Affacciandosi dalle mura della fortezza di Ibn Maan, costruita intorno al tredicesimo secolo dai Mamelucchi, che allora dominavano il Medioriente, si controlla con lo sguardo la città di Palmira, in Siria. A ogni lato c’è il deserto che circonda vincitore ogni cosa. Gli unici alberi sono le palme presenti nella città e intorno ai resti di Palmira, assurta alla gloria mondiale quando la regina Zenobia, bellissima e orgogliosa, sfidò la potenza di Roma… perdendo!
Dalle alte mura del castello, però, non si scorge il carcere di Palmira, dove decine di migliaia di detenuti hanno trovato la morte nell’arco degli ultimi cinquant’anni. La prigione, distrutta dai militanti dell’Isis quando presero il controllo della città nel 2013, ha rappresentato nell’immaginario dei siriani il contrario della bellezza. Il “Primo Levi siriano”, Mustafa Khalifa, nel suo libro autobiografico La Conchiglia. I miei anni nelle prigioni siriane, edito da Castelvecchi, narrò il suo viaggio nell’inferno del carcere di Palmira dove, in una cella di venti metri quadrati, erano stipati novanta uomini. Andare in bagno, ricordava Khalifa, significava correre fra due ali di poliziotti che “ci prendevano a bastonate sulla testa”. L’uomo non era più un essere umano, ma mera carne da macello. Il tempo non esisteva, cessava di correre. E questo orrore persisteva nel segreto, in contrasto con la meraviglia delle rovine archeologiche di Palmira. Gli sminatori russi girano ancora fra i resti dei colonnati, sbriciolati dalle bombe.
Difficile restaurare i siti archeologici Colpiti dall’isis. Non è solo un problema di mancanza di fondi
“Vale la pena ricostruire il sito non mantenendo autenticità o dovremmo piuttosto concentrarci sull’avere una documentazione 3D di com’era?”. È quello che si è chiesto Youmna Tabet, dell’Unesco, per il quale il maggior problema è la scarsità di materiale originale. C’è poi “una grande mancanza di finanziamenti, per tutti i siti in Siria”, ha sottolineato Tabet. Questa mancanza di finanziamenti è una questione evidenziata da più parti. I motivi sarebbero tutti politici. Lo ripete Maamoun Abdulkarim, che, al momento dell’incursione dell’Isis a Palmira, era a capo del dipartimento antichità siriane. “Dobbiamo fare una certa separazione tra gli affari politici e quelli del patrimonio culturale”.
Le sanzioni imposte alla Siria dagli Stati Uniti e l’Europa vietano la vendita di molti beni o l’importazione di prodotti, specialmente provenienti dagli Usa. Questo ha provocato una mancanza cronica di materiale specifico utile al restauro. Palmira, il Castello di Aleppo, Apamea e moltissimi altri siti archeologici rimangono in un limbo. Le antichità dovrebbero essere considerate “neutre rispetto alla realtà politica: questo è patrimonio umano globale, che appartiene a tutto il mondo, non solo ai siriani”, gridano gli archeologi.
Intanto il deserto custodisce la città di Zenobia. E la vecchia gloria dei secoli è ancora visibile dall’alta torre del castello sulla montagna.
Affacciandosi dalle mura della fortezza di Ibn Maan, costruita intorno al tredicesimo secolo dai Mamelucchi, che allora dominavano il Medioriente, si controlla con lo sguardo la città di Palmira, in Siria. A ogni lato c’è il deserto che circonda vincitore ogni cosa. Gli unici alberi sono le palme presenti nella città e intorno ai resti […]