Banane e mazzette, lo scandalo Dc del 1963
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Banane e mazzette, lo scandalo Dc del 1963

Tutte le 124 licenze finiscono all’Assobanane e l’avvocato amico di Andreotti si intasca 50 milioni di stecca

di Roberto Casalini

Nel 1939 arriva dalla Somalia l’ultima fornitura di banane, fiore all’occhiello dell’autarchia imperiale. La produzione è stata di 450 mila quintali, un’inezia. Stivate nelle quattro navi bananiere della Regia Azienda Monopolio Banane, battezzate senza troppa fantasia Ramb-I, Ramb-II, Ramb-III e Ramb-IV, raggiungono i nostri porti e vengono smistate ai grossisti. L’Italia sta per entrare in guerra, addio navi bananiere che vengono requisite dalla marina militare e, tre su quattro, coleranno a picco in combattimento. E addio banane.

Generi coloniali, miraggi coloniali. In Libia e nell’Aoi (l’Africa orientale italiana: Eritrea, Somalia ed Etiopia) dovrebbero stanziarsi milioni di italiani disoccupati per dissodare terre vergini, aprire miniere, fornire materie prime. Arrivano in 300 mila, per lo più funzionari tecnici e militari, i veri coloni non saranno più di 30 mila. Il sogno a occhi aperti si infrange contro la duplice barriera eretta dall’ostilità dei colonizzati e dall’inefficienza della burocrazia fascista. La Libia galleggia sul petrolio, ma nessuno lo sospetta, si preferisce coltivare lo sparto per farne stuoie e cellulosa. L’Etiopia dovrebbe fornire tonnellate di minerali, ma in Italia arriva al più qualche mucchietto d’oro, qualche manciata di platino.

Il Monopolio ereditato dal fascismo diventa centro di potere e tangenti. Gli esclusi protestano con telegrammi a Fanfani, che annulla tutto

Quanto ai “generi coloniali”, l’import di caffè, banane, semi oleosi e karkadè (si cerca di imporlo al posto del tè, senza successo) è modesto: nel 1938 equivale all’1,21% della bilancia commerciale, contro il 17,53% dell’export destinato alle colonie. Si tentano le piantagioni di cotone che però, dopo la crisi del 1929, si è deprezzato sui mercati mondiali, e si lascia presto perdere. Anche le banane patiscono più di una disavventura: fino al 1938 marciscono in gran parte nel tragitto dalla piantagione al porto, o si trasformano in poltiglia a bordo delle navi. Quello che resta, prima di raggiungere il felice suddito dell’impero, rimpingua grazie a un oleato sistema di tangenti le tasche dei gerarchi.

Tangenti e frutti somali, visto che non si butta via niente, dopo il 1945 faranno venire l’acquolina in bocca anche ai democristiani, che incapperanno nel 1963 nel primo grande scandalo del dopoguerra, appunto lo “scandalo delle banane”. Non che prima fosse filato tutto liscio: i forchettoni, epiteto infamante coniato per loro, non senza fondamento, dai comunisti, si mostrano fin da subito dotati di appetito insaziabile. Nel 1946 due ministri, Piero Campilli ed Ezio Vanoni, vengono accusati il primo di illeciti arricchimenti in Borsa, il secondo di avere percepito compensi abnormi quand’era commissario della Banca dell’Agricoltura per conto del Cln.

Li difendono socialisti e comunisti, sperando così di non essere estromessi dal governo, ma fanno male i conti. E nel 1950 il deputato indipendente democristiano Ettore Viola punta il dito alla Camera contro il ras democristano dell’Abruzzo Giuseppe Spataro, e contro il potentissimo presidente della Coldiretti Paolo Bonomi. Appalti truccati, assegnazioni clientelari, imboscamento di beni, truffe ai danni dello stato, sono le accuse. Per Bonomi con il sovrappiù di essere agricoltore per finta e di avere collaborato in passato con i repubblichini di Salò e con i nazisti. Le accuse cadono nel vuoto e Viola viene cacciato dalle file democristiane: proseguirà come monarchico e liberale.

Durante il Ventennio coloni e “generi” coloniali sono un flop: in Libia stuoie sì, petrolio no, nonostante il tesoro che c’è

Denuncia Ernesto Rossi nel 1951, dalle colonne del Mondo: “La Dc, non sappiamo se per lussuria di potere dei suoi dirigenti o per incontentabili venalità e ambizioni di suoi gregari, si è servita come nessun altro regime del governo affidato alle sue mani come di un’ipertrofica agenzia di collocamento dei suoi uomini… Monopolizzati i posti, restavano zone alle quali il partito non poteva arrivare perché non di diretta competenza dello Stato. Ma la Dc ha saputo conquistare anche queste zone attraverso il ricatto agli interessati. Licenze, contingentamenti, credito, assegnazioni, distribuzioni Erp (gli aiuti americani del Piano Marshall, ndr), tutto è diventato materia di inique e vergognose negoziazioni politiche e di torbidi favoritismi”.

Diventa materia di torbidi favoritismi anche il mercato delle banane. Nel 1949 l’Italia, che ha rivendicato invano la restituzione delle ex colonie, ottiene come contentino dall’Onu un mandato decennale sulla Somalia, per avviarla all’indipendenza. Risorge così la non più regia Azienda Monopolio Banane, in sonno dal 1945 ma mai smantellata. Le banane sono genere di monopolio: come i tabacchi, il sale, i valori bollati. Si possono acquistare soltanto i piccoli frutti somali, per la big banana tropicale bisognerà attendere o arrangiarsi con il piccolo contrabbando, alle frontiere con la Francia e con la Svizzera. Alberto Arbasino conia, per quegli anni, la metafora della “gita a Chiasso”: si va in Svizzera per abbeverarsi della cultura che non è arrivata nella provinciale Italia dei confessionali e delle tangenti. Ma si va a Chiasso, soprattutto, per fare il pieno di benzina, acquistare la stecca di sigarette, rifornirsi di tobleroni e dadi Maggi. E di banane. I doganieri e la Guardia di Finanza a volte fanno i fiscali: si paga il dazio, pena il sequestro dell’incauto acquisto. Le cronache di quegli anni raccontano di un ragazzetto di Como che si mangia un intero casco di banane, in territorio svizzero, pur di non assoggettarsi al balzello. E fa naturalmente indigestione.

I democristiani dunque si insediano al Monopolio Banane. Che assegna le concessioni commerciali a un’élite di grossisti radunati nell’Assobanane, ammettendo ogni tanto al banchetto anche qualche pesce piccolo. Girano mazzette, corre qualche favore, ma nessuno protesta. Nel 1963 però il meccanismo, per eccesso di perfezionismo predatorio, si inceppa. È ministro delle Finanze un avvocato veronese, Giuseppe Trabucchi: si è reso benemerito agli occhi degli americani stabilendo che i doganieri, per le merci che entrano nelle basi militari Usa, non siano italiani. Grazie a questa statuizione, per decenni non sapremo quali armi (altrui) abbiamo in casa.

Trabucchi ha un segretario particolare, l’avvocato Franco Bartoli Avveduti, che gli è stato raccomandato da Giulio Andreotti. Lo mette a capo del Monopolio Banane, e l’ex segretario perfeziona il sistema delle tangenti. Le licenze commerciali vengono assegnate in base a un’asta: il Monopolio fissa un importo minimo e uno massimo da versare (l’importo è segreto), i concorrenti devono stare dentro quella forchetta e vince chi offre di più. Ma l’Assobanane corre ai ripari: assume come consulente un democristiano, Edgardo Castelli, ex sottosegretario alle Finanze, indovina gli importi e si aggiudica tutte le 124 licenze. Versando il minimo nelle piazze dove non ci sono concorrenti, il massimo in quelle dov’è giunta più di un’offerta. E 50 milioni nelle tasche di Bartoli Avveduti.

Gli esclusi protestano con telegrammi chilometrici al presidente del Consiglio Fanfani, che annulla l’asta. Bartoli Avveduti e altri funzionari vanno sotto processo, assieme ai grossisti dell’Assobanane, Trabucchi ne esce pulito. Inciamperà due anni dopo in un nuovo scandalo: ha importato dal Messico, pagandole 35 mila lire al quintale e rivendendole assieme a un deputato dc campano al Monopolio a 75 mila lire al quintale, parecchie tonnellate di tabacco , con un danno erariale di 9 miliardi. La Camera vota la sua messa in stato d’accusa: 460 sì e 440 no, manca la maggioranza qualificata per mandarlo sotto processo. Quando si dice forchettoni.

Nel 1939 arriva dalla Somalia l’ultima fornitura di banane, fiore all’occhiello dell’autarchia imperiale. La produzione è stata di 450 mila quintali, un’inezia. Stivate nelle quattro navi bananiere della Regia Azienda Monopolio Banane, battezzate senza troppa fantasia Ramb-I, Ramb-II, Ramb-III e Ramb-IV, raggiungono i nostri porti e vengono smistate ai grossisti. L’Italia sta per entrare in […]

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