Viaggiatori in fuga dall’Occidente, andate pure alla deriva, l’alcool e le banane addolciranno l’esilio. Era il 1979, ricordate? “Laggiù nel paese dei tropici/ dove il sole è più sole che qua/ sotto l’ombra degli alberi esotici/ non t’immagini che caldo che fa/ Gli americani che espatriano/ si ritrovano tutti quaggiù/ alle spalle una storia probabile/ d’un amore che non vale più/ E poi verso sera li vedi/ tutti a caccia una donna e via/ e attraversano la notte a piedi/ per truffare la malinconia”. In quell’anno Banana republic dell’americano Steve Goodman, tradotta da Francesco De Gregori e da lui interpretata assieme a Lucio Dalla, in Italia fa il botto: il tour è ovunque sold out, l’album vende 500 mila copie.
Quella di Banksy scimmiotta ‘Pulp fiction’, poi c’è Woody Allen, passando per Bud Spencer e per la performer che la ciuccia e viene bandita dal museo
La canzone, con i suoi languori da tristi tropici, è il riassunto ideale di tutte le lost generation che hanno abbandonato la madrepatria per andare a distruggersi di sbronze sotto il vulcano, inseguire tori a Pamplona, vagheggiare la verginità assoluta dei mari del Sud (il Tavolo con casco di banane e tre figure, oggi al Museo d’Orsay, Paul Gauguin lo dipinge a Tahiti nel 1891). Finiranno, le banane, a riempire assieme al consueto manichino anche le piazze metafisiche di Giorgio De Chirico (L’incertezza del poeta, 1913). Le vittime di tanto overtourism reagiranno con qualche giustificata insofferenza. “Guarda in che pasticcio ci siamo cacciati, solo perché abbiamo invitato un gringo a mangiare delle banane” sbufferà Gabriel García Márquez.
Banana erotica, banana espatriata
Sbarca a Parigi, nel 1925, l’americana Josephine Baker nata a Saint Louis nel Kansas. Ha diciannove anni quando, vestita soltanto con un gonnellino di sedici banane, alza la temperatura del Théatre des Champs Élysées con la sua Revue negre. Le renderà omaggio con bel video del 2006, Banana skirt dance, Beyoncé. “Non è che fossi nuda” rievocherà lei ridendo, “era soltanto che non avevo niente addosso”. Bel personaggio, Josephine, donna che ha vissuto più delle nove vite dei gatti. Figlia di una lavandaia e di un padre ubriacone che sparisce subito dopo la sua nascita, si sposa quattro volte – primo matrimonio a dodici anni, divorzio a tredici – e ha una fila di amanti che svolta l’angolo: il più celebre, in quei frenetici anni Venti, è il giovane Georges Simenon. Baker farà in tempo a diventare la prima vedette nera nella Francia che accoglie generosamente i jazzisti: una delle canzoni della sua rivista, il charleston Yes! We have no bananas, finisce in Tenera è la notte di Francis Scott Fitzgerald; un agente del controspionaggio francese al servizio della Resistenza contro i nazisti: congedata nel 1946 con il grado di capitano, verrà decorata al valor militare da De Gaulle; la madre adottiva di dodici bambini; e l’attivista per i diritti civili che parlerà assieme a Martin Luther King nella marcia su Washington del 1963.
Il mitico gonnellino della Baker che ne aveva 16 (‘Mica ero nuda, solo non avevo nulla addosso’), l’ira di Gabo Marquéz e l’accusa ‘venduta!’ a ‘lady tuttifrutti’
Banana esotica, banana pubblicitaria
Nel 1943 un musical di Hollywood, Banana split, lancia l’avvenente Carmen Miranda. È lei la “lady in the tuttifrutti hat”, che sfoggia un vistoso cappello adorno di frutta esotica e si presta alla canzone Chiquita banana. I connazionali la accusano di avere messo in burletta il Brasile vendendosi agli yankee. A ricordare che le banane sono lavoro duro provvederà nel 1956 il giamaicano-americano Harry Belafonte con Banana boat song, la canzone della nave bananiera. “Vieni, signor contabile, conta le banane che ho scaricato, si sta facendo giorno e voglio andarmene a casa”.
Banana psichedelica, banana da sballo
Nell’estate “peace and love” di San Francisco, il frutto sparisce per mesi dai negozi della città. A dare il la provvede nel 1967 il folksinger scozzese Donovan. Con Mellow yellow, dolce e gialla, va al primo posto in classifica cantando di una quattordicenne che lo fa impazzire, e di una “electrical banana” che produce lo stesso effetto. La banana elettrica, racconta Donovan, è in realtà la pubblicità di un vibratore, ma intanto in città gira la voce, messa in giro da uno spacciatore di Lsd e amplificata dalla band Country Joe & The Fish, che la buccia di banana, privata della parte bianca ed essiccata, abbia effetti allucinogeni grazie alla “bananadina”. Frotte di hippies affamati di sballo a buon mercato saccheggiano i fruttivendoli e provano a fumarsi la buccia triturata, la notizia fa il giro del mondo, indaga anche la Food and Drug Administration, ma la banana psicotropa è una bufala. Sono di quegli anni anche la parodia di Woody Allen (Il dittatore dello stato libero di Bananas, 1971) mentre da noi, più modestamente, Bud Spencer difende gli sfruttati distribuendo sganassoni ai cattivi (Banana Joe, 1983) .
Banana iconica, banana pop
In quel 1967, a New York Andy Warhol allestisce la celebre copertina con la banana sbucciabile che accompagna l’esordio dei Velvet Underground. Musica urbana e dura la loro, che parla di eroina, spacciatori e veneri in pelliccia. Quella banana, però, diventa istantaneamente oggetto erotico: Warhol ripeterà l’operazione nel 1971 con la zip apribile di Sticky fingers dei Rolling Stones, e un’altra banana, in mano a un Leonard Cohen in gessato e t-shirt, apparirà nella copertina di I’m your man. E, soprattutto, diventa icona globale. Se ai tempi delle avanguardie, Gertrude Stein dixit, una rosa era una rosa era una rosa, adesso una banana è una banana è una banana. Può significare tutto o forse niente, ma la saccheggiano tutti, da David Hockney a Damien Hirst fino a Banksy che mette in parodia Pulp Fiction. Pixelata per Roy Lichtenstein, trasformata in aerea danza di bucce per Claes Oldenburg, in statuina erotica per Mel Ramos, in caricatura (Warhol uomo-banana di Basquiat e Haring), in citazione pseudo-magrittiana, in provocazione (il video Consumer Art della polacca Natalia LL, con una modella che succhia una banana, viene bandito dalla Galleria nazionale di Varsavia per oscenità). Fino al gesto estremo di Maurizio Cattelan, Comedian del 2019: una semplice banana attaccata con lo scotch a una parete, prezzo 120 mila dollari. E allo scandalo ulteriore di David Datuna che stacca la banana e se la mangia: ha fatto una performance, dice lui. “Hungry artist”, artista affamato. Per parafrasare Francesco Bonami, potevamo farlo anche noi.
Inevitabile il riflesso al doppio senso, da ‘Polvere di stelle’ a Lucio Battisti. Infine le prese per il culo della Gialappa’s e il precipizio nell’ultratrash
Banana italica, banana pecoreccia
Da noi trionfa il doppio senso, eredità di un avanspettacolo che marcia ad allusioni grevi, dove a Ninì hanno rotto il paniere, la sciantosa invoca “non mi sfondare il Bosforo” e il cantante gorgheggia “ma che bella pansè che tieni, che bella pansè che hai, me la dai, me la dai”. Rievocando questi fasti, Alberto Sordi e Monica Vitti non hanno pudori nell’intonare (Polvere di stelle, 1973) “ma ‘ndo’ vai se la banana non ce l’hai? Bella hawaiiana, attaccate a sta banana”. Seguono l’esempio i campioni del nostro trash: Leone Di Lernia con Ti si mangiate la banana, dove il boccaccesco si carica di risvolti lassativi, e l’esplicito Gianni Drudi preso per il culo dalla Gialappa’s (Tiramisù la banana con un bacio). Ci casca anche Lucio Battisti in Supermarket del 1971 dove lei, cassiera, si è assentata dal lavoro perché è stata male (“Tutta colpa della frutta, ne ho mangiata troppa”) e lui mette fine alla love story perché a lei “piaccion troppo le banane”. A riequilibrare il tutto ci sarebbe Banane e lampone (1992) di Gianni Morandi, che è cantante garbato, ma anche qui i conti non tornano: chissà se lei è uscita con le amiche o se è assediata dagli uomini (“Banane e lampone, chi c’era con te?”, notare il plurale e il singolare). Un’interpretazione maliziosa? Provate a cambiare i frutti, a cantare “anguria e melone” o “banana e limone”: non funziona.
Viaggiatori in fuga dall’Occidente, andate pure alla deriva, l’alcool e le banane addolciranno l’esilio. Era il 1979, ricordate? “Laggiù nel paese dei tropici/ dove il sole è più sole che qua/ sotto l’ombra degli alberi esotici/ non t’immagini che caldo che fa/ Gli americani che espatriano/ si ritrovano tutti quaggiù/ alle spalle una storia probabile/ […]