Quando arrivo a Milano centrale il treno per Varenna è quasi vuoto. Com’è possibile? Non dovrebbe essere preso d’assalto dai turisti? Manca oltre mezz’ora alla partenza. Ecco perché non c’è nessuno. Sono arrivato in anticipo. Non sempre chi ha problemi di orario arriva in ritardo. Ma verso le 9.30 i posti sono già esauriti come da copione. Intanto di fianco a me si è seduta una bella donna sui quaranta. Salopette verde, Birkenstock rosse, mascherina nera. Se l’è messa, mi spiega, perché reduce da una polmonite. Viene da una cittadina vicino a Washington e naturalmente è diretta a Varenna. Le chiedo perché abbia attraversato l’oceano per vedere il “Como Lake” invece che Pompei o Venezia. Ha una passione per i laghi e l’arte contemporanea, spiega. Dopo Varenna tornerà a Milano e prenderà il treno per Basilea e Ginevra. Il vagone è ormai stracolmo. La gente in piedi si sostiene a vicenda, tra passeggini, bici, zaini, e il pianto di un bambino trapassa la folla. Fuori Milano spuntano capannoni nel verde.
L’americana si chiama Monica e dice che anche dalle sue parti stanno costruendo capannoni, ma grandissimi e senza finestre, né lavoratori. Le sedi dei nuovi data center. Fa la bibliotecaria e si occupa di libri per bambini. Le racconto che “quel ramo del lago di Como” è lo sfondo del più celebre romanzo italiano, The Betrothed. Titolo poco musicale in inglese che si confonde con beetroot, barbabietola. «Mai sentito nominare». Di Manzoni conosce solo quello della merda d’artista. Strano che nessuno cerchi di sfruttare la moda del lago rilanciando I promessi sposi. Non è mai stato molto considerato all’estero per via dell’impianto moralistico, divina provvidenza e così via. Tra le pagine più riuscite quelle sulla monaca di Monza, le spiego mentre arriviamo a Monza, suora assassina, true crime.
e tutti dicono “wow”
Appena il lago compare al finestrino i passeggeri, tutti stranieri, si lasciano andare a una serie di wow. Per poco non scatta l’applauso. Ma la felicità dura poco perché si diffonde la notizia che il treno fermerà a Lierna causa frana. Quando arriviamo, l’annuncio in inglese è chiaro e fatale, ma seguito da un altro più incerto in cui si dice che per Varenna bisogna tornare a Lecco e prendere il battello. Non potevano dircelo direttamente a Lecco dove siamo transitati? La biglietteria è chiusa. Una turista orientale mostra una mappa a un lavoratore annerito dalla fuliggine e interdetto. Altri cercano di decifrare il tabellone degli orari. Presto gira voce che è possibile prendere il battello per Bellagio e da Bellagio un altro per Varenna. Niente di certo, ma tutti sentono che conviene incamminarsi verso il lago anche se nessuno sa dove si trova.
in coda con lo spritz
Sotto lo sguardo incuriosito dei liernesi, che fanno colazione al bar in questo torrido sabato mattina, arriviamo a ranghi sparsi all’imbarcadero. Il pontile è deserto e sbarrato. Piano piano la folla si concentra sotto al sole. Viene aperto qualche ombrello. Non ci sono persone vestite in tenuta turistica sbracata, camicia hawaiana, pantaloni a pinocchietto. Una rossa, dalla carnagione lattiginosa e coperta di tatuaggi, si rinfresca con un ventilatore portatile. Dice di essere polacca, ma vive ad Amburgo. Quattro ragazze di Cadice, sempre sulla ventina, giocano a carte. Sono le undici e mezzo e siamo ancora qui.
“Dioo c…!”. Un urlo disumano fende la folla. Si vede avanzare una donna piccola e con un’uniforme tipo vigile, il contapersone appeso al collo. «Non stateee ammassatiii!». Spiega che arriverà un battello per le 12.30. Saliranno tutti. La fila si è però ingrossata. «Ci stanno settanta persone. Poi non faranno salire più nessuno». Peccato che i turisti non capiscano l’italiano. Sono tutti stranieri. Infatti nessuno maledice il governo ladro mentre cerca di fregare l’altro nella fila. Salgo su un muretto e traduco quello che ha detto la bigliettaia. Tutti mi guardano sollevati. Ho l’impressione che potrei disporre di questo manipolo di villeggianti, tra un cappellino che riproduce la Notte stellata di Van Gogh e ciabatte rosa imbottite, e tentare la conquista del municipio di Lierna.
Si vede all’orizzonte un battello e un fremito attraversa la coda, ma la bigliettaia urla di fare spazio. Si sgola come se i decibel possano rendere comprensibile l’italiano agli stranieri. Il battello si chiama Renzo e andrà in direzione opposta. La folla si divide in due parti e lascia passare chi scende. Poi si richiude. La fila si è allungata. A occhio e croce non tutti potranno salire. Una ragazza dall’accento slavo sorseggia uno spritz in un bicchiere di plastica. Il battello della salvezza si materializza sotto al sole, un puntino all’orizzonte e si chiama Lucia. Quando attracca, si sale sospinti dalla gente dietro e la bigliettaia lancia altri improperi, niente bestemmie: «Andate piano! Non riesco a contarvi!». «Ma spingono…», si sente dire. I giovani colleghi della bigliettaia ci guardano salire con compatimento come un branco di pecoroni.
“Vedi la strada che scende dalla stazione? È come l’uscita dallo stadio. Alle due devo chiudere perché non c’è più posto”
all’assalto del traghetto
Il clima si fa più rilassato a bordo. Gonfie nuvole di cotone candido galleggiano in un cielo blu terso. Il lago è verde e scintillante. Tutti fanno e si fanno foto col telefonino. Bellagio compare all’orizzonte e l’insegna di una villa, trasformata in grand hotel cinque stelle, ci osserva dall’alto in basso come dei pezzenti, suggellando lo spirito fantozziano della giornata: “Serbelloni”. In breve siamo di nuovo tutti ammassati per prendere il battello diretto a Varenna. Divisi in due scuole di pensiero: chi si è messo, senza biglietto, davanti all’imbarco, e chi in fila per la biglietteria. Io sono indeciso, ma sfrutto il vantaggio linguistico appena sento un ragazzo in divisa blu dire: «Dovremmo starci tutti, ma in caso contrario si darà la precedenza a chi ha già il biglietto». Entro nella fila della biglietteria, finché vedo che il battello sta arrivando. Se la massa lo inonderà non ci sarà nessun diritto di precedenza. E così mi butto anch’io.
La rossa polacca ha prenotato la visita a villa Monastero, dove forse Leonardo ha dipinto la Madonna del garofano, ed è preoccupata perché l’ingresso era previsto per mezzogiorno. Dico che la faranno entrare comunque e mi offro per perorare la sua causa. Ma non appena il battello tocca la sponda del borgo incantato scatta come una scheggia ignorando la mia offerta. Capisco di essere sospetto: sono l’unico italiano. Pur abitando a Milano, non sono mai stato a Varenna. Come dire, per loro, che uno di Genova non è mai stato a Portofino. Inoltre chiedo a tutti come mai sono qui invece che a Porto Cervo, Taormina o Amalfi. Sono arrivato al punto di dire a una coppia di Brno, incontrata sul battello, che anche in Moravia hanno laghi come questo facendo il nome di un piccolo bacino artificiale, Šemina, con topi in spiaggia.
Dopo essere stato capopolo mi ritrovo solo. Varenna però scalfisce il mio scetticismo. Tra palme e alti cipressi ci viene incontro ripida nella luce sempre più netta dopo una notte di tempesta. L’acqua è turchese come quella di un lago alpino. Pochi eleganti motoscafi di mogano la solcano sollevando una scia argentea. Montagne imponenti e verdissime come quelle del Borneo incombono come se tutto il resto non bastasse e il creatore avesse voluto strafare. Inizio a capire qualcosa della moda del “Come Lake”. Tutta questa bellezza a un’ora di treno da Milano. Quindici euro andata e ritorno. A Lugano ti ci fai cappuccio e brioche. La folla intanto si è dispersa. Varenna non è per niente invasa dai turisti. La frana ha fermato l’orda barbarica? Più mi guardo intorno e meno ne vedo. Ho il paese tutto per me. Caso più unico che raro. Il problema è che sono qui per raccontare l’overtourism. Potrei buttarla sul cambiamento climatico, le catastrofi naturali, l’estate monsonica della Brianza?
la spiaggia dei cani
Vedo un mercatino in un parco e chiedo qualche informazione a una donna che vende articoli per la bellezza molto particolari: guanti di crine di cavallo bianco, spazzole in cactus per la schiena, spazzolini in setola di pony per la stimolazione del viso, lime per le unghie in vetro e cosmetici a base di bava di lumaca… Si chiama Sara e la sua azienda L’Essenza. Lamenta che il sindaco, Manzoni manco a dirlo, ha relegato il mercatino nel parco lasciando invece il banchetto di lavanda, poi diventato negozio, in posizione strategica. Diversamente dal suo predecessore non vuole far lavorare tutti, penalizza i non varennesi. Lei del resto è liernese. Vengo travolto da un dubbio: se qui non c’è quasi nessuno, vuol dire che i turisti hanno invaso Lierna? Probabile, dice Sara gettandomi nello sconforto. Le chiedo dove si può fare la spesa, e risponde che esistono degli alimentari che fanno anche da bar, ma hanno prezzi piuttosto alti. Se sei del posto paghi meno. Un po’ come nei paesi dell’Est dopo il crollo del Muro. Le chiedo dove si può fare il bagno. «La gente – risponde – si butta qui sotto al ponte, dove però il lago diventa subito profondo, e senza neanche un cartello che avverta della mancanza di un bagnino. Ora però, vedi, la spiaggia è sommersa. Forse alla spiaggia dei cani…».
Compro dei grissini alle olive, una bottiglia d’acqua e una brioche in un negozio verso la stazione. Un cappuccino, leggo, costa 3,5 euro. Devo andare alla toilette, ma al minimarket, che pure funziona anche da bar, non c’è. Esco e provo a entrare in un club signorile con prato verde e piscina vista lago. Faccio due chiacchiere con un muscolosissimo ragazzo, Stefano. Viene da un borgo sopra Varenna. Si lamenta che oggi il paese è semideserto: «Vedi la strada che scende dalla stazione? Tu non hai idea! Arrivano come all’uscita dallo stadio. Alle due devo chiudere i cancelli perché non c’è più posto. Viaggiano sul treno ammassati come bestie, con rispetto parlando». Gli chiedo se la frana verrà riparata in tempo per tornare. «La frana non è grande come quella dell’anno scorso. Sono caduti alcuni sassi verso Fiumelatte. Ma per riaprire deve uscire il geologo, il prefetto. Passeranno giorni».
Solo tre quattro sdraio sono occupate. Arriva una famiglia nordica, chiede informazioni e se ne va. Il costo per sdraio non è alto: trenta euro, ma per quattro persone sono centoventi. «Noi lavoriamo bene, ma qui arrivano i barboni, per così dire. Chi ha i soldi va sull’altra sponda. Non hai idea dei ricchi che girano dall’altra parte, dove non c’è il treno. Limitare il flusso non è facile, ma bisogna cambiare. Le case di Varenna ormai sono tutte in affitto e dopo la stagione è il deserto».
Mi consiglia di visitare il castello di Vezio da cui si vede tutto il lago. Salgo per una strada tra le macchine, poche in realtà, sudando sotto il sole delle due. Arrivo a Perledo, ma mi rendo conto di essermi perso. Ho raggiunto la vetta, ma non vedo nessun castello. Conviene tornare? Altra sconfitta. Sento voci provenire da un cortile tra le case di pietra immerse nel silenzio. Mi avvicino e chiedo le indicazioni. Una donna con tono scherzoso dice: «Aldo, chiedono dov’è il castello». Esce un uomo con una maglia del Cagliari giallo fosforescente, molto allegro e dice: «Sei capitato bene! Entra a bere un bicchiere. C’è un compleanno!». Poi mi squadra: «Sarai mica terone», scherza. Rispondo che sono di Canicattì. Tutti scoppiano a ridere. Poi spiego che sono originario dell’Oltrepò, per stare in tema alcolico. Aldo mi fa sedere accanto a lui. Mi versa del vino dell’Oltrepò, barbera di Corvino San Quirico, se non ricordo male (la memoria inizia ad annebbiarsi). Arriva un’amica di Aldo e si taglia la torta. Le hanno appena ritirato la patente per guida in stato di ebbrezza. Le amiche, più brille di lei, hanno aggravato la situazione facendo proposte di sesso orale ai carabinieri. Alla guida in stato di ebbrezza, si è aggiunto l’oltraggio a pubblico ufficiale. Aldo si alza e torna con un’antica spingarda da caccia alle anatre, ma impugnandola come una mazza da baseball per la lunga canna. Un’incontenibile allegria montanara.
un cuore per instagram
Me ne vado, dopo avere ringraziato, e scendo in una luce che si è fatta ancora più tersa e irreale. Il lago è un tavola immobile. Passo davanti alla stazione deserta. L’altoparlante, come in un film apocalittico, raccomanda a inesistenti passeggeri di non superare la linea gialla sulla banchina. Il mercatino è sparito. Percorro la passeggiata degli innamorati, un tunnel di fiori, fino ad arrivare al “cuore”, l’arco rosso di metallo per le foto da Instagram. È in controluce. Mi faccio fare una foto, ma vengo fuori come una sagoma nera. Non è la mia giornata.
Alle sette mi dicono che non troverò più battelli. Mi dirottano al bus per Como. C’è chi resta a terra, e il viaggio non finisce mai
Faccio una foto, poco più avanti, a una coppia di ventenni. Lei bassa in short di jeans e ciabatte. Lui biondo e atletico in canotta bianca, involontariamente bossiana, calzoni da trekking e scarponi. Si chiama Jack, viene dalla Nuova Zelanda, nientemeno. Dalla Nuova Zelanda per vedere Varenna, mi stupisco. No no, mi rassicura, ora vive in Inghilterra. Verso le sette la luce è ancora forte, da giorno d’estate eterno. Sulla roccia è appesa una lastra con una poesia di David Maria Turoldo. Consiglia di vedere Varenna in autunno, velata di luce obliqua, e finisce così: “Vai/ e vedi e guarda e lascia/ che ti prenda la grazia/ e tu ami persino di essere quello sei”.
Come se non bastassero le beffarde parole di Turoldo, mentre mi imbarco alle sette per Bellagio mi dicono che non troverò più battelli per Lierna. Troppo tardi. Guardo per l’ultima volta Varenna in tutto il suo splendore fotogenico che si allontana. A Bellagio mi dirottano sull’autobus per Como. Mi unisco alla fila. Ci staremo tutti? Arriva l’autobus, ma è pieno e tira dritto. Allora corre una voce nella folla: «Andiamo alla fermata precedente». Mi metto anche io di passo buono. Riesco a salire. Alla fermata successiva, si riempie subito tutto. Alcuni restano a terra. Ci sono una decina di persone in piedi. Mi siedo vicino a una mamma indiana con bambino che si scaccola soddisfatto per essere seduto. Quando nell’aria si è diffusa una sfumatura di tramonto, salgono due ragazzi arrossati e freschi di bagno. Trovano posto solo sui gradini interni che portano ai sedili, così vicini che si direbbe stiano per baciarsi.
una mania comprensibile
Il viaggio per Como non finisce mai. Lungo un serpente di asfalto stretto, l’autobus con precisione millimetrica sfiora altri autobus in direzione opposta. L’autista deve avere fatto scuola guida in Nepal o sulle Ande. Non si arriva più. Le curve continuano a sballottarci, ma gli improvvisi scorci di lago argenteo tra le fronde degli larici mi convincono che non sono gli stranieri a essere folli nella loro mania del “Como Lake”, ma noi a snobbare quello che abbiamo a portata di mano. Mi converto al culto pagano ricordando le parole di Frazer sul lago di Nemi: “No one who has seen that calm water, lapped in a green hollow of the Alban hills, can ever forget it”.
Sul treno per Milano, incontro nuovamente le ragazze spagnole che giocavano a carte in coda per il battello. Mi spiegano che hanno fatto il bagno. «Dove?», chiedo invidioso dopo avere sguazzato tutt’al più nel barbera. «Alla spiaggia dei cani, l’unica non sommersa». C’erano cani? «Solo uno al largo. E una cacca di cane che galleggiava. Piccolina però».
Quando arrivo a Milano centrale il treno per Varenna è quasi vuoto. Com’è possibile? Non dovrebbe essere preso d’assalto dai turisti? Manca oltre mezz’ora alla partenza. Ecco perché non c’è nessuno. Sono arrivato in anticipo. Non sempre chi ha problemi di orario arriva in ritardo. Ma verso le 9.30 i posti sono già esauriti come […]