Berengo Gardin: viaggio nel tempo

Berengo Gardin: viaggio nel tempo

La censura, le periferie “contro” il mondo borghese: in una mostra a Udine (Maxxi-Contrasto) le sue foto “non artistiche”

di Gianni Berengo Gardin a cura di Lorenzo Sansonetti

Da Venezia a Venezia. Il viaggio in queste pagine inizia e finisce nella città d’origine di Gianni Berengo Gardin, considerato uno dei più importanti fotografi italiani e del panorama mondiale. Veneziano, nato a Santa Margherita Ligure, cresciuto tra Roma e Venezia e stabilitosi a Milano, autore di centinaia di libri, Berengo Gardin – a 94 anni – è protagonista in questi giorni di un’importante mostra a Udine, curata dal MAXXI di Roma in collaborazione con Contrasto. “Gianni Berengo Gardin – L’occhio come mestiere” restituisce tutta la complessità del lavoro del fotografo, partendo dai luoghi più importanti della sua vita e della sua carriera.

Partiamo dai portici di Piazza San Marco con un bacio rubato, interesse ricorrente per il fotografo che nell’Italia del primo dopoguerra notava come baciarsi in pubblico – al contrario di Parigi – fosse vietato. Una foto che ricorda l’iconico bacio scattato da Doisneau proprio nella capitale francese in quegli anni, ma che al contrario di quello di Berengo Gardin, si scoprirà recentemente non essere affatto rubato.

Ci spostiamo poi nella Milano del boom economico, dell’emigrazione di massa dal sud e delle grandi fabbriche, dove gli operai lo “convinsero a diventare comunista”. Così, a contrasto, una vespa sfreccia davanti alla scritta “Noi siamo contro la vita comoda”, mentre un operaio della Magneti Marelli ci ricorda Chaplin in “Tempi moderni“. E poi le periferie popolari degli anni sessanta si confrontano con lo sfarzo delle feste dell’alta borghesia. Sono i mezzi di trasporto tra i punti di osservazione preferiti di questo viaggio nel tempo. I treni, gli autobus e i vaporetti, dove l’umanità si mescola, dove speranze di emancipazione di una migrazione incrociano sguardi annoiati o affaticati. Fino a quando il mezzo di trasporto diventa una sorta di mostro che incombe sulle strade, come nella foto del 2014 che chiude il nostro portfolio, in cui una delle grandi navi da crociera dell’overtourism moderno minaccia Venezia e insieme – in qualche modo – le nostre città.

Gli operai nella Milano del boom. “Furono loro a convincermi a diventare comunista”, ha raccontato il fotografo. In fabbrica i nuovi “Tempi moderni”

Scatti dai due mondi. Dalle ringhiere il popolo canta la libertà e la festa, nei salotti la borghesia quasi si difende con sfarzo. È “l’occhio come mestiere”

Il maestro della fotografia italiana è stato spesso accostato a Cartier-Bresson. Lui stesso, nel rispetto e nell’amicizia con i grandi con cui ha anche collaborato, preferisce citare il francese Willy Ronis, per l’impegno sociale che li accomuna e per il periodo vissuto insieme a Parigi.

Ogni paragone risulta in realtà inappropriato, perché l’opera di Berengo Gardin sfugge alle categorie classiche. È – per sua stessa definizione – un lavoro “artigianale e non artistico”, un bianco e nero dagli alti contrasti, stampato “in casa”. Una fotografia che negli anni è rimasta fedele alla pellicola, rifuggendo convintamente dal digitale, capace di restituire insieme lirismo e profondità, narrazione sociale e inchiesta giornalistica. Passiamo dal reportage umanista al ritratto, dall’indagine sociale al racconto etnografico, mantenendo la stessa forza dell’immagine.

I treni delle grandi speranze. Qui – come sui bus e sui vaporetti – l’umanità si mescola: la fatica, l’emancipazione e anche la noia. È il lavoro come moto di massa

Nella sterminata produzione c’è anche un’importante ricerca sulle architetture e sui paesaggi, grazie all’amicizia con Renzo Piano e al lungo lavoro con il Touring Club, ma al centro c’è sempre l’umanità e le sue contraddizioni, tra ricchezza e povertà, lavoro e sfruttamento. Come nelle straordinarie foto che per la prima volta mostrarono la vita negli ospedali psichiatrici, commissionate insieme a Carla Cerati da L’Espresso nel 1968. Da qui nacque il libro “Morire di classe” (1969) con i testi di Franco Basaglia, che diede un contributo decisivo alla denuncia della condizione manicomiale e alla successiva legge del 1978. Quando le foto non si limitano a fotografare un paese, ma contribuiscono a cambiarlo.

Gianni Berengo Gardin

Nato “per caso” a Santa Margherita Ligure (come ama dire lui stesso) nel 1930 da madre svizzera e padre veneziano. Ha sempre considerato Venezia la sua città natale. Trascorre l’infanzia a Roma durante la seconda guerra mondiale e l’occupazione nazista. Per una curiosa coincidenza in quegli anni abita nel quartiere Celio, in via di S. Erasmo, dove oggi ha sede la redazione romana del nostro giornale. Inizia a fotografare negli anni cinquanta, quando si trasferisce a Venezia con la famiglia. Dal 1965, dopo Lugano e Parigi, si stabilisce a Milano, dove sviluppa importanti relazioni, a partire dal Bar Jamaica, ritrovo di artisti e fotografi, che influenzano la sua sterminata produzione. Non ha mai smesso di viaggiare e fotografare.

Da Venezia a Venezia. Il viaggio in queste pagine inizia e finisce nella città d’origine di Gianni Berengo Gardin, considerato uno dei più importanti fotografi italiani e del panorama mondiale. Veneziano, nato a Santa Margherita Ligure, cresciuto tra Roma e Venezia e stabilitosi a Milano, autore di centinaia di libri, Berengo Gardin – a 94 […]

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