Arrestiamoli a casa loro
di Mario Portanova

Armi all’Ucraina. Ma poi dove vanno a finire?

Si discute molto sulle armi da inviare (o meno) all’Ucraina invasa dai russi, ma ora ci si comincia a preoccupare anche della fine che fanno. E, soprattutto, che faranno. I conflitti, si sa, provocano innumerevoli “danni collaterali”. Fra questi c’è il fatto che lasciano in giro troppe armi, troppa gente che le sa usare e, se si prolungano nel tempo, troppa gente che ha le armi come unico mestiere. La guerra dei primi anni Novanta nella ex Jugoslavia, per esempio, ha lasciato in eredità una decisa vocazione dei Balcani al traffico d’armi e la nascita di agguerrite organizzazioni criminali transnazionali.

A giugno la polizia ucraina è intervenuta contro un gruppo di trafficanti che aveva imboscato un arsenale di tutto rispetto. C’era persino un cannone antiaereo da 23 millimetri, lo Zu-23-2 di fabbricazione russa, quotato sul mercato nero 7.500 euro. Fra gli altri pezzi pregiati, una mitragliatrice M240 di fabbricazione statunitense, dal valore di circa 8.000 dollari, e un lanciagranate di progettazione sovietica Ags-17, da 6.000 dollari.

Le persone arrestate erano militari ucraini in servizio attivo, sottolinea Global Initiative Against Organised Crime, ong che da tempo monitora l’evoluzione di questi traffici nel Paese in guerra. Fino a quel momento, i sequestri avevano riguardato per lo più civili che avevano recuperato armi di taglia più piccola abbandonate sui campi di battaglia: i cosiddetti “trofei”, lasciati indietro dai russi in fuga in qualche capovolgimento di fronte. Stime sconcertanti, ma autorevoli, dicono che sul terreno se ne contino fino a cinque milioni. Di fatto l’Ucraina si è dotata di una legge specifica che regolamenta il possesso dei “trofei” da parte dei comuni cittadini.

Aumentano i sequestri, c’è chi si imbosca persino i cannoni. Kalashnikov in saldo

Altri sequestri, sottolinea ancora Global Initiative, si sono registrati in agosto (72 pistole, 20 fucili d’assalto, 29 granate, decine di migliaia di proiettili) e a settembre (132 caricatori per lanciagranate).

Da qui i timori di un salto di qualità verso organizzazioni in grado di rifornire con arsenali di questo genere terroristi, criminali e mafiosi in tutto il mondo. Oltretutto l’Ucraina era già un hub del traffico prima dell’invasione russa, data la grande quantità di armi e ordigni rimasti nel Paese dopo la dissoluzione dell’Urss. Un caso per tutti, quello di Leonid Minin, arrestato nel 2001 in un hotel di Cinisello Balsamo (Milano), figura che contribuì a ispirare in parte il personaggio di Nicolas Cage nel film del 2005 Lord of War.

Diversi organismi, Onu e Ocse compresi, cercano di tracciare il ciclo di vita delle armi inviate dalla coalizione anti-Putin. Idem gli Stati Uniti, che vorrebbero evitare di trovarsi sotto il fuoco di quelle stesse armi in altre zone calde, o in casa propria con attacchi terroristici. Ma senza “stivali sul terreno” è tutto molto complicato. Intanto in Ucraina il prezzo di un kalashnikov – che è un po’ l’indice Big Mac del settore – è calato da 1500 a mille dollari. Un affarone.

Si discute molto sulle armi da inviare (o meno) all’Ucraina invasa dai russi, ma ora ci si comincia a preoccupare anche della fine che fanno. E, soprattutto, che faranno. I conflitti, si sa, provocano innumerevoli “danni collaterali”. Fra questi c’è il fatto che lasciano in giro troppe armi, troppa gente che le sa usare e, […]

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