Un paese ci vuole, scriveva Cesare Pavese. Anguilla, il protagonista del romanzo La lunà e i falò, tornava dall’America dopo avere fatto fortuna perché un paese ci vuole. L’importante è poterlo scegliere e non subirlo come i comuni mortali. Chris Bangle dopo una lunga ricerca nelle Langhe se n’è scelto uno non lontano da Santo Stefano Belbo dove era nato lo scrittore. Borgata Gorrea, frazione di Clavesana, è un pugno di case arroccato tra enormi calanchi bianchi, ripide colline di viti e grossi trattori che sfrecciano tra campi e cantine su strade semideserte. Il designer americano si rammarica che la giornata non sia delle migliori e lo sguardo non spazi fino al Monviso come quando il cielo è limpido. Vorrebbe portarmi a vedere la sua panchina gigante in mezzo alle vigne ,ma la strada è fangosa, ha piovuto per giorni.
Ho visto una big bench per la prima volta questa estate, mentre scendevo per un sentiero in mezzo alle stoppie di un campo sulle colline sopra a Volpedo, nel tortonese, lato opposto del Piemonte. Sarebbe a dire la natura dipinta da Giuseppe Pellizza in diverse e celebri tele. Era alta, rossa e solitaria. Ti sentivi come un bambino di fronte a una panchina normale. All’inizio l’accostamento mi è sembrato un po’ blasfemo, ma in fondo ogni oggetto di design innovativo deve essere una eresia estetica. Ho persino pensato a un inserimento nel territorio a scopo di selfie, per renderlo instagrammabile, absit iniuria verbis, ma le cose stanno diversamente. La “big bench theory” nasce sotto un segno opposto ed è diventata la “vision” di una fondazione senza scopo di lucro.
La prima cosa che si nota appena arrivati alla cascina di Chris Bangle è la piscina sospesa a forma di Tau, davanti all’ingresso, due canali disposti a croce francescana. È perfetta, spiega, per i bambini in quanto le sponde sono sempre vicine. Sul fianco occidentale della casa un doppio tronco metallico ramificato regge una cupola trasparente multicolore: «Avremmo voluto un albero qui, ma non c’era spazio per le radici. Allora mi sono chiesto: cos’è un albero? Qualcosa che fa ombra, ha un aspetto gradevole, diventa colorato quando fiorisce, okay? E così ho realizzato questa installazione».
Più ancora dell’albero, che ricorda il Gruppo Memphis, colpisce l’approccio mentale di Bangle alla realtà materiale. Una sorta di pensiero laterale non privo di candore che aggira lo stato delle cose per arrivare alla radice della percezione. Sullo stesso lato della casa un arco di trionfo, con le colonne in movimento come se fossero gambe, sembra in cammino. Sul frontone ha un’ironica scritta in latino: “Omnis arcus triumphum suum meritandus est”, “Ogni arco deve meritare il suo trionfo”. È la nuova creatura di Bangle che oggi tutti conoscono come l’inventore delle panchine giganti, almeno in Italia, più ancora che come designer di automobili.
Nel parcheggio c’è la sua vecchia Bmw X6 bianca. Bangle è stato capo del centro stile al gruppo Bmw per diciassette anni e ha progettato i primi suv per il marchio tedesco, ma anche auto che sembrano piccoli suv anche se si chiamano Mini. Ha affrontato le sfide del design in un momento di trasformazione radicale dell’auto prima degli altri. Un momento non privo di polemiche. Le esigenze di sicurezza e di comfort hanno portato a progettare auto sempre più grandi e Bangle non esita a definire il risultato uno “shock estetico” al quale il pubblico non era per niente pronto. È affezionato alla sua vecchia X6 e la chiama «il mio cane bianco»: «Qui nel giro di pochi mesi tutto il paese ti conosce e tu conosci quasi tutto il paese. La macchina come parte della tua identità è importante, un’estensione della connessione sociale. Un’amica in polizia mi ha detto; guai se cambi macchina, nessuno ti riconosce più».
Con l’X3 di sua moglie, Bangle ha fatto un viaggio d’estate sulla costiera amalfitana: «Ho lasciato guidare mio figlio. Strade strette, troppe curve, tantissimo traffico, gente che attraversava la strada. Quando siamo usciti da questa esperienza, piacevole ma molto stressante, abbiamo deciso: la prossima volta che qualcuno parla delle self-driving car, lo mandiamo sulla Amalfi Coast. Hands off, via le mani dal volante se hai il coraggio».
Deviazione Instagram: i mega sedili hanno invaso il paesaggio un po’ per caso: ognuno ha il suo timbro
Marchio registrato, ma copiano lo stesso
Ci siamo intanto trasferiti all’interno della cascina, che Chris ha diviso in modo da creare diversi spazi per il lavoro alla squadra che lo affianca nelle sue attività. Niente open space “delittuosi” (Arbasino), ma spazi raccolti e intimi con un caos creativo ordinato. Il clima è un misto tra quello di una start-up e quello di una cascina langarola. Potrebbe apparire un tablet così come una toma. Invece appare un vassoio di biscotti fatti dalla pasticceria locale.
Il progetto delle big bench nasce qui un po’ per caso ma è diventato con gli anni un fenomeno, tanto da avere generato un turismo, un movimento di persone che visitano un luogo spinti dalla presenza di una panchina gigante. C’è pure un passaporto come quello dei pellegrini. Ogni panchina un timbro. Stiamo parlando di arredi da esterni fuori scala collocati in punti panoramici in mezzo alla natura allo scopo di valorizzare i territori. La maggior parte si trova in Italia, Langhe in particolare, dove tutto è iniziato.
«La prima panchina l’ho fatta quando siamo arrivati. Era Natale» ricorda Chris Bangle. «Ho preso l’involucro di cartone del frigo, l’ho appoggiato al muro e ho disegnato la panchina. Quindi ho chiesto al mio vicino Francesco, che era contadino e sapeva saldare – e purtroppo è venuto a mancare l’anno scorso – se mi dava una mano. Lui guarda i disegni fuori scala e mi dice: sei sicuro? Sì non ti preoccupare, va bene. Lui ha fatto tutto il lavoro del metallo e insieme abbiamo fatto la parte di legno e il resto.
Abbiamo lavorato per un paio di mesi e intanto mi ha spiegato la storia del territorio. It was wonderful. Quindi a mezzanotte un giorno di primavera abbiamo messo nella nostra vigna dove si vede il Monviso la panchina e abbiamo fatto una piccola festa. Il primo anno la gente chiedeva: possiamo andare a sederci? L’anno dopo abbiamo avuto richieste per replicarla: ecco i disegni te li do gratis, do it yourself. Dopo tre o quattro richieste, abbiamo detto: meglio tenere le cose sotto controllo quindi abbiamo brevettato tutto. It’s all copyrighted. Qualcuno le copia lo stesso».
Le regole di seduta: “Diamo gratis i disegni, ma con selezione rigorosa: se la fai, zero soldi pubblici”
I fondi per la scuola e la lezione della “Ritmo”
Nel tempo le panchine sono aumentate e mentre scriviamo sono arrivate a quota 387. Sono spuntate a Labasint, in Romania. In Spagna a Vilalba e Sant Jordi. In Francia a Wintzenheim e in Germania a Weinsberg. In Croazia a Visnjan (Visignano). In Slovenia a Vipava. Altre sessantatré sono in costruzione.
I criteri di selezione dei candidati sono rigorosi. Non deve essere messo neanche un soldo pubblico, spiega Chris Bangle, né dal comune, né dai fondi europei: «Per evitare che si dica che invece di riparare il tetto della scuola sono stati investiti soldi pubblici nella big bench. Dopo avere verificato i requisiti, forniamo gratuitamente il progetto in formato cartaceo. Segnaliamo la panchina gigante sul nostro sito per consentirne la localizzazione, ma non facciamo altro: sta ai promotori delle nuove panchine occuparsi della loro costruzione e installazione. Da manager ho imparato infatti che bisogna vincere la tentazione al supercontrollo. Il segreto per essere sani, per non perdere la salute, è quello di affidarsi agli altri».
La forma mentis del designer deve trovare un equilibrio tra candore infantile e stratificazione culturale. Interrogato sulla scarsa avvenenza di diverse vetture Fiat, per quanto realizzate nel paese del design, di Pininfarina, delle Ferrari e delle Maserati, Bangle rivendica una visione storica e colta: «Faccio un esempio. La Ritmo non mi è mai piaciuta, finché al salone di Ginevra ho visto un progetto del ‘53. Gio Ponti aveva disegnato un’automobile del futuro e assomigliava in tutto e per tutto alla Ritmo. A quel punto la Ritmo aveva guadagnato un suo contesto e ha iniziato a piacermi».
Sul fronte opposto, quello del candore, si registra un episodio molto divertente. Mentre negli anni ’90 stava lavorando alla Fiat Coupé, modello molto riuscito che ricorda la Ferrari, Bangle ha ricevuto un’ispirazione guardando Zozza Mary, pazzo Gary con Peter Fonda. Nel film c’era una Dodge Charger del 1969 color giallo limo, con un dettaglio sexy adottato subito per Fiat Coupé: il tappo in alluminio nudo che sporge dalla carrozzeria.
Nonostante la crisi dell’auto, un settore che in Europa perde colpi dal Covid in poi, e tutte le polemiche alimentate dalla propaganda digitale sovranista, Bangle resta fiducioso sulle sorti progressive del motore elettrico. Lo considera una tecnologia con grandi spazi di miglioramento perché ancora allo stadio iniziale, al contrario del motore a benzina che ha raggiunto negli anni ’90 il culmine della sua fase evolutiva. Bangle collabora con una azienda cinese che si trova nell’area di Pechino, Xiaomi, e dice che fanno macchine di qualità e sicure, che si guidano bene: «Last but not least. Quest’anno in Cina ho avuto l’impressione che la qualità dell’aria sia migliorata rispetto agli anni scorsi”.
Spiega che in Cina ha visto quell’entusiasmo per l’automotive scomparso in Europa e America. «La Cina», spiega, «è cambiata moltissimo negli ultimi anni. Le strade nelle città si sono ampliate e i cinesi chiedono auto con calandre sempre più grandi». I marchi europei si adeguano ampliando i frontali a dismisura. O meglio a misura di nuova highway cinese: «Quando notiamo qualche cambiamento strano nelle auto prodotte in Europa dobbiamo pensare al cliente cinese. Ormai sono i cinesi i clienti di riferimento».
Contaminazioni simili si sono già verificate quando Mercedes ha messo in produzione autovetture con le pinne per sedurre il pubblico americano. Bangle è nato a Ravenna, Ohio, pieno Midwest – non esattamente il luogo che ti viene in mente quando pensi alle auto. Rivendica però la nascita dell’industria automobilistica americana in quello stato. Poi tutto si è sposato a Detroit. La catena di montaggio, la Ford T, e tutto il resto. Ha mantenuto una grande passione per le macchine d’epoca, quei chilometri di lamiera luccicante con pinne che sfiorano la luna e hanno fatto la storia delle auto americane. La capitale dell’entusiamo automobilistico, dove ogni weekend si fa un raduno di classic cars, è rimasta “up in Michigan” per dirla con Hemingway.
“Il capitalismo è una ruota che sta finendo il suo giro”
Una certa somiglianza con Limonov, 68 anni ben portati e compiuti il giorno di questa intervista, Chris Bangle ha sviluppato un pessimismo nei confronti di un sistema capitalistico di cui gli sembra di percepire i simboli terminali: «È una ruota che sta finendo il suo giro. Macchina, sedia, casa, non importa cosa, tutti sono una parte di questo… Quando l’occupazione non interessa più le aziende e l’essere umano non è più al centro del sistema produttivo. Quando si va a produrre in Asia e poi in Africa e poi in Antartide fra i pinguini perché costa meno… there’s nothing to do se non si riporta l’essere umano al centro».
In effetti nella scelta di trasferirsi in Italia, non esattamente un paradiso fiscale, dimostra di voler andare controcorrente rispetto alla logica del profitto: «No, ma no. L’Italia è una questione di qualità della vita. Vedi le statistiche e dici l’Italia è sotto e altri paesi sono sopra. Non è così. L’Italia è sopra. Per me l’Italia è una favolosa esperienza non solo perché ha borghi antichi, natura, città storiche, castelli, la pittura del Rinascimento, le chiese. L’Italia è ancora un paese con l’essere umano al centro. Io sono americano, mia moglie svizzero-tedesca, mio figlio è nato a Torino, ma quando ci chiedono qual è il VOSTRO paese, noi rispondiamo ‘L’Italia’».
Sedotti dalle capacità progettuali di Chris Bangle, dalla sua capacità di ripensare le cose più ovvie, un albero come una panchina, lo portiamo a riflettere sull’unico campo che da tempo non viene ripensato e cioè il campo santo. Possibile che non gli venga qualche idea per svecchiare quel mondo polverosamente triste? Mi liquida con una meravigliosa battuta in stile anglosassone: «Perché cambiare? Nessun cliente si è mai lamentato!».
Un paese ci vuole, scriveva Cesare Pavese. Anguilla, il protagonista del romanzo La lunà e i falò, tornava dall’America dopo avere fatto fortuna perché un paese ci vuole. L’importante è poterlo scegliere e non subirlo come i comuni mortali. Chris Bangle dopo una lunga ricerca nelle Langhe se n’è scelto uno non lontano da Santo […]