I lettori più affezionati di questa rubrica già sanno che la Sala dei Nove del Palazzo civico di Siena è affrescata con una potente rappresentazione del “male” della corruzione: l’Allegoria del cattivo governo, dipinta da Ambrogio Lorenzetti tra il 1338 e il 1339 come monito ai nove componenti dell’organo di autogoverno cittadino che là si riunivano. È una proiezione delle ricadute devastanti su una collettività del dominio di governanti che al bene comune antepongono fini personalistici.
Pur affrontando un tema “laico” – cosa rarissima per l’epoca – nell’affresco il tirannico governante corrotto appare come la demoniaca incarnazione delle sfaccettature del “male”: crudeltà, tradimento, frode, furore, divisione. Sono precisamente le proprietà che, secondo la riflessione scientifica contemporanea, definiscono una nozione di corruzione non più confinata nell’angusto perimetro del codice penale. Con sapienza il Lorenzetti pennella gli effetti del governo corrotto che si ripercuotono sulle attività economiche, nella riproduzione spettrale di una città tra macerie e miseria, circondata da campagne incolte. Sei secoli fa si erano già intuiti gli effetti perniciosi della corruzione a livello planetario, confermati oggi dalla ricerca accademica con sofisticate analisi statistiche: la povertà estrema, la crescita delle disuguaglianze, la sfiducia interpersonale, persino il crollo degli edifici in eventi sismici non sono il frutto di flagelli biblici, bensì l’effetto prevedibile e persino calcolabile di pratiche corrotte che si intrecciano con altre attività socialmente rovinose, alimentandole.
Ecco perché un mercato orientato da pareri di esperti si presta a troppi abusi
Dalla corruzione nell’arte alla corruzione dell’arte il passo è brevissimo, giusto una preposizione. L’insegnamento del Lorenzetti è rimasto a lungo inascoltato, in compenso il mercato dell’arte è diventato brodo di coltura di una massa opaca di pratiche truffaldine, dai plagi alle false attestazioni, incluso il ricorso estensivo a mazzette: anche questa, forse, una lezione da capire. Una ricerca pubblicata nel 2013 sul Law & Economy Journal rinviene la radice di questa propensione alla disonestà nel “mondo dell’arte” nella natura stessa del proprio oggetto, che può indurre chiunque vi operi con fini di profitto a tenere celate o a mistificare le informazioni e le conoscenze di cui dispone.
Nel mercato delle creazioni artistiche domanda e offerta non si incontrano in modo neutro, poiché la loro formulazione è orientata dalle aspettative relative al valore futuro di una “merce” dalle qualità estremamente impalpabili e aleatorie. Ma queste credenze non maturano grazie a una trasparente circolazione di informazioni. Sono invece orientate in modo cruciale – a volte strumentale, e sempre interessato – da pareri espressi da soggetti esperti. Un potere immenso e del tutto arbitrario di creare valore, con le conseguenti tentazioni di appropriarsene, almeno in parte. Non deve allora sorprendere che qualche illustre critico d’arte si trovi coinvolto in squallide vicende giudiziarie. Ci si dovrebbe stupire che non accada più spesso.
I lettori più affezionati di questa rubrica già sanno che la Sala dei Nove del Palazzo civico di Siena è affrescata con una potente rappresentazione del “male” della corruzione: l’Allegoria del cattivo governo, dipinta da Ambrogio Lorenzetti tra il 1338 e il 1339 come monito ai nove componenti dell’organo di autogoverno cittadino che là si […]