Se paghi il pizzo, rischi di ritrovarti sotto accusa per crimini contro l’umanità. È quello che sta succedendo all’azienda francese Lafarge, un tempo il maggior produttore di materiali da costruzione al mondo – fornì la calce per il canale di Suez – poi assorbita da Holcim in seguito allo scandalo. E che scandalo. Lafarge ha pagato tangenti milionarie all’Isis, il famigerato Stato Islamico, per poter continuare a lavorare in Siria con la sua fabbrica di Jalabiya, in un territorio finito sotto il controllo del Califfato. E lo ha fatto in anni, fra il 2013 e il 2014, in cui l’Occidente inorridiva di fronte ai video di sgozzamenti e decapitazioni.
Risale a quel periodo, per esempio, l’assassinio del giornalista statunitense James Foley, rapito in Siria, a cui il famigerato boia dell’Isis “Jihadi John” tagliò la testa il 19 agosto 2014. Nello stesso periodo, i camion con il cemento etichettato Lafarge viaggiavano liberamente in quello stesso territorio con i lasciapassare dell’Isis, rilasciati dietro pagamento di tangenti milionarie. Il tutto documentato da scambi di email finiti agli atti. L’azienda francese fu poi messa sotto inchiesta dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per aver fornito supporto economico al gruppo terrorista, “un crimine sconcertante”, lo definì uno dei procuratori, e condannata nel 2022 a una multa di 778 milioni di dollari.
Big del cemento a processo in Francia: pizzo all’Isis per lavorare in Siria
Ma il caso non è chiuso. Un gruppo di avvocati e attivisti, fra i quali Amal Ramzi Alamuddin, la moglie della star George Clooney, ha portato la Lafarge davanti ai giudici francesi in un processo, in corso, per crimini contro l’umanità. Della mega multa inflitta negli Usa – è il ragionamento degli accusatori – neanche un dollaro è andato alle vittime di una simile condotta aziendale. Cioè a chi in quel periodo ha subito il terrore dell’Isis. Amal Clooney rappresenta circa 800 yazidi, membri della minoranza che dall’Isis in Siria ha subito massacri, stupri, rapimenti. Se Lafarge dovesse essere riconosciuta colpevole, sarebbe il primo caso di un’azienda responsabile di crimini contro l’umanità dal processo di Norimberga a oggi, visto che i pochi precedenti riguardano persone fisiche, per esempio dirigenti, e non giuridiche.
La storia è stata recentemente ricostruita dal Guardian in una lunga inchiesta di Samanth Subramanian. La fabbrica di Jalabiya comprava materia prima da venditori indicati dall’Isis e vendeva cemento all’Isis. Intanto gli pagava una tangente di circa mezzo milione di dollari al mese, con triangolazioni su 54 conti esteri. Un versamento obbligato per continuare a lavorare nell’area, ma quello era solo uno dei 1.600 impianti del gruppo sparsi in 61 Paesi del mondo. Sarebbe stato un peccato chiuderlo, perché quando la distruzione imperversa, la domanda di cemento s’impenna: il prezzo era raddoppiato rispetto a prima della guerra, e il fatturato dello stabilimento nei due anni di dominio dell’Isis aveva toccato i 70 milioni di dollari.
Se paghi il pizzo, rischi di ritrovarti sotto accusa per crimini contro l’umanità. È quello che sta succedendo all’azienda francese Lafarge, un tempo il maggior produttore di materiali da costruzione al mondo – fornì la calce per il canale di Suez – poi assorbita da Holcim in seguito allo scandalo. E che scandalo. Lafarge ha […]