Il Congresso degli Stati Uniti la definì “la cospirazione più gigantesca e audace” mai fatta contro un Paese libero. Non l’avevano ordita i comunisti o gli anarchici, ma John Davison Rockefeller, primo uomo a diventare miliardario, fondatore della dinastia simbolo del capitalismo, modello imperituro del self made man. Nessuna bomba, nessun omicidio. La sua arma? I soldi, tantissimi, precocemente accumulati. È una storia di un secolo e mezzo fa, eppure attuale. Perché ci ricorda che anche il libero mercato può essere comprato. La cospirazione di John D. Rockefeller mirava al controllo assoluto del nascente mercato del petrolio. A suon di dollari, accordi segreti e violazione di leggi. Se fosse andata in porto, scrive la Commissione d’indagine istituita dal Congresso, “avrebbe avuto come risultato l’assorbimento e il controllo arbitrario del commercio in tutti i settori di maggiore interesse del Paese”.
Se oggi possiamo raccontare questa storia in ogni dettaglio, lo dobbiamo soprattutto a un altro personaggio che precorse i tempi: Ida Minerva Tarbell, pioniera del giornalismo investigativo, storica (fu biografa di Napoleone e Lincoln), attivista dei diritti delle donne. Tarbell, figlia di un piccolo produttore della Pennsilvanya che sperimentò gli abusi di Rockefeller, ricostruì in modo puntiglioso tutta la vicenda in una serie di inchieste pubblicate su McClure’s Magazine fra il 1902 e il 1904, poi confluite nei due volumi di The History of the Standard Oil Company.
Tutto inizia con la corsa al petrolio esplosa negli Stati Uniti nella seconda metà dell’Ottocento, in modo simile alla più conosciuta corsa all’oro. Solo che l’oro nero non luccicava, anzi era putrido e puzzolente. Nessuno immaginava che avrebbe mosso il mondo nel ventesimo secolo e oltre. All’epoca la Pennsilvanya nord-occidentale è una zona remota e selvaggia, dove i taglialegna cavalcano i tronchi d’albero sul fiume Allegheny, come si vede nei vecchi cartoni animati western. Dal terreno affiorano pozze nere. È petrolio, nessuno sa bene cosa farne. Viene impiegato a scopi curativi: l’American Medicinal Oil, per esempio, è esportato anche in Europa.
Se ne intuiscono le potenzialità come combustibile per l’illuminazione e come lubrificante per i macchinari, ma è zeppo di impurità. Nel 1849 Samuel M. Kier, proprietario di un appezzamento che grondava petrolio, ha l’idea di rivolgersi a un chimico di Philadelphia per raffinarlo. La prima compagnia petrolifera degli Stati Uniti, la Pennsylvania Rock-Oil Company, è fondata pochi anni dopo da un giornalista, George H. Bissell, il primo a intuire che per disporre di grandi quantità di oro nero bisogna trivellarlo dalle viscere della terra.
Le Oil Regions della Pennsilvanya si riempiono di ingegneri, tecnici, avventurieri, sbandati della Guerra di secessione, tutti a caccia di terreni e concessioni, pronti a superare ogni ostacolo. A un certo punto si è a corto di contenitori, vengono sacrificate persino le botti di whisky. Finché un maestro di scuola non mette su una fabbrica di barili. Nel 1863 si aprono i rubinetti del primo oleodotto, le compagnie ferroviarie trasportano il prodotto nel resto del Paese e nei porti della costa occidentale, per l’esportazione. Fioriscono le raffinerie, nelle Oil Regions e un centinaio di chilometri più e ast, a Cleveland, Ohio, sul lago Eire.
Contratti segreti per comprarsi in silenzio tutto il mercato
Le Ferrovie fanno lo sconto (sottobanco)
A Cleveland, racconta Ida Tarbell in The History of the Standard Oil, si sta facendo strada il giovane Rockefeller, discendente di immigrati di origini franco-tedesche. A 14 anni raccoglie patate nei campi, a 16 trova un posto da contabile, a 23 fonda una società di intermediazione che, al porto, vende petrolio all’esercito nordista. “Ho imparato presto che potevo guadagnare di più prestando 50 dollari al 7 per cento di interesse che a raccogliere patate per cento giorni”, racconterà anni dopo. Grazie a una sorprendente capacità di risparmiare e di sfruttare ogni minimo vantaggio, in breve entra nel business della raffinazione. Nel 1870, con il fratello William e altri tre soci, fonda la Standard Oil Company. “Aveva l’odio dell’uomo frugale per lo spreco e per il disordine, per gli intermediari e per i passaggi inutili, e iniziò una vigorosa eliminazione di tutto questo dal suo business”, scrive Tarbell. “I residui che le altre raffinerie disperdevano sul terreno, lui li vendeva. I rottami trovavano la via dei ferrivecchi. Comprava il petrolio direttamente dai pozzi. Si faceva i barili da solo. Osservava, risparmiava e pianificava”.
È a questo punto che prende corpo la grande cospirazione. La Standard Oil ottiene un accordo segreto con la compagnia ferroviaria Atlantic and Great Western Railroad, linea vitale per chiunque voglia distribuire petrolio nei mercati nazionali ed esteri. La compagnia le riconosce un forte sconto su ogni barile trasportato, garantendole un vantaggio decisivo sui concorrenti. È vero che la Standard Oil già allora può assicurare una fornitura di petrolio maggiore di chiunque altro, ma le ferrovie sono un servizio pubblico tenuto per legge, e per il buon funzionamento del mercato, a proporre a tutti le stesse condizioni.
Poi scatta la seconda parte del piano. A margine di un affare immobiliare, il magnate si trova per le mani una società che è una scatola vuota, ma per statuto può operare in qualunque settore e ovunque. Il nome è è sufficientemente generico da non destare sospetti: South Improvement Company. A partire dal 1872, Rockefeller incontra uno a uno gli imprenditori concorrenti e li mette con le spalle al muro: date le tariffe ferroviarie preferenziali, non hanno alcuna speranza di competere. L’unica mossa sensata è vendere le loro raffinerie alla South Improvement.
L’offerta che non si può rifiutare
Molti cedono. Il contratto, riportato integralmente nel libro di Ida Tarbell, impone a chi firma di “mantenere segreta qualunque transazione con la South Improvement Company”, nonché tutte “le trattative preliminari” e, naturalmente, il prezzo di vendita. Frank Rockefeller, un altro fratello di John, nel 1876 “confesserà” candidamente davanti ai membri del Congresso su cui premeva per ottenere una legge che regolamentasse il settore: “Alle imprese di Cleveland fu detto che se non avessero venduto, le loro proprietà avrebbero perso ogni valore, perché non sarebbero stati in grado di competere con la South Improvement Company. Su una trentina, solo quattro rifiutarono”.
La notizia dell’accordo riservato fra la compagnia ferroviaria e la misteriosa South Improvement, però, inizia a diffondersi. I pionieri delle Oil Regions capiscono che i prossimi a sparire saranno loro. E scoppia la rivolta. Partono petizioni al Congresso, affinché “i nemici della libertà di mercato siano conosciuti ed evitati da tutti gli onesti”. La creatura di Rockefeller viene etichettata come “il mostro”, “i quaranta ladroni”, “la grande anaconda”. Il miliardario diventa “il Mefistofele di Cleveland”. Lui non demorde. Lo scontro andrà avanti per anni. Mentre il mercato del petrolio sperimenta le prime crisi e le pressioni speculative, “Mefistofele” alternerà il bastone e la carota.
I produttori si rivoltano, si teme per l’ordine pubblico, circolano minacce di morte, compaiono fantocci impiccati con un finto assegno firmato Rockefeller che penzola dalla tasca. La politica prende sul serio le denunce a tutela della libertà d’impresa. Comitati d’indagine sono istituiti a vari livelli, in Ohio, in Pennsylvania, nello Stato di New York… Nel 1879 John D. Rockefeller finisce sotto inchiesta penale nella Contea di Clarion, con William e altri sette collaboratori. L’accusa è di cospirazione, per aver cercato “di assicurarsi il monopolio nell’acquisto e nella vendita del petrolio greggio, vessando e danneggiando gli altri produttori”, anche “con mezzi fraudolenti”. Ormai le prove sono inoppugnabili. Qualunque persona normale si sarebbe arresa, osserva Tarbell, ma Rockefeller non è una persona normale. Davanti al Comitato senatoriale dello Stato di New York, che gli chiedeva lumi sulla South Improvement Company, si limita a replicare: “Ho sentito parlare di una tale società”. E nega di averne mai fatto parte.
Un’indagine giornalistica da manuale
Il lavoro di Ida Tarbell pesa sull’esito della vicenda. In quattro anni, la storica-reporter ottiene le carte delle varie commissioni d’indagine, che spesso non sono pubbliche. Si procura corrispondenze e documenti aziendali interni. Intervista decine di fonti qualificate, vicine a Rockefeller o al contrario sue vittime. Il risultato è un testo chiaro, dettagliato, coinvolgente. The History of the Standard Oil Company vende 100 mila copie, in Inghilterra sarà persino piratato. “Un modo sereno e pacato di raccontare i fatti, senza qualsivoglia stizza o critica esaltata”, scrive nella prefazione l’editore Samuel McClure. Tarbell è la capostipite dei muckraker, gli “spalatori di letame”, termine spregiativo che diventa una medaglia al merito. Come dire, i reporter investigativi spalano quello che trovano quando si avvicinano ai segreti dei potenti.
Anche sull’onda di quell’inchiesta, il presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt promuove una nuova legislazione antitrust. Nel 1911, la Corte suprema impone di spezzettare la Standard Oil in 34 società indipendenti. Certo, le attività di Rockefeller continueranno a far soldi a palate con il petrolio, anche grazie all’avvento dell’automobile, ma lui ne uscirà con l’immagine a pezzi. “Ida Tarbell trasformò l’uomo più riservato d’America nel personaggio più famoso e odiato”, scriverà il biografo del magnate, Ron Chernow. Tanto da costringerlo a ritirarsi man mano dai ruoli operativi per dedicarsi alla filantropia. Morirà nel 1937, lasciando una fortuna da 1,4 miliardi di dollari.
Il Congresso degli Stati Uniti la definì “la cospirazione più gigantesca e audace” mai fatta contro un Paese libero. Non l’avevano ordita i comunisti o gli anarchici, ma John Davison Rockefeller, primo uomo a diventare miliardario, fondatore della dinastia simbolo del capitalismo, modello imperituro del self made man. Nessuna bomba, nessun omicidio. La sua arma? […]