Spantheon
di Roberto Casalini

Il monsignore spallone e i frati estorsori

Preti che corrono la cavallina e aiutano gli industriali a esportare denaro. Frati che scrivono lettere di estorsione ai possidenti. E amici dei preti che spennano i gonzi. Le cronache del secondo dopoguerra, in Italia, traboccano di anatemi contro le sinistre e il laicismo privo di valori. E di religiosi che predicano bene e razzolano male.

Nel 1948, durante una campagna elettorale al calor bianco che vedrà il trionfo della Democrazia Cristiana,l’Unità fa esplodere lo scandalo di monsignor Edoardo Prettner Cippico. È costui un triestino poliglotta, “prelato domestico di Sua Santità”. Gli piacciono le donne e fa vita sfarzosa, intascando provvigioni sui gruzzoli di industriali e possidenti terrorizzati da un’eventuale vittoria dei rossi. Attraverso lo Ior li fa arrivare in Svizzera, qualche volta li trattiene.

È il caso di un sacchetto di gioielli da mettere al sicuro. Cippico dice che glieli hanno rubati, il possessore non gli crede e fa arrivare la storia al giornale comunista. Oltretevere scoprono che il monsignore ha usato carta e timbri vaticani e ha fatto sparire dalle casse dello Ior un miliardo di lire. Carcerato nella Torre dei Venti, Cippico ne evade. Lo arrestano in Italia e stavolta finisce a Regina Coeli. In primo grado lo condannano per furto, esportazione di valuta e truffa, ma la Cassazione annulla la condanna e dieci anni dopo Giovanni XXIII lo perdona.

Nel dopoguerra, storie di religiosi poco edificanti tra Dc e Vaticano

Nessun perdono invece per i quattro frati cappuccini di Mazzarino, in Sicilia, che tra il 1956 e il 1959 mandano lettere minatorie agli agrari della zona e, quando non basta, non esitano a sparare. I frati cercano di addossare le colpe ai quattro laici che prestano servizio in convento, ma le proprietà accumulate – hanno conti in banca cospicui, alcuni di loro hanno comprato case e terreni, uno addirittura un cinema – li inchiodano e le condanne fioccano.

I frati minacciavano, il “banchiere di Dio” Giovanni Battista Giuffrè blandisce i risparmiatori. È un ex cassiere di Imola, nei primi anni del dopoguerra si occupa di ricostruire chiese e conventi colpiti dalle bombe. Si trova così a gestire patrimoni ecclesiastici, gli viene naturale estendere la raccolta ai privati con una sorta di “banca senza sportelli” e in poco tempo gli arriva in tasca un fiume di denaro.

Come ha fatto? Facile, ha promesso interessi fra il 70 e il 100 per cento. Uno schema Ponzi che ha arricchito i cappuccini, tra i primi a investire e a essere rimborsati. E ha lasciato una voragine nelle finanze dei francescani, tra gli ultimi a cascare nella trappola quando i creditori sono troppi e non possono essere risarciti. I finanzieri indagano su di lui dal 1957, ma passa un anno e mezzo prima che lo scandalo esploda. Giulio Andreotti, ministro delle Finanze, dice che lui Giuffrè non lo conosceva. C’è una commissione parlamentare d’inchiesta che manda assolti i politici, ci sono alcuni processi che finiscono in niente. Ci rimettono – quindici miliardi di lire, a spanne – solo i fedeli che hanno creduto nel miracolo.

Preti che corrono la cavallina e aiutano gli industriali a esportare denaro. Frati che scrivono lettere di estorsione ai possidenti. E amici dei preti che spennano i gonzi. Le cronache del secondo dopoguerra, in Italia, traboccano di anatemi contro le sinistre e il laicismo privo di valori. E di religiosi che predicano bene e razzolano […]

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