Saito Kohei: “Anche il capitalismo verde distrugge l’ambiente. La strada  da imboccare è il comunismo della decrescita (ma l’Urss  non c’entra niente)”
Interviste

Saito Kohei: “Anche il capitalismo verde distrugge l’ambiente. La strada da imboccare è il comunismo della decrescita (ma l’Urss non c’entra niente)”

di Salvatore Cannavò

Saito Kohei è un filosofo con il dono della chiarezza. La sua idea di “comunismo della decrescita” sta conquistando il dibattito pubblico a sinistra, il libro “Il Capitale nell’Antropocene” ha venduto 500 mila copie in Giappone e ora è diffuso in tutto il mondo. L’idea è basata su una nuova lettura di Marx, resa possibile dalla partecipazione di Kohei alla Marx-Engels-Gesamtausgabe, l’Opera completa dei due autori in cui analizzando gli scritti del 1868, quindi dopo “Il Capitale”, e in particolare una lettera del 1881 a Vera Zalusovic, rintraccia un approccio ecologista e orientato alla decrescita. Di formazione marxista, anche se non fa parte del Partito comunista giapponese, Saito Kohei si è fatto le ossa nei movimenti per la giustizia climatica a partire dal 2014, anno dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima. Da lì l’idea di conciliare l’analisi marxista e le nuove prospettive ecologiste. Parliamo con lui mentre è in Italia per un giro di conferenze.

Cosa intende con il concetto di Antropocene? E qual è il grado di crisi del pianeta secondo lei?

Ovunque si guardi sul pianeta, non c’è nulla che non sia interessato dalle attività umane. Edifici, strade, agricoltura, silvicoltura, lo stesso oceano, il flusso di microplastiche e l’intera atmosfera, sono coperte da anidride carbonica prodotta da combustibili fossili. Questa situazione rappresenta il tipo di crisi, soprattutto ecologica, che il capitalismo ha creato dopo la Seconda guerra mondiale, e che negli ultimi trent’anni ha continuato a globalizzarsi. Ci troviamo così davanti a un paradosso eccezionale: gli esseri umani non hanno mai avuto così tanto potere, ma, in un certo senso, stanno modificando l’intero pianeta provocando una sorta di collasso della civiltà. Abbiamo così tanta tecnologia, possiamo produrre così tanta ricchezza, abbiamo nuovi materiali, ma soffriamo la disuguaglianza, la povertà e la fame, e inoltre soffriamo questo specifico collasso ecologico, cioè una rottura ecologica. Questo è un problema di sistema sociale, non di tecnologia. Non è un problema di natura umana. Penso che sia un problema del sistema sociale, che è il capitalismo. Penso quindi che sia giunto il momento di mettere davvero in discussione questa razionalità della produzione capitalistica, caratterizzata da una costante crescita economica, da una costante produzione di profitti e così via.

Il filosofo cresciuto fra gli ecoattivisti del dopo-Fukushima ha venduto mezzo milione di copie in Giappone ed è ascoltato in tutto il mondo. Il suo lavoro rilegge Marx in una luce nuova

C’è in Europa una forte corrente di negazione degli effetti della crisi climatica, con una svolta anche nella strategia della Commissione Europea.

Penso che sia vero perché sono ancora in molti a non voler riconoscere la gravità di una crisi. E fra un paio di decenni la situazione sarà molto peggiore. Il collasso ecologico è appena iniziato. La crisi climatica sarà molto più grave. Creerà più disastri naturali. Creerà più scarsità di risorse. Creerà più immigrazione, che porterà a una sorta di ascesa del populismo di destra in Europa e così via. È una situazione molto pericolosa, però alcune élite stanno cercando di proteggere solo se stesse. Siamo di fronte a una situazione molto pericolosa in cui categorie fondamentali come i diritti umani, la democrazia, la diversità, l’idea europea, l’uguaglianza, la libertà, la fraternità, sono davvero in pericolo. Così alcune persone iniziano a comportarsi in modo sempre più egoistico. E penso che dobbiamo proporre un tipo di visione molto diversa, in modo che tutti su questo pianeta possano avere uno stile di vita decente.

Nel suo libro lei mette sotto accusa il “modello imperiale di vita”, uno stile di vita cioè che riguarda solo il mondo occidentale e non è esportabile al resto del pianeta. E così che pensa stia funzionando il capitalismo oggi?

Sì. Credo che molte persone, soprattutto in Europa, se possono ancora negare o non devono affrontare le conseguenze più negative di questa crisi ecologica è perché possono ancora scaricare il costo di una vita agiata fuori dal nord globale. In questa parte del mondo noi stiamo producendo e consumando troppo. Abbiamo davvero bisogno di volare così tante volte? O mangiare così tanta carne? È tutto molto attraente. Ma questo tipo di vita così comoda e agiata è in realtà un’estrazione massiccia di risorse dal Sud globale, un grande sfruttamento di manodopera a basso costo nel Sud globale e naturalmente anche all’interno del Nord globale da parte di immigrati, lavoro precario, manodopera con contratti a termine e così via.

Da qui lo stile imperiale?

Solo alcune persone nel Nord globale possono godere di una vita molto buona, ma il suo costo è, mi sembra, immenso. Chi gode di questo tipo di vita fa di tutto per non riconoscere l’impatto negativo del proprio stile di vita “imperiale”. Questa rimozione agisce anche nella crisi ecologica. Spesso pensiamo che la tecnologia verde, come i veicoli elettrici o le energie rinnovabili, possano risolvere tutti i problemi. Ma quello che sta già accadendo è che stiamo estraendo molte risorse in America Latina, Cina e Africa, come il Congo. E questo sta anche distruggendo l’ambiente, la vita delle popolazioni indigene, sotto il nome di capitalismo verde o sviluppo sostenibile, termini che ritengo molto problematici perché non si tratta affatto di verde, né di sostenibile. Ecco perché ritengo che la decrescita sia l’unica strada che possa davvero portare a una vita dignitosa per tutti e contrastare questo imperialismo ecologico alla Tesla.

Nella sua analisi, lei si concentra sui limiti dell’approccio del modello keynesiano. Critica Stiglitz, per esempio, e il Green New Deal ritenuto non sufficiente. Qual è il loro limite?

Se continuiamo a crescere con le tecnologie verdi, è molto probabile che continueremo ad avere una sorta di dominio imperiale sul Sud del mondo. Quindi più estrazione di risorse e più sfruttamento di manodopera a basso costo dal Sud globale. Ma oggi il Nord e il Sud del mondo sono completamente divisi, basti osservare cosa accade tra Stati Uniti, Cina, Russia, Unione europea di fronte alle guerre di Gaza, Ucraina, etc. In questa situazione, non credo che si possa risolvere la crisi ecologica. Il Nord globale continua a praticare una sorta di doppio standard e questo dimostra chiaramente che non possiamo puntare semplicemente a una crescita capitalistica a base di Green New Deal solo perché questo potrebbe portare a più posti di lavoro. Se si continua a crescere, è molto probabile che si producano più veicoli elettrici e che si abbia bisogno di più elettricità e così via. E questo non è un modo molto efficiente di decarbonizzare l’economia. Penso che il modo più efficiente sia ovviamente quello di ridurre il numero di auto, e che si possa investire di più nei treni o nei trasporti pubblici come gli autobus. Il problema è che nel sistema di produzione capitalistico, produrre autobus, treni, biciclette rende meno che produrre aerei privati. Il capitalismo produce solo ciò che è redditizio, non ciò che è essenziale per la vita delle persone, o ciò che è buono per l’ambiente. Questa logica del profitto su cui si basa il capitale e la logica della sostenibilità, del benessere sono oggi sempre più incompatibili.

“Non possiamo puntare a una crescita basata sul Green New Deal. Profitto e benessere sono sempre più incompatibili”

Come può spiegare in parole semplici l’idea di comunismo della decrescita?

La decrescita consiste fondamentalmente nel concentrarsi maggiormente su ciò che è necessario, su ciò che è essenziale, su ciò che è buono per l’ambiente e così via. Significa quindi allontanarsi dalla logica del profitto e del capitale e fare un primo passo verso un modo di vivere più sostenibile. Non si tratta semplicemente di privatizzare, deregolamentare tutto. Molte cose sono state privatizzate negli ultimi trent’anni in nome della crescita economica. Ma bisogna pagare di più. Quindi, quando parlo di comunismo, non mi riferisco all’Unione Sovietica o al Partito comunista cinese. Si tratta piuttosto di mettere al centro della nostra attenzione i commons, nel senso di riabilitare i beni comuni nella nostra società. L’istruzione, le cure mediche, i trasporti pubblici sono anch’essi degli ormoni essenziali per la nostra vita e per la nostra società, non esistono solo gli ormoni della crescita. Ecco quello che io chiamo comunismo. Una società in cui non dobbiamo necessariamente crescere costantemente, in cui possiamo concentrarci sul benessere e sulla sostenibilità basata sui beni comuni.

Il comunismo della decrescita nel suo libro si basa su cinque punti: passare a un’economia di valori d’uso; ridurre l’orario di lavoro; abolire la divisione standarizzata del lavoro; democratizzare il processo produttivo e l’importanza dei lavori essenziali. Pensa che questi punti possano essere la base di un nuovo programma per la sinistra internazionale?

Ammetto che nell’utilizzare queste parole, a cominciare da decrescita e comunismo, ci siano molti fraintendimenti. Questo tipo di vocabolario crea una certa confusione. Ma se leggete il mio libro, non sto proponendo niente di folle. E nemmeno qualcosa di facile da attuare. Si può riassumere facilmente: dovremmo proteggere l’ambiente; non dovremmo lavorare così tante ore; dovremmo concentrarci di più sui valori dei giovani. E dovremmo anche condividere posti di lavoro ricchi di senso. Non è qualcosa di facilmente comprensibile, ma molti progressisti sono ancora ossessionati dalla logica della crescita economica. Per questo penso che abbiamo davvero bisogno di imparare, soprattutto i marxisti e i socialisti, da altre tradizioni come la decrescita, l’ecologia, il femminismo, l’ecofemminismo in particolare. Le persone stanno cercando da almeno trenta o quarant’anni un’alternativa perché sono consapevoli che il neoliberismo non funziona.

È chiaro che lei non crede nel capitalismo progressivo. Ma pensa davvero che sia possibile superare il capitalismo? E cosa pensa della proprietà?

Per superare il capitalismo penso che sia molto importante immaginare il post-capitalismo. So che è molto difficile, ma se non si riconosce la necessità di superare il capitalismo, si finisce per proporre semplicemente qualcosa come il Green New Deal. Questa visione del futuro è ciò che può supportare veramente una visione progressista e riportare i socialisti di sinistra ad avere il sostegno della maggior parte delle persone. È molto importante per me, come filosofo, presentare una nuova visione del comunismo o del postcapitalismo, in modo da avere ancora un po’ di immaginazione rispetto a molti politici che parlano di tassare di più le persone o di usare il carbon pricing per ridurre le emissioni di carbonio.

Per quanto riguarda la proprietà ritengo che per una gestione ottimale della produzione e dell’economia abbia bisogno di uno strumento più ampio e che serva utilizzare di più lo Stato. Ma penso anche che i beni comuni vadano gestiti in modo democratico. Non credo esista un modello unico, e nessuna nostalgia con il passato è ammessa. Il modo in cui gestiamo l’acqua, le energie rinnovabili, la salute o il modo in cui gestiamo le foreste e i trasporti pubblici, delineano forme di gestione molto diverse tra loro. Non sto negando l’importanza della proprietà statale, ci sono molte cose che lo Stato può ancora fornire molto bene, come l’istruzione e i trasporti pubblici. Ma credo anche che occorra una maggiore partecipazione, credo in strutture comunitarie, di partecipazione autogestita e quindi nella possibilità di creare un maggiore equilibrio tra le forme di proprietà e di gestione in modo da distanziarsi da quel controllo burocratico sovietico dei mezzi di produzione. Possono esserci vari esempi, in Italia e Spagna c’è una lunga tradizione di cooperative per esempio. L’importante è riuscire a collegare le diverse esperienze in modo da sfidare sul serio il capitalismo globale.

Cosa pensa dei principali attori politici che possono sostenere questa proposta? Di movimenti ecologisti come Friday for Future o Extinction Rebellion? E che ruolo assegna a sindacati e lavoratori?

Credo che serva una maggiore unione e un dialogo più profondo. Nel sindacato, nei partiti di sinistra, si pensa soprattutto alla crescita, prevale il produttivismo. Ed è un approccio errato. Bisognerebbe dialogare di più con gli ecologisti, ma non penso che Extinction Rebellion da sola possa cambiare il sistema capitalistico. Le loro strategie e proteste sono molto efficaci, ma abbiamo davvero bisogno di modificare i mezzi di produzione, il modo in cui produciamo le cose e il modo in cui consumiamo. Quindi, se si parla di mezzi di produzione, penso che i sindacati siano ancora importanti solo che abbiamo il problema della distanza tra i lavoratori e gli ecologisti.

Spero che la mia proposta di comunismo della decrescita crei una base comune per dialogare, collaborare, pensare insieme, ma è un lavoro, un dialogo che riguarda tutti, anche le persone “normali”. La filosofia può cambiare i valori e il pensiero. Si tratta di un punto di partenza per mettere in discussione il capitalismo, anche in modo radicale, ma poi serve l’apporto di tutti e tutte.

IL LIBRO. La casa editrice Einaudi lo definisce “il libro di economia più eversivo del decennio”. “Il Capitale nell’Antropocene” (312 pp., 19 euro) è uscito nel 2020 e in Giappone ha venduto mezzo milione di copie. In Italia è uscito quest’anno. La tesi dell’autore, basata anche su un’originale rilettura di Marx in chiave ecologista, è che il sistema capitalista non è in grado di portarci fuori dalla crisi climatica, ambientale e sociale. Neppure nella sua versione “sostenibile”. L’unica possibilità è dunque quella di un cambio di paradigma, a cominciare da un freno alla crescita.

SAITO KOHEI. Giapponese, classe 1987, studioso di filosofia, è professore associato all’Università di Tokyo. Si è formato fra Giappone, Stati Uniti e Germania ed è coautore della “Marx-Engels-Gesamtausgabe”, l’opera completa dei due padri del comunismo pubblicata nel 2019 anche sulla base di documenti inediti. Da qui ha tratto ispirazione per innestare il pensiero di Marx nel filone dell’ecologia e dei movimenti per la giustizia climatica. Il successo dei suoi scritti lo ha portato a tenere conferenze in tutto il mondo. A ottobre ha dialogato con la segretaria del Pd Elly Schlein in un forum organizzato da “Repubblica”

Saito Kohei è un filosofo con il dono della chiarezza. La sua idea di “comunismo della decrescita” sta conquistando il dibattito pubblico a sinistra, il libro “Il Capitale nell’Antropocene” ha venduto 500 mila copie in Giappone e ora è diffuso in tutto il mondo. L’idea è basata su una nuova lettura di Marx, resa possibile […]

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