Spantheon
di Roberto Casalini

Crispi, il garibaldino degli scandali fra pubblico e privato

Parlar male di Garibaldi: no, e quando mai? Ma dei garibaldini sì, è lecito. Fuor di metafora, la storia d’Italia non è una galleria di busti marmorei. Vi circolano a pascolo abusivo affaristi e politici col pelo sullo stomaco, corrotti e corruttori, gente pronta a vendersi la mamma. O personaggi controversi: se non del tutto negativi, quasi mai candidi. A loro dedichiamo questa nuova rubrica, perché i cattivi danno più gusto dei buoni a raccontarli.

Cominciamo con un ex garibaldino, Francesco Crispi (1818-1901), quattro volte presidente del Consiglio dal 1887 al 1891 e dal 1893 al 1896. Siciliano, anticlericale (destituirà un sindaco di Roma che si è inchinato davanti a papa Leone XIII), tra i capi dei Mille nel 1860, mazziniano che passa presto con i Savoia (“La monarchia ci unisce e la repubblica ci dividerebbe”), repressore di socialisti e anarchici, ma anche autore delle prime leggi sulla sanità e l’assistenza pubbliche.

Accusato di bigamia, travolto dal caso Banca romana, fece sciogliere le camere

Il primo scandalo glielo cuce addosso un avversario, Giovanni Nicotera, al quale è succeduto come ministro dell’Interno. Crispi si è sposato nel 1854 con Rose Montmasson, una popolana che ha diviso con lui i tempi grami delle cospirazioni. Nel 1871 il matrimonio scricchiola, Rose viene ripudiata e nel 1878 il siciliano si risposa con la giovane e facoltosa napoletana Lina Barbagallo. Gli avversari rintracciano il certificato di matrimonio con la Montmasson e attaccano: Crispi è bigamo. Lui dice che quel matrimonio, contratto a Malta da un sacerdote che non poteva officiare, non è valido e non è stato trascritto in Italia. Il tribunale gli dà ragione, ma il re lo costringe a dimettersi.

Ritornerà in auge mentre esplode lo scandalo della Banca Romana, governata con disinvoltura dal semianalfabeta Bernardo Tanlongo che presta senza garanzie agli speculatori edili, corrompe politici e giornalisti, ripiana i debiti delle amanti di re Umberto e stampa banconote false: una prima inchiesta scopre che, di fronte a un’emissione legale dichiarata di 53 milioni, quella totale è di 128 milioni.

Giolitti, ministro di Crispi, cerca di sopire lo scandalo imboscando le carte più compromettenti, ma quando il siciliano cerca di trasformarlo nel capro espiatorio non ci sta e, nel 1894, consegna al presidente della Camera 110 lettere: otto le ha scritte di suo pugno Crispi, chiedendo favori e ringraziando per il denaro ottenuto illegalmente: all’incirca mezzo milione di euro attuali. Le altre 102 le ha inviate la sua consorte all’amante, Achille Lanti, cameriere di casa Crispi. Che ha ottenuto da Tanlongo sovvenzioni per 14 mila lire, gli ha forse venduto le lettere e morirà in circostanze mai chiarite.

Corrotto, bigamo e cornuto, Crispi querela l’avversario e fa sciogliere il Parlamento in modo da tacitare gli accusatori e fare arrestare Giolitti, che fiutato il pericolo scappa a Berlino. Un anno dopo, la sconfitta di Adua, dove 15 milasoldati italiani vengono massacrati dai centomila etiopi di Menelik, mette fine alla carriera dello spregiudicato statista.

Parlar male di Garibaldi: no, e quando mai? Ma dei garibaldini sì, è lecito. Fuor di metafora, la storia d’Italia non è una galleria di busti marmorei. Vi circolano a pascolo abusivo affaristi e politici col pelo sullo stomaco, corrotti e corruttori, gente pronta a vendersi la mamma. O personaggi controversi: se non del tutto […]

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