Stefano Nazzi: “Il delitto perfetto?  Non è mai esistito”
Interviste

Stefano Nazzi: “Il delitto perfetto? Non è mai esistito”

E oggi men che meno, fra Dna e telecamere. "Ogni volta però c'è qualcuno pronto a rivoltare i fatti"

di Silvia D’Onghia

“Il delitto perfetto non è mai esistito: ci sono elementi di casualità che non si possono conoscere in anticipo, ma che possono condizionare le circostanze. Sicuramente negli ultimi anni, con le nuove tecniche investigative, farla franca è diventato pressoché impossibile. A meno che tu non abbia un buon avvocato”. Stefano Nazzi, che nella vita precedente scriveva di turismo, è il giornalista italiano che ha reso il true crime (“che un tempo chiamavamo solo cronaca nera”) il genere più amato sui podcast: nel 2023, il suo Indagini si è piazzato al quarto posto tra quelli più ascoltati, addirittura davanti alle Lezioni di Alessandro Barbero. Tra aprile e giugno di quest’anno, il suo lavoro è diventato uno spettacolo teatrale che ha fatto registrare il sold out ovunque, non appena sono stati messi in vendita i biglietti. E a ottobre riprenderà con altre sei date tra Roma, Milano e Napoli. È anche autore, per Mondadori, di Il volto del male. Storie di efferati assassini e Canti di Guerra. Conflitti, vendette, amori nella Milano degli anni Settanta.

Nazzi, cos’ha capito della cronaca nera? Perché attira così tante persone?
È una domanda che mi faccio da sempre. Nelle piccole comunità, dove tutti si conoscono, un fatto di cronaca suscita interesse per forza. Ma ovviamente non è solo questo. Credo che tutti noi siamo attratti da ciò che ci sembra più lontano e che non capiamo. E così, con l’aiuto del racconto, proviamo a dare un senso a cose che magari non lo hanno o che ci fanno paura. Non solo: conoscere ci fa sentire migliori.

Il male assoluto? Probabilmente Angelo Izzo del delitto del Circeo. Farla franca oggi è quasi impossibile. A meno di non avere un buon avvocato

“Indagini”, quindi, risponde a queste esigenze?
Non sono un giornalista investigativo, non scopro cose nuove. Anzi, spesso sulle scoperte ho delle perplessità. A volte si rileggono storie chiuse focalizzandosi su alcuni aspetti particolari e perdendo di vista l’intero. Ci sono casi che si sono caricati di ipotesi, luoghi comuni, fake news. Ancora oggi mi sento dire che Anna Maria Franzoni era parente della moglie di Romano Prodi… Sono convinzioni difficili da sradicare. Ecco, io cerco di mettere in ordine, togliendo l’inutile polvere che si è depositata intorno alle storie, trasformandole.

Da Cogne a Erba: qualcuno mette una speciale polvere su certe storie che diventano “casi”, altre ugualmente terribili scompaiono. Senza contare il circolo vizioso social

Ed è quella polvere che crea morbosità?
È un circolo vizioso: è facile dare la colpa ai giornalisti che, sulla carta come online, sono impegnati ad aggiornare continuamente le notizie, ma anche costretti a dare uno sguardo ai social. È diventata una tendenza quasi ossessiva. Gli uni dipendono dagli altri, e viceversa.

Ma un giornalista dovrebbe limitarsi a raccontare i fatti…
Ognuno di noi ha un’opinione, ma un conto è scrivere un editoriale, un conto un articolo di nera o di giudiziaria. Il problema è che la cronaca stessa è diventata terreno di battaglia politica. Pensi a coloro che, esulando dal singolo caso, si schierano contro o a favore dei magistrati, orientando in questo modo l’opinione pubblica. Le indagini e i processi sono straordinariamente complessi, non se ne può isolare una singola parte ed esprimere un giudizio. E soprattutto non è necessario avere sempre un’opinione su tutto. Il compito di giudicare non è affidato alla stampa.

Chissà perché mi viene in mente il processo sulla strage di Erba che – forse anche grazie alla spinta mediatica delle Iene – è stato sul punto di essere riaperto. Fino a quando il 10 luglio scorso le istanze di revisione sono state dichiarate inammissibili.
Sono andato a rivedermi gli atti, i video delle confessioni (che si trovano su Youtube e non dovrebbero) di Rosa Bazzi e Olindo Romano. Le Iene hanno fatto una cosa legittima: sono partiti da una tesi e l’hanno sostenuta. Ma nel processo ci sono tanti altri elementi che andrebbero presi in considerazione. Mi chiedo perché la stessa attenzione mediatica non venga riservata ad altri casi, come quello del delitto di Ponticelli. Il 2 luglio 1983 due bambine, Nunzia Munizzi e Barbara Sellini, di dieci e sette anni, vennero rapite e assassinate nel quartiere di Ponticelli, a Napoli. Polizia e carabinieri indagarono in direzioni diverse senza comunicarsi i rispettivi risultati. Due mesi dopo il delitto vennero arrestati tre ragazzi ventenni: Luigi Schiavo, Ciro Imperante e Giuseppe La Rocca. Furono tutti condannati all’ergastolo.

Allora rilancio con il caso di Perugia, sul quale l’opinione pubblica ha un giudizio colpevolista nonostante l’esito processuale.
Le prove non ci sono – dicono i giudici – a eccezione di quelle su Rudy Guede, e non si può dunque accertare quello che è successo. La Cassazione, però, parla di inusitata attenzione mediatica che ha portato a un’accelerazione delle indagini. Questo ha contribuito alla convinzione che sia stato fatto un gran casino.

Al contrario, lei sostiene che la più grossa indagine scientifica che sia stata fatta in Italia, e forse in Europa, è quella sull’omicidio di Yara Gambirasio.
Eppure anche in questo caso ci sono gli innocentisti che chiedono le revisione del processo. La verità è che adesso qualsiasi storia viene rivoltata.

Restiamo sulle indagini: è stata l’introduzione dell’esame del Dna a cambiarne il corso?
Non soltanto: se ci fossero state le telecamere ai tempi del rapimento di Emanuela Orlandi, qualcosa in più sapremmo. Non significa che non sarebbe accaduto qualcosa di orribile, ma che almeno sapremmo chi c’era con lei, chi era nei pressi. Da quando sono arrivate le nuove tecniche scientifiche, le forze di polizia giudiziaria hanno fatto passi da gigante. Ed è stato un deterrente: gli omicidi sono diminuiti in maniera esponenziale anche per questo.

Un altro assassino cui avremmo dato un nome?
Pensi al delitto di Via Poma: c’erano tracce di sangue ovunque. Se gli investigatori avessero potuto esaminare il Dna (allora la tecnica era embrionale e ancora poco utilizzata), il caso si sarebbe potuto risolvere velocemente. Certo, c’è sempre l’ipotesi errore umano, ma la scienza non sbaglia.

La scienza però può rimanere muta, se non c’è una persona che poi mette insieme i pezzi.
Quando fu scoperto il Dna sugli slip di Yara Gambirasio, gli inquirenti arrivarono all’individuazione di una persona, il cui Dna però non corrispondeva precisamente. A quel punto, ebbero l’intuizione del “figlio illegittimo” e partì l’indagine tradizionale: i carabinieri in borghese girarono per i paesi, si guadagnarono la fiducia delle persone e scoprirono che quel signore aveva avuto una relazione clandestina dalla quale era nato un figlio. Le indagini tradizionali continuano a essere fondamentali.

Passiamo allo step successivo, prima lo accennava: i processi sono altrettanto complessi.
C’è il lavoro di avvocati e giudici, e anche qui la bravura conta. Se hai un legale scarso, non vai da nessuna parte. I difensori di Olindo e Rosa sono stati bravissimi, così come quelli di Perugia. Una buona difesa ha dei costi enormi, le indagini difensive hanno dei costi enormi. Che possono permettersi in pochi.

E quindi una persona ricca ha più possibilità di evitarsi la condanna. Il delitto perfetto è di chi se lo può permettere.
L’ex comandante del Ris, Luciano Garofano (leggi a pag. 36), diceva: “Non ci sono delitti perfetti, ci sono indagini perfette”. Per fortuna, grazie alle nuove capacità investigative e grazie alla tecnologia, è tutto molto sotto controllo. Possiamo aprire un dibattito sulla privacy, ma è un altro discorso.

Nelle sue “Indagini”, ha mai incontrato il Male assoluto?
Se c’è qualcosa che gli si avvicina è Angelo Izzo (uno dei tre autori del massacro del Circeo, cui Nazzi ha dedicato il suo spettacolo, ndr). Vedendo i video del processo, pensi “questo è proprio cattivo, inutile cercare giustificazioni o motivazioni, gli piace far del male alle persone”. Nel 2005, dopo aver ottenuto l’anno prima la semilibertà, uccise altre due donne. Io sostengo che il Male assoluto non esiste, ma a volte non è così.

E in base a cosa dice che il Male non esiste?
Cerco di contestualizzare, guardo le percentuali dei reati e delle denunce: gli assassini costituiscono una parte infinitesimale della popolazione. Esistono e bisogna farci i conti, ma viviamo in un mondo più sicuro di quello di trent’anni fa.

Ci sono casi che, invece, le fanno male?
Quelli ai danni di soggetti deboli sono difficilissimi da raccontare. Penso al piccolo Tommaso Onofri, neanche due anni, rapito e ucciso nel 2006 nel parmense. Ecco, posso cercare di contestualizzare, di fare tutti i ragionamenti che voglio, ma ci sono ragionamenti che non possono essere fatti.

“Il delitto perfetto non è mai esistito: ci sono elementi di casualità che non si possono conoscere in anticipo, ma che possono condizionare le circostanze. Sicuramente negli ultimi anni, con le nuove tecniche investigative, farla franca è diventato pressoché impossibile. A meno che tu non abbia un buon avvocato”. Stefano Nazzi, che nella vita precedente […]

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