Il cibo, bene di consumo quotidiano e benzina per il nostro corpo, può anche essere un importante strumento di promozione dell’incontro, del dialogo e dello scambio. E così facendo di costruzione della pace. In un mondo in cui svariate forme di conflitti si moltiplicano a vista d’occhio, porre il cibo nell’ottica di promotore della fratellanza diventa un’esigenza quanto mai impellente.
La devastante guerra tra Russia e Ucraina e il conflitto israeliano-palestinese sono i conflitti più esposti dal punto di vista mediatico, ma attualmente ci sono più di 500 guerre attive nel mondo. Le guerre però non sono l’unico tipo di conflitto: la crisi climatica, la distruzione degli ecosistemi, la crisi migratoria, la crisi sociale che fa sì che le disuguaglianze sociali tra persone siano sempre più accentuate, sono altre forme di ostacolo alla pace.
I due agricoltori “fratelli” uccisi a pochi giorni di distanza. La terra condivisa è l’unica chance di pace
La stessa agricoltura, che è sinonimo di vita per antonomasia, viene spesso strumentalizzata per alimentare il profitto e la violenza, ancora prima delle pance delle persone. Invece di promuovere la biodiversità e il rispetto degli ecosistemi, la smania del potere e del denaro porta all’inquinamento delle terre, allo sfruttamento dei lavoratori e all’uso sconsiderato delle risorse naturali. Tuttavia, nonostante guerra, violenza e orientamento al bieco profitto tendono a compromettere l’accesso al cibo e a innescare crisi alimentari e ambientali, esistono comunità e realtà agricole per cui, persino in condizioni difficili, il cibo continua a essere prodotto, distribuito e condiviso come simbolo di resistenza pacifica e fratellanza universale.
Le vite di Dror Or, produttore di formaggio israeliano, e di Bilal Saleh, olivicoltore palestinese, sono un potente insegnamento di quanto il cibo possa unire, anche in contesti di estrema divisione. Entrambi erano agricoltori che condividevano l’amore e la cura per la terra e si sono incontrati più volte a Torino in occasione di Terra Madre Salone del Gusto. Condividevano la visione di un mondo in cui il cibo è sinonimo di qualità, cooperazione e giustizia, al di là di ogni tipo di contrapposizione. Dror Or e Bilal Saleh sono morti a pochi giorni di distanza nell’ottobre dello scorso anno. Il primo per mano dei terroristi di Hamas e il secondo freddato da un colpo di fucile di un colono israeliano. Queste due storie, separate da una distanza geografica di pochi chilometri, ma unite da una comune passione, ci ricordano quanto sia fragile la pace, ma anche quanto sia potente il cibo come simbolo di resistenza, speranza, e strumento attraverso cui promuovere l’esercizio della fratellanza.
D’altronde penso che la fratellanza si possa imparare molto bene nei rapporti che si instaurano attraverso il cibo a tavola. La tavola di oggi può essere uno dei luoghi più democratici in assoluto. Sedere attorno alla stessa tavola e condividere il pasto può abbattere barriere culturali, sociali è religiose. In quest’ottica la tavola diventa un luogo di dialogo, dove tutti i partecipanti possono parlare e accedere al cibo. Enzo Bianchi, mio carissimo amico e fondatore della comunità di Bose, ha di recente detto con riferimento alla condivisione del pasto: “Voglio che tu mangi bene perché io mangio bene”. Questa semplice frase racchiude un impegno verso l’altro ed esprime il senso profondo della giustizia alimentare e della fratellanza.
Il cibo poi non solo deve essere accessibile e giusto, deve anche essere frutto di pratiche rispettose dell’ambiente. Come ben ha definito Papa Francesco nell’enciclica Laudato Sì, non può esserci giustizia sociale in assenza di giustizia ambientale. Riconoscere dunque che la Terra non è un bene da dominare, ma da custodire e condividere è un passo importante per la costruzione di un mondo più giusto e pacifico. Difendere la biodiversità, interrompere la deforestazione, eliminare gli sprechi e promuovere un’agricoltura sostenibile significano, oggi più che mai, costruire un futuro migliore. Farlo in un’ottica di universale e fraterna comunione significa che nessuno può essere lasciato indietro. Perché in un mondo in cui tutto è interconnesso la pace non sarà vera finché non capiremo che la Terra è una tavola data a tutti e non solo condivisa tra pochi.
Il cibo, bene di consumo quotidiano e benzina per il nostro corpo, può anche essere un importante strumento di promozione dell’incontro, del dialogo e dello scambio. E così facendo di costruzione della pace. In un mondo in cui svariate forme di conflitti si moltiplicano a vista d’occhio, porre il cibo nell’ottica di promotore della fratellanza […]