Fotografare qualcuno di spalle è una rivoluzione dello sguardo, in cui l’elemento centrale dell’immagine non è più l’espressione del soggetto, impostata o spontanea, ma il contesto e l’azione in cui si muove. È anche una forma di rispetto estremo per chi viene fotografato senza saperlo. Nasce così la street photography , oggi stile molto diffuso anche grazie alle tecnologie digitali, con cui i pionieri rivoluzionarono l’idea di una fotografia costruita e posata. Un genere che accompagna la nascita del fotogiornalismo pur viaggiando su un binario parallelo, senza raccontare storie specifiche, ma ritraendo spesso lo sconosciuto, che tale rimane.
Pochi sono però i casi in cui sconosciuto rimane anche l’autore degli scatti. Questa è la straordinaria storia di Vivian Maier, unanimemente riconosciuta oggi come una delle più grandi fotografe del XX secolo, ma rimasta sconosciuta per tutta la sua vita. Nata nel Bronx nel 1926 da madre francese e padre austriaco, trascorre l’adolescenza in Francia, per poi stabilirsi dal 1951 a New York e poi a Chicago. Una vita difficile, trascorsa spesso in povertà, che la porta a lavorare come tata di diverse famiglie benestanti. Una sorta di Mary Poppins, che nasconde in scatole e cassetti la magia di centinaia di foto e rullini non sviluppati che nessuno conosce. È solo grazie a un’asta nel 2007 che molti di questi materiali vengono acquistati casualmente da John Maloof, all’epoca agente immobiliare, che diventerà poi scrittore e autore del documentario “Finding Vivian Maier” candidato agli Oscar. Solo così la sterminata opera di Maier diventa nota, appena due anni prima della sua morte.
Sulla strada non è un sogno. Conflitti, violenza, povertà, homeless: da New York a Chicago l’altra faccia del boom economico. Sguardi e gesti di un’America oscura
Oggi il lavoro della fotografa statunitense è raccolto nell’importante mostra “Unseen, le foto mai viste di Vivian Maier”, a Monza fino al 26 gennaio, organizzata da Vertigo Syndrome in collaborazione con diChroma photography e curata da Anne Morin. La mostra ha la particolarità di fare un’ulteriore opera di scoperta nella miniera di scatti. Molte sono le foto ancora mai viste – che pubblichiamo in queste pagine – e molti i documentari, gli audio e i filmati in Super8 inediti raccolti e visibili nella location del Belvedere della Reggia di Monza.
Il dettaglio involontario. Con la fedele Rolleiflex, Maier coglie i suoi soggetti mai in posa, in una prima prova di “street photography”: con la storia presa di spalle
La sterminata produzione di Vivian Maier è composta da oltre 150 mila scatti e restituisce uno spaccato, uno sguardo diagonale sugli Stati Uniti a partire dagli anni Cinquanta, rendendo visibile quello che la fotografia ufficiale all’epoca non mostrava. Il lato oscuro del sogno americano, la povertà estrema che inizia a popolare le metropoli e che fa da contraltare al boom economico. Così prima per le strade di New York e poi di Chicago possiamo vedere il benessere dei bambini accompagnati da un’imponente tata o i cappelli sfarzosi di eleganti signore, accanto al conflitto tra un poliziotto e i primi homeless. È negli sguardi rubati in uno specchio o camminando lungo una strada con la sua Rolleiflex che il punto di vista geniale di Vivian Maier diventa antropologia visuale, immersa in un contesto di cui è completamente parte.
Non c’è più separazione tra chi fotografa e chi è fotografato, a tal punto che – tra giochi di specchi e vetrine – spesso il soggetto diventa lei stessa, antesignana dell’auto-scatto, senza prestare il fianco alla moderna vanità o all’autocelebrazione dei selfie, ma restituendo frammenti di vita vissuta. Diventa quindi impossibile scindere l’arte di Vivian Maier dalla sua incredibile biografia, tanto che lei stessa finirà – a causa della povertà estrema – per vivere qualche periodo da homeless in quelle stesse strade che abitava con le immagini.
Che fine fanno le grandi speranze. Nei suoi scatti Maier manda avanti – e fuori – le persone ai margini della società, con la loro bellezza e quotidianità
VIVIAN MAIER.
Newyorkese, nata nel 1926 nel Bronx, da madre francese e padre di origini austriache. Quando i genitori si separano si trasferisce con la madre a casa di Jeanne Bertrand, una fotografa professionista già nota all’epoca, che le trasmette la passione per la fotografia. Trascorre l’adolescenza in Francia e fa ritorno a New York nel 1951, dove inizia a lavorare come tata e acquista la sua prima Rolleiflex, la macchina che caratterizza gran parte della sua produzione. Nel 1956 si trasferisce a Chicago, presso la casa di una famiglia, in cui allestisce una camera oscura artigianale nel suo piccolo bagno. Lavora in diverse famiglie benestanti per tutti gli anni ’70 e ’80, continuando a fotografare in ogni momento libero. Passa alla Leica e alle foto a colori, spostandosi verso immagini più astratte. Un’importante crisi finanziaria la costringe a vivere da homeless per qualche periodo, fino a quando tre dei bambini presso cui aveva lavorato – diventati adulti – provvedono ad affittarle un piccolo monolocale. Per affrontare questo periodo di estrema povertà alcuni suoi mobili vengono messi all’asta. Dentro uno di questi, acquistato dall’allora agente immobiliare John Maloof, vengono trovati centinaia di rullini e negativi mai stampati. Viene alla luce così, per caso, una delle più grandi fotografe del XX secolo. Due anni dopo, nel 2009, muore in seguito a una brutta caduta sul ghiaccio.
Una mostra mai vista
La mostra “Unseen, le foto mai viste di Vivian Maier”, fino al 26 gennaio alla Reggia di Monza è organizzata da Vertigo Syndrome, società che ha pubblicato un audace manifesto in dieci punti che sfida l’idea delle mostre noiose e sovraccariche di informazioni. “Il diritto a non conoscere nulla è sacrosanto – si legge nel manifesto – e ogni mostra deve stimolare la curiosità, non esaurire l’argomento”. Una sorta di rivoluzione nel mondo dell’arte: un nuovo modello espositivo dinamico, dove le opere dialogano con eventi collaterali. Un esempio? La promessa radicale del rimborso garantito per i visitatori insoddisfatti.
Per maggiori informazioni: vivianmaierunseen.com
Fotografare qualcuno di spalle è una rivoluzione dello sguardo, in cui l’elemento centrale dell’immagine non è più l’espressione del soggetto, impostata o spontanea, ma il contesto e l’azione in cui si muove. È anche una forma di rispetto estremo per chi viene fotografato senza saperlo. Nasce così la street photography , oggi stile molto diffuso […]