In una democrazia capitalista ci sono essenzialmente due metodi con cui si possono compiere scelte sociali: il voto… e il meccanismo di mercato”, ci insegna il premio Nobel per l’economia Kenneth Arrow. Le scelte sociali sono decisioni collettive i cui effetti ricadono su tutti i componenti di una comunità, a prescindere dalla loro partecipazione o dal loro consenso. Chiunque eserciti quel potere potrà incidere sulla vita di tutti, con i rischi che ne conseguono. Nelle democrazie liberali il controllo popolare sui decisori si affida a una gamma di strumenti di accountability, secondo l’intraducibile termine inglese, evocativo della “capacità di rendicontare”. La sfida è quella di “inchiodare” i decisori politici a una qualche forma di responsabilità per le conseguenze delle loro deliberazioni.
Quegli accorgimenti istituzionali – le elezioni, i “pesi e contrappesi” costituzionali, il controllo giudiziario e dei media, etc. – sono imperfetti e lacunosi. Eppure, in un sistema politico ben funzionante, possono garantire un grado accettabile di trasparenza, così incoraggiando condotte virtuose dei governanti, o aspiranti tali. “Datemi il potere e vi farò godere”, non a caso, fu negli anni Ottanta lo slogan elettorale coniato da un ruspante Roberto Benigni, ipotetico candidato.
I big dell’economia e della finanza decidono per noi, ma non lasciano tracce
Al potere che si ritrae nell’ombra si associano una valanga di ricadute negative. Una ricerca condotta in 48 paesi dimostra come il tasso di opacità delle istituzioni politiche ed economiche sia fortemente correlato a minori investimenti esteri, stagnazione, alta disoccupazione.
Se nella sfera politica la questione della visibilità e riconoscibilità dell’esercizio del potere, e dunque dell’accountability dei governanti, è da sempre all’ordine del giorno, la prospettiva curiosamente si rovescia non appena ci si avvicina ai palazzi del potere economico-finanziario, tanto sontuosi quanto incogniti. In quei paraggi domina l’illusoria rappresentazione neoliberista di “scelte sociali” – capaci di segnare la carne viva degli esseri umani – che attraverso il “meccanismo di mercato” si sterilizzano obliterando qualsiasi responsabilità di singoli o imprese. Feroci disuguaglianze, neo-schiavitù, torbide speculazioni: tutto viene imputato all’anonimo funzionamento delle leggi della domanda e dell’offerta. Se nel mercato il consumatore – anch’egli senza volto – è “sovrano”, soltanto a lui si potranno imputare i più nefasti effetti di quei processi, che non lasceranno impronte digitali (ovvero avranno la matricola abrasa…).
Un aspirante rivoluzionario contemporaneo, la cui mente non sia stata ancora soggiogata “per mezzo di divertimenti e mezzi di consumo e farmaci che intorbidiscono la mente e uccidono lo spirito” – così Jonathan Franzen in Le correzioni – non dovrebbe dirigersi verso un qualche Palazzo d’Inverno, bensì invadere le sale riunioni (dai vetri coerentemente sabbiati) dei felpati consigli di amministrazione di grandi corporation e fondi finanziari multinazionali.
In una democrazia capitalista ci sono essenzialmente due metodi con cui si possono compiere scelte sociali: il voto… e il meccanismo di mercato”, ci insegna il premio Nobel per l’economia Kenneth Arrow. Le scelte sociali sono decisioni collettive i cui effetti ricadono su tutti i componenti di una comunità, a prescindere dalla loro partecipazione o […]