatela: gli asini non volano, Rosa Bazzi e Olindo Romano sono colpevoli della strage di Erba. Non ci sarebbe molto altro da aggiungere, dopo questi diciotto anni di circo mediatico e aria fritta, di desolante serie di finti processi televisivi, finti investigatori, di criminologi da seconda serata, di profiler un tanto al chilo, di esibizionisti […]