Te c’hanno mai mannato a quer paese…”, canticchiava Alberto Sordi; esperienza quotidiana per i ciclisti da strada che prendono le consolari romane per la sgambata mattutina. L’ingarellamento coi guidatori è ineluttabile; anche nei mesi più caldi, ben chiusi nell’aria condizionata, tirano giù il finestrino pur di insultare l’amatore che si permette di sfiorare le auto, zigzagando nel traffico. “Perché non te ne vai sulla ciclabbile…?!” è la frase condita con vari mortacci.
Eh, la ciclabile… spesso intasata di persone che indugiano o salgono sul marciapiede cui scorre accanto, di vecchine col carrellino della spesa e comunque troppo esigua per un ciclista che voglia filare a una velocità che sia anche solo un poco più che cicloturistica. Roma città eternamente in bilico tra incidenti e accenni di rissa: dopo l’improvviso alterco, se ci si ritrova al semaforo rosso impossibile da svicolare per via dei pedoni che attraversano, il guidatore s’affianca al ciclista e gli riversa ulteriori dosi di minacciosi consigli non richiesti.
Che fare? Rispondere a tono, avendo l’ultima parola prima di filarsela o soggiacere silenziosamente indifferenti alla mordacità altrui? Questo è il dilemma che il ciclista deve risolvere più volte a ogni uscita, guidato dall’umore del momento. Capita che anche i carabinieri ti indichino perentoriamente la ciclabile per evitarsi l’incombenza di dover districare le conseguenze di possibili incidenti, incuranti della reale praticabilità della pista. Solo la più sottile e diffusa qualità romanesca viene in soccorso a sbrogliare la matassa umoral-giuridica: “E vabbé, chissene…”.
Te c’hanno mai mannato a quer paese…”, canticchiava Alberto Sordi; esperienza quotidiana per i ciclisti da strada che prendono le consolari romane per la sgambata mattutina. L’ingarellamento coi guidatori è ineluttabile; anche nei mesi più caldi, ben chiusi nell’aria condizionata, tirano giù il finestrino pur di insultare l’amatore che si permette di sfiorare le auto, […]