Superfondi: Vanguard, Blackrock & C. Colonizzatori in casa nostra, da Poste al gas di Snam, alle banche
Inchieste

Superfondi: Vanguard, Blackrock & C. Colonizzatori in casa nostra, da Poste al gas di Snam, alle banche

Dopo il botto di Lehman nel 2008 hanno fatto incetta di risparmi "tranquilli" accumulando liquidità monstre

di Luca Martinelli

Ci sono tanti modi di leggere la possibile fusione tra Unicredit e Commerzbank, un istituto bancario tedesco partecipato anche dallo Stato, la notizia che a metà settembre occupa una posizione rilevante nelle pagine dedicate e economia e finanza dei principali quotidiani. La pista suggerita da Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea all’Università di Pisa, è un invito a osservare il risiko dall’alto e a usare la lente che permette di leggere in modo nuovo le principali operazioni finanziarie degli ultimi quindici anni: «La fusione delle due banche – spiega – renderà ancora più rilevante il peso del maggiore azionista privato di entrambi gli istituti che è BlackRock, in possesso del 7% di Unicredit e di quasi il 6% di Commerzbank; una posizione che consentirà al super fondo di condizionare le scelte di investimento del nuovo colosso, indirizzandole assai probabilmente verso i prodotti finanziari del mercato americano, ovviamente a partire dalle azioni di società dove BlackRock ha un grande peso».

Eccolo, forse, il nome del principale tra gli stakeholder a cui fa riferimento Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit, in una intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt, il 16 settembre: “Ora abbiamo investito in un blocco di azioni della Commerzbank. Vogliamo realizzare un buon investimento. Se vogliamo che questa diventi una fusione, gli stakeholder devono essere convinti che creeremmo valore per loro e che la seguiremo. Ma l’Europa, e anche la Germania, hanno bisogno di banche più forti. Le banche devono finanziare la crescita e l’enorme trasformazione che ci aspetta”.

Altro che “interesse nazionale”: i fondi ormai sono “soci di Stato” con quote in Terna, Enav…

Quei risiko sotto al nostro naso

BlackRock e le altre grandi società di investimento State Street e Vanguard sono protagoniste dell’ultimo libro di Volpi, dal titolo assai evocativo, I padroni del mondo. È uscito per Laterza, nel giugno del 2024, mentre impazzavano sui media le ultime puntate di una lunghissima telenovela, quella legata alla cessione per 22 miliardi di euro della rete Tim al fondo Kkr (Kohlberg Kravis Roberts & Co. L.P.), a sua volta partecipato da Vanguard e BlackRock. L’operazione, che si è perfezionata il primo luglio scorso, fa di Kkr, scrive Volpi nel suo libro, “il pivot decisivo delle telecomunicazioni italiane”. Tutto questo è accompagnato da un lasciapassare del governo Meloni, che in modo surreale spiega il via libera all’operazione “a tutela dell’interesse nazionale e a garanzia del controllo statale sugli asset strategici della rete primaria di telecomunicazione” (nota di Palazzo Chigi del 17 gennaio 2024).

È come se in una sorta di amnesia collettiva, chi governa dimenticasse o fingesse di non considerare il peso di soggetti che sono sempre più presenti all’interno di settori nevralgici dell’economia nazionale, da quello bancario a quello delle infrastrutture, da quello energetico al capitale delle utility, le società che garantiscono ai cittadini i servizi pubblici essenziali (acqua e rifiuti, su tutti). È come se, in una sorta di non detto, l’esecutivo non riuscisse ad ammettere nemmeno a se stesso di essere in molti casi addirittura socio di questi grandi fondi d’investimento: accade per Poste Italiane, per Snam (la società della rete di distribuzione del gas), per Terna (la società della rete per la distribuzione elettrica) e anche per Leonardo, l’ex Finmeccanica, l’azienda italiana “leader nell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza”, guidata da Roberto Cingolani, l’ex Ministro della Transizione Ecologica del governo Draghi. Il governo ha appena approvato l’aumento di capitale per Blackrock, che con oltre il 3% diventa il secondo azionista dopo lo Stato. I fondi sono presenti persino in Enav, l’ente regolatore del traffico aereo, insieme al 53,28% del Ministero dell’Economia.

“Partecipano ai dividendi delle spa di luce, acqua e gas, sottraendo risorse al settore pubblico”

Eppure, il tempo per vederli arrivare c’è stato. E non serviva nemmeno una torre d’avvistamento eccessivamente alta su cui arrampicarsi: «I dati che fanno emergere con una certa chiarezza il crescente peso di questi super gestori del risparmio sono emersi dopo la crisi del 2008, quella del fallimento di Lehman Brothers e dei mutui subprime incagliati», dice Volpi. «Dopo aver smaltito lo shock, che ha messo in difficoltà alcune della banche d’investimento tradizionali, negli Usa, serviva un nuovo soggetto in grado di assorbire e remunerare le polizze assicurative, pensionistiche e sanitarie americane. È in questo “vuoto” che hanno preso piede crescente realtà, alcune delle quali già esistenti, come State Street, Vanguard e BlackRock, che sono andate a sostituirsi ai gestori tradizionali del risparmio, proponendo una “finanza passiva”, a basso rischio, fondi che replicano gli indici di Borsa».

La finta “salvezza”

Non c’è trucco, quindi: i risparmiatori hanno visto la salvezza in questi nuovi strumenti – attrattivi, economici, acquistabili senza grandi oneri – che tra il 2010 e il 2012 sono arrivati anche in Europa «facendo così esplodere la quantità di risparmio gestito da questi soggetti». Sono almeno dieci anni, quindi, che a fronte del «decollo» (è assai indicativo la scelta del verbo da parte di Volpi) dei nostri soldi detenuti nelle loro mani, «hanno preso a comprare a piene mani pacchetti azionari delle società più importanti del mondo e hanno assunto un ruolo rilevante nella definizione dei listini. Prima negli Usa, quindi dal 2013-2025 anche in Europa».

Tutto questo, secondo Volpi – che nel 2023, sempre per Laterza, aveva pubblicato il libro Prezzi alle stelle. Non è inflazione, è speculazione è stato reso possibile dalla disattenzione complice del sistema finanziario europeo, «con le banche che hanno visto l’ingresso di questi soggetti nel proprio capitale come una forma di apporto di liquidità». Oltre al 7,019% di Unicredit, in Italia BlackRock detiene il 5,005% di Intesa Sanpaolo e anche il 5,748% del capitale di Mps, l’ex Monte dei Paschi di Siena, di cui è secondo azionista. Il primo, va ricordato, è lo Stato italiano, attraverso il ministero dell’Economia e delle Finanze, che detiene il 26,73% del capitale: «La partecipazione del fondo Usa è divisa in diciotto piccole quote detenute da società controllate» segnala una nota Consob del marzo 2024.

I fondi «sono stati rapidissimi ad acquisire posizioni strategiche» sottolinea Volpi. Noi in italia seguiamo il caso Tim, ma se allarghiamo lo sguardo vedremmo che Vanguard, Black Rock e State Street possiedono oltre il 20% dei colossi delle telecomunicazioni mondiali, a partire da T Mobile, Verizon, Comcast e At&T. “In pratica un colossale monopolio possiede e gestisce le reti di gran parte del mondo “occidentale” e non solo; la grande finanza controlla di fatto le infrastrutture dove passano tutte le informazioni e i servizi” si legge in I padroni del mondo. È successo che in nome di una presunta iniziale convenienza, legata alla liquidità, si sono aperte le porte del sistema europeo a questi soggetti, che hanno fatto il loro ingresso su un mercato, quello dei titoli finanziari, che è fermo a un Regolamento del 2011, «che non pone limiti agli strumenti e nemmeno ai soggetti autorizzati a creare strumenti finanziari» sottolinea Alessandro Volpi. L’Europa non è stata in grado di capire (o non ha voluto farlo) che la colonizzazione avveniva a pezzettini, attraverso un meccanismo di ingresso graduale.

Gli speculatori nel mercato regolato

I contorni di questa penetrazione diventano ancora più pericolosi se – osservando in profondità – ci si rende conto che i fondi d’investimento in Italia hanno preso parte anche alla grande giostra della privatizzazione della società che gestiscono i servizi pubblici locali, cioè alla trasformazione delle società dei Comuni in partecipate quotate in Borsa. Le multiutility (ovvero multi-servizi) come Acea, A2a, Iren, pur operando in territori diversi, hanno però una caratteristica in comune: vivono, prosperano e operano in mercati regolati, ossia all’interno di monopoli naturali, a cui i cittadini non possono rinunciare: nessuno può fare a meno dell’acqua potabile o dell’energia elettrica in casa e nemmeno del servizio di igiene urbana. Scrive Volpi nel suo libro: “I margini sono garantiti dal mercato ‘regolato’, a tutto beneficio dei fondi finanziari privati che traggono giovamento in termini di dividendi anche dalle operazioni di riacquisto dei propri titoli operate dalle stesse multiutility per alimentare i prezzi azionari”.

Aggiunge l’autore a MillenniuM: «Partecipando in modo stabile ai dividendi di società di servizi essenziali io sottraggo quel tipo di disponibilità finanziaria al settore pubblico». Un esempio: sommando i dividendi che A2A ha pagato ai propri azionisti dal momento della fusione (bilancio 2007) alla fine del 2021 si ottiene la cifra di 2,9 miliardi di euro, come ricostruito dal mensile Altreconomia; le cedole staccate dalla società che prima era dei Comuni di Milano e Brescia sono quasi sempre state superiori al risultato dell’esercizio, che in varie occasioni è stato anche negativo. Tra i soci di A2a, immancabili, ci sono anche BlackRock e Vanguard, i cui capitali sono sempre meno pazienti: «I fondi assumono decisioni strategiche, se entrano nel capitale di un’azienda chiedono per esempio le dismissione delle sedi regionali dov’è maggiore il conflitto sociale. Per questo sono i veri padroni del mondo: le grandi ondate economiche post-Covid19 sono state tutte di natura finanziaria, verso settori che non hanno prodotto né un aumento del prodotto interno lordo né dell’occupazione» spiega Volpi.

Padroni selvaggi

In Italia, forse il caso più significativo emerso negli ultimi anni, grazie alla risposta organizzata degli operai, è quello di Gkn, la fabbrica di Firenze acquistata e chiusa, con lettere di licenziamento inviata via e-mail ai dipendenti, dal fondo Merlose, di cui sono azionisti (ovviamente) Vanguard e l’immancabile BlackRock. «È un atteggiamento più da hedge fund, da fondo speculativo, che da fondo d’investimento: se si compra un’azienda da trasformare in un oggetto finanziario, su cui consumare plusvalenza immediata, cambia la tua natura» sottolinea Volpi. La stessa logica l’ha praticata anche Kkr, lo stesso fondo di Tim, con Magneti Marelli, relativa allo stabilimento di Crevalcore, nel bolognese, salvato prima dell’estate da un investimento nazionale.

L’attivismo dei grandi fondi finisce anche con il distruggere il mercato, «perché è sempre più evidente – spiega Volpi – che la determinazione dei prezzi, a cominciare da quelli finanziari, non è coerente con il valore reale delle aziende. Non esisterebbero altrimenti capitalizzazioni come quelle di Amazon, che ha superato i 2 mila miliardi di dollari, o Apple, sopra i 3 mila. Oggi JP Morgan vale oltre mille miliardi, nel 2008 ne valeva 150: siamo di fronte a uno steroide, alla droga della liquidità, che porta alla formazione di prezzi che non sono reali, non dipendono da un’economia reale».

Questi meccanismi inficiano anche la democrazia, laddove alcune scelte strategiche passano per le decisioni di questi fondi. «Non voglio rimpiangere un capitalismo nazionale che ha dato prova in alcuni casi di essere penoso, pensiamo alle traversie di Tim, ma oggi le scelte anche del governo sono largamente condizionate». Se avrete voglia di sfogliare I padroni del mondo, vedrete che i primi due capitoli sono dedicati al welfare italiano e in particolare alla crisi della sanità pubblica. Non è un errore di impaginazione, ma lo sforzo (viene da definirlo didattico) di unire i puntini e aiutare il lettore a capire che questo modello di penetrazione dei fondi nell’economia che abbiamo descritto ha bisogno di una condizione abilitante, che è la crescita del risparmio gestito, «cosa che si fa solo smontando lo stato sociale, chiedendo ai cittadini di pagare meno tasse, invitando a investire quei 200 o 300 euro di liquidità che restano in tasca al mese in un prodotto finanziario in grado di darti quello che la previdenza non ti dà più. Su quell’investimento, tra l’altro, ti faccio anche pagare meno tasse» conclude Volpi.

È un modello importato dagli Stati Uniti d’America, che ora anche Mario Draghi, lo si legge tra le righe del rapporto The future of European competitiveness di settembre 2024, vorrebbe riproporre, andando a sostituire i fondi Usa con campioni continentali, allargando la platea dei lavoratori e dei risparmiatori che scelgono di affidare i propri risparmi a questi soggetti.

La nuova agenda (a suon di pizzini)

A dettare l’agenda, del resto, è gente come Laurence Douglas Fink, detto Larry, amministratore delegato di BlackRock. A giugno è stato in Puglia, al summit del G7. Sul suo profilo Linkedin pubblica integralmente il discorso che ha tenuto di fronte alla platea della G7 Partnership for Global Infrastructure and Investment, un’iniziativa promossa dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden e dal Prime Minister Meloni: “Il dilemma della crescita che abbiamo di fronte è difficile, ma non impossibile. Esiste una risposta apparente, una semplice catena logica: possiamo crescere costruendo infrastrutture. Possiamo costruire infrastrutture sbloccando gli investimenti privati. Possiamo sbloccare gli investimenti privati essendo pragmatici in materia di permessi e di politica energetica. Si tratta di obiettivi ammirevoli, e BlackRock è un partner a tutti gli effetti nel raggiungerli”. Eccoli i grandi fondi a dire cosa serve, proprio a casa nostra. Perché siamo sovranisti, ma solo quando si tratta di chiudere le frontiere ai migranti.

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