L’ultimo libro sul Mostro di Firenze ha un titolo assai indicativo: Il mostro è libero (se non è morto). È uscito nel giugno del 2024 e questo significa che a quasi cinquant’anni dal primo delitto attribuibile al Mostro, com’è identificato e riconosciuto l’autore della strage della coppiette che tra il settembre del 1974 e la prima metà degli anni Ottanta insanguinò le notti della campagna fiorentina, esiste ancora un vasto universo di persone che continua a mettere in discussione la verità giudiziaria. Che, dopo il terzo grado di giudizio, dice che colpevoli per almeno 4 dei 7 duplici omicidi sono Mario Vanni e Giancarlo Lotti, i “compagni di merende” che agirono in concorso con Pietro Pacciani, un contadino originario del Mugello e vissuto in Val di Pesa.
Gli innocentisti sono nati sui forum online e oggi operano all’interno di gruppi Facebook, gestiscono web radio e alimentano blog; sempre di più, negli ultimi anni, promuovono le proprie teorie pubblicando lunghi monologhi su YouTube, ma anche la tv quella vera, in prima serata e sulle reti pubbliche, dà spazio a chi afferma che Pacciani è morto innocente (Salvo Sottile a Far West su Rai3, nel dicembre del 2023). «Il Mostro di Firenze è la mamma di tutti i casi controversi o “irrisolti”. Questa roba va avanti da almeno vent’anni, è esplosa negli anni Zero, prima internet non era ancora così diffuso», ricostruisce Roberto Taddeo.
Ex avvocato, fotografo professionista, nel 2023 per Mimesis ha firmato un’opera memorabile in tre volumi, oltre mille pagine per raccontare (tutta) La storia del Mostro di Firenze. Nel terzo, dedica un capitolo efficace e divertente alla mostrologia, classificando tutte le sotto-categorie, a partire dalla prima e più rilevante, che divide appunto gli innocentisti dai colpevolisti (che a partire dalla sentenza del processo che si è chiuso 2000 continuano ad approfondire il caso, per indagare storicamente aspetti che la verità giudiziaria non è stata in grado di provare).
“Il problema è che nella Toscana rurale Pacciani poteva essere il nonno di tutti noi. Molto meglio designare un colpevole inafferrabile”
e poi ci sono gli “unicisti”
«La mostrologia nasce con l’innocentismo, un blocco di persone che fanno una critica severissima della sentenza, mentre i secondi rappresentano una sorta di contro-movimento, perché le teorie dell’innocentismo sono ancora dilaganti», spiega Taddeo. Zigzagando tra “unicisti indeterministi” (un killer unico, mai sfiorato dalle indagini), tra chi crede che l’assassino sia un agente delle forze dell’ordine e chi un fantomatico “Rosso del Mugello”, passando in rassegna i complottisti estremi e le idee degli “innocentisti sciolti”, battitori liberi del dibattito social, «ha una dignità chi almeno individua un suo colpevole, soggetti in cui noto – sostiene Taddeo – almeno uno sforzo, che posso definire tra mille virgolette investigativo. Dal punto di vista storiografico, invece, è svilente la teoria del serial killer unico e solitario mai sfiorato dalla indagini, affascinante senz’altro in un film di serie B: le evidenze che a colpire fosse un gruppo ben individuato esistono e sono molto chiare. Fa fatica, però, a morire un’idea quasi romantica, e sai perché? Perché ancora oggi ci fa comodo mettere fuori dalla nostra micro-società quel soggetto, il Mostro. Nel mio libro, che parte dall’infanzia del Pacciani, provo a ricostruire la cultura rurale toscana degli anni Sessanta-Settanta: il problema è che Pacciani era il nonno di tutti noi che oggi abbiamo poco più di quarant’anni e per questo non poteva essere il Mostro di Firenze. Molto meglio designare una cosa “altra” e lontanissima da me, da tutti noi, l’inafferrabile».
Le teorie alternative fioriscono perché la verità processuale è incompleta. Riguarda quattro delitti e ne lascia scoperti tre, i più datati
il cronista e il carabiniere
La corrente innocentista a cui fa riferimento il giornalista Pino Rinaldi, autore di Il mostro è libero (se non è morto), è invece quella dei “sardisti”. Come esemplifica il sottotitolo del suo libro, “16 delitti ancora senza il vero colpevole”, Rinaldi ascrive al mostro anche il duplice omicidio del 22 agosto 1968, quello che a Signa vide come vittime Barbara Locci e l’amante Antonio Lo Bianco, un delitto passionale, un femminicidio maturato in tutt’altro contesto, ma commesso dalla stessa arma che sparerà nei delitti del Mostro, una Beretta calibro 22. Locci, il marito Stefano Mele e altri due tra i suoi amanti, implicati nell’omicidio, i fratelli Francesco e Salvatore Vinci, erano originari della Sardegna, perciò questa corrente prende il nome di “sardismo”.
I suoi seguaci portano il verbo di Nunziato Torrisi (che firma il libro con Rinaldi), colonnello comandante del Reparto operativo dei carabinieri durante i delitti del mostro di Firenze dal 1983 al 1986, grande promotore della cosiddetta pista sarda, che vide accusati di essere il Mostro e quindi a processo senza esito i due fratelli Vinci.
Così Rinaldi e Torrisi, con un atteggiamento assimilabile al negazionismo e al revisionismo storico, parlano del Mostro di Firenze come di un cold case, un delitto irrisolto: il primo lo ha fatto a inizio luglio anche a Uno Mattina Estate e con tutta probabilità arrivati qui ha già iscritto anche noi di FQ Millennium tra i colpevolisti, per il riferimento nelle prime righe di questo articolo al 1974 come data del primo delitto del mostro.
Era il 14 settembre e Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore, due fidanzati di 18 e 19 anni, vennero trucidati in località Rabatta, una frazione di Borgo San Lorenzo, in Mugello. «L’elemento distintivo del Mostro di Firenze, il suo marchio, è il vilipendio genitale post mortem, che si trova per la prima volta nel 1974, quando il corpo di Stefania Pettini venne oltraggiato con un tralcio di vite nella vagina, una mossa che anticipa le escissioni che avrebbero caratterizzato i delitti successivi» racconta Francesco Maria Petrini, storico antichista e docente universitario: in rete, negli ambienti mostrologici, è Francis Trinipet e il suo canale You Tube @jordanerocks è uno scrigno di ricostruzioni storiografiche delle vicende del mostro.
«Faccio lo storico del Mostro di Firenze, non sono un mostrologo improvvisato, e anch’io sono cauto nel manovrare le vicende relative ai compagni di merende, perché mi pongo il problema delle loro reticenze».
“Legionari di merende” è il titolo dell’intervento di Trinipet al Convegno nazionale sul caso del Mostro di Firenze che si è tenuto a Vernio (Pt) il 16 luglio 2022, presso l’agriturismo Le Bandite. Il legionario che richiama, recuperando il lavoro d’inchiesta dell’avvocato Vieri Adriani e dell’ex pm Paolo Canessa, è Giampiero Vigilanti, nato a Vicchio (come Pacciani), missino, già membro della Legione straniera, morto ultranovantenne nel gennaio del 2024: è l’ultimo soggetto sospettato di essere il mostro ad uscire di scena.
non solo merende
«All’inizio, nel 1985, la pista Vigilanti prese piede come alternativa a quella legata a Pacciani. Era un’opzione investigativa, una tra le tante, come lo sono stati il coinvolgimento del medico perugino Francesco Narducci o del farmacista di San Casciano in Val di Pesa, Francesco Calamandrei, che venne denunciato dalla moglie. Dal 2000 in poi ci si rende conto che queste piste “alternative” o “esclusive” portano a persone in contatto con Pacciani. Da ragazzini, a Vicchio, Pacciani e Vigilanti si frequentavano. In più, l’ex legionario conosceva i due fratelli Vinci, i sardi amanti della Locci, anche loro a lungo accusati di essere il Mostro».
Questo legame tra Vigilanti, i Vinci e Pacciani avrebbe potuto aiutare a rispondere a uno degli enigmi che rende la storia tanto avvincente e il dibattito sul Mostro di Firenze così acceso: l’arma del delitto non è mai stata ritrovata. La Beretta calibro 22 che uccise nel 1968 e in tutti i successivi delitti attribuiti al Mostro di Firenze non c’è. Questo, in un “Paese ossessionato dalla cronaca nera”, come ha detto alla giornalista Stefania Parmeggiani lo scrittore ed ex magistrato Giancarlo De Cataldo, è uno degli inneschi della mostrologia, alimentata dai media e dalla politica che usano “la cronaca nera come arma di distrazione di massa”. L’intervista è uscita a marzo sul Venerdì, nell’ambito di un’inchiesta sui gialli italiani che appunto non finiscono mai.
Verità giudiziaria. Per alcuni delitti del “Mostro”, nel 2000 sono stati condannati definitivamente Mario Vanni e Giancarlo Lotti, i “compagni di merende” di Pacciani
Nemmeno la morte di Vigilanti rappresenta la fine di questa saga interminabile. Esistono almeno tre motivi validi per tenerla aperta, sottolinea Daniele Piccione, 48 anni, avvocato e consigliere parlamentare del Senato, studioso di diritto costituzionale, già Capo della segreteria della Commissione parlamentare Antimafia. Ecco il primo: «La verità processuale, anche per chi la ritiene veritiera e aderente a quanto accertato, è incompleta; copre infatti solo quattro duplici delitti, lasciandone scoperti altri tre, i più risalenti, quelli del 1974 e i due del 1981, sui quali non si sa nulla di certo processualmente e si può dedurre solo razionalmente il coinvolgimento di tutti o alcuni degli autori degli altri. Un altro problema è che anche sui quattro delitti più recenti (1982-1985), la verità non è completa, perché la Corte d’Assise d’Appello, nel confermare le condanne a Lotti e Vanni, rilevò che era implicato qualcun altro a vari livelli, ma sono punti non chiariti. La sensazione che dei due testimoni oculari, in particolare uno, Giancarlo Lotti, non abbia detto tutto ciò che sapeva. Questo fa sì che non esista lo stesso novero di attenzioni morbose per nessun altro mistero italiano, nemmeno sul rapimento e l’omicidio di Aldo Moro e i componenti della sua scorta, il caso più importante della storia repubblicana».
omicidi calcolati
E ancora: «I delitti del Mostro sono un unicum assoluto. Non si è mai vista una meccanica del genere, con un omicida seriale così freddo, quasi distaccato e calcolatore, mentre di solito è legato a un’abitudine, quando non in balìa di una compulsione a ripetere, che spesso ne determina la cattura, dopo un errore». Terzo elemento raro: «Non vi sono atti sessuali durante il delitto, né sul corpo della vittima, ma gli autori prelevavano il feticcio o i feticci. Questa situazione colpisce l’immaginario, non è stata ancora spiegata dal punto di vista del movente e del quadro criminologico di insieme e non esiste altrove».
Piccione s’è avvicinato per la prima volta alla questione del Mostro prestando servizio al Consiglio superiore della magistratura, studiando il caso del procedimento disciplinare nei confronti del magistrato Giuliano Mignini, che indagava sulla morte di Francesco Narducci, un medico umbro che sparì misteriosamente il giorno 8 ottobre 1985 e fu rinvenuto cadavere il 13 dello stesso mese. Il nome di Narducci era stato accostato alla vicenda del Mostro. «Studiando gli atti, mi resi conto dell’enorme complessità della vicenda, quindi da un lato un po’ diverso da quello che in genere innesca le attenzioni degli appassionati in rete» spiega Piccione.
A segnalare qualcosa di ancora non spiegato vi è la circostanza della disponibilità economica di Pacciani e Vanni, che Piccione definisce «anomala». Su queste cose, sottolinea Piccione, «la mostrologia innocentista passa un tratto di spugna, asserendo che sono dati non provati, anche se le risorse a disposizione di Pacciani negli ultimi 15-20 anni della sua vita erano spropositati rispetto agli impieghi che aveva svolto: non era un miliardario certo, ma c’era uno sbilanciamento tra redditi da lavoro su cui aveva potuto contare e quanto effettivamente era nella sua disposizione. Questo dimostra, a mio parere, che c’era un giro di denaro intorno ai delitti, che fa immaginare che nel gruppo non c’era solo un’accozzaglia di persone riconducibile a strati miseri della società sancascianese». Secondo Piccione, anche il medico Narducci potrebbe essere caduto nel gorgo, a tratti, magari non con continuità e forse sotto ricatto.
il mistero del lago
Ecco perché secondo lui è rispettabile ma discutibile la tesi alla base di titoli come Il mostro è libero, che dimostrano un «nostalgismo per la pista sarda, mentre altri portano avanti teorie complesse, come quella secondo cui il Mostro sarebbe il killer dello Zodiaco che aveva colpito in California tra il 1967 e la fine degli anni Settanta, un’idea un tantino artificiosa che, nel momento in cui trascura del tutto quanto chiarito processualmente, può trarre in inganno». A marzo 2024 Fedez ha ospitato alcuni esponenti di questa teoria in una delle ultime puntate del video-podcast Muschio selvaggio, il canale You Tube dell’influencer da oltre 1,19 milioni di iscritti.
La vicenda di Francesco Narducci e in parte quella del Mostro di Firenze ha incrociato quella della Commissione parlamentare antimafia, a partire dalla storia di Rossella Corazzin, una ragazza veneta scomparsa a 17 anni nel 1975. «Francesco Narducci costituisce un altro grande mistero della nostra storia criminale recente: venne pesantemente sospettato di far parte della congrega dei responsabili dei delitti del Mostro dopo che morì misteriosamente nel lago Trasimeno nell’ottobre del 1985. Un mese dopo l’ultimo delitto del Mostro, che, da quel momento, tacque per sempre. Questo ha sempre costituito un dato oggettivo. La ragione della sua morte, che sia omicidio o suicidio, può essere messa in relazione con i delitti del Mostro» sottolinea Piccione.
La relazione su Narducci è stata presentata nella scorsa legislatura da Stefania Ascari, avvocata e parlamentare del M5S. «Arrivata in Parlamento, ho subito colto l’opportunità di portare all’attenzione della Commissione antimafia molti casi di cronaca nera per i quali non si è ancora arrivati alla verità: oltre al mostro di Firenze, anche i casi del massacro di Ponticelli, di via Poma, dell’omicidio di Aldo Moro, della morte di Pier Paolo Pasolini e dell’urologo Attilio Manca. Per ognuno di questi casi è stata prodotta una relazione a mia prima firma approvata dalla Commissione antimafia. Quella sul Mostro di Firenze è stata scritta con il contributo di straordinari consulenti, tra cui il giudice Giuliano Mignini, il giudice Guido Salvini e l’avvocato Daniele Piccione. Sto provando a continuare i lavori anche in questa legislatura, ma riscontro molte più difficoltà ad avere i permessi per avviarli» sottolinea Ascari.
il caso in antimafia
Secondo la deputata, «è un dovere delle istituzioni continuare a occuparsi del caso del Mostro di Firenze e di tutti i casi irrisolti perché ci sono famiglie che attendono la verità da decenni e non possono essere abbandonate dallo Stato. Il dolore di queste famiglie non ha una scadenza e non deve averla la ricerca della verità e della giustizia. Perciò bisogna continuare, fino a quando non potrà essere scritta la parola “fine”».
Ciò che resta nascosto nel conflitto infinito tra innocentisti e colpevolisti sono proprio le vittime del Mostro, giovani che hanno un nome e un cognome: Stefania Pettini (18 anni) e Pasquale Gentilcore (19 anni), uccisi il 14 settembre 1974; Carmela De Nuccio (21 anni) e Giovanni Foggi (30 anni), uccisi il 6 giugno 1981; Susanna Cambi (24 anni) e Stefano Baldi (26 anni) uccisi il 22 ottobre 1981; Antonella Migliorini (19 anni) e Paolo Mainardi (22 anni), uccisi il 19 giugno 1982; Horst Wilhelm Meyer (24 anni) e Jens-Uwe Rüsch (24 anni), uccisi il 9 settembre 1983; Pia Rontini (18 anni) e Claudio Stefanacci (21 anni), uccisi il 29 luglio 1984; Jean-Michel Kraveichvili (25 anni) e Nadine Mauriot (36 anni), uccisi l’8 settembre 1985.
L’ultimo libro sul Mostro di Firenze ha un titolo assai indicativo: Il mostro è libero (se non è morto). È uscito nel giugno del 2024 e questo significa che a quasi cinquant’anni dal primo delitto attribuibile al Mostro, com’è identificato e riconosciuto l’autore della strage della coppiette che tra il settembre del 1974 e la […]