[a cura di Paolo Soraci] Tutto chiaro, no? Da un lato delinquenti, ladri, topi d’appartamento, specialisti che agiscono magari su ordinazione, acrobati che si insinuano in ricche magioni o guardatissimi musei (ah, Topkapi!) o maghi della lancia termica. Dall’altro, uomini in uniforme che indagano, perseguono, restituiscono il maltolto. Vero, ma solo in parte. Le regge dell’Occidente, i musei dell’Occidente traboccano di meraviglie sottratte senza tante storie da uomini perlopiù in uniforme, protagonisti di saccheggi istituzionalizzati, di conquista in conquista, di colonizzazione in colonizzazione, di olocausto in olocausto. Come fecero anche i nazisti nei Paesi che man mano cadevano in mano loro. Come fecero i nazisti con i beni degli ebrei.
Il commovente libro di Edmund de Waal, raccontando la storia di una straordinaria collezione di netsuke (piccolissime sculture giapponesi, perlopiù in ambra o avorio, usate come fermaglio) in viaggio nei decenni su e giù per un’Europa ancora Belle Époque per i rami di una ricca e civilissima famiglia israelitica, tra Odessa e Parigi, Vienna e l’Inghilterra, approda inevitabilmente al dopo Anschluss. Palais Ephrussi, gioiello del Ring, viene svuotato di tutte le ricchezze ivi accumulate da generazioni. Sarà la domestica Anna, arianissima gentile, a salvare almeno i piccoli netsuke. Benefica ladra in grembiule tra ladri in uniforme.
Da Un’eredità di avorio e ambra, Bollati Boringhieri 2011, trad. di Carlo Prosperi
Ad Anna viene detto che non può più lavorare per gli ebrei, che ora lavorerà per il Paese. Le viene detto di rendersi utile aiutando a sistemare i beni dei precedenti occupanti, impacchettandoli dentro casse di legno. C’è molto da fare, le ordinano di cominciare dalla sala dell’argenteria. Ovunque, casse da riempire e uomini della Gestapo che stilano elenchi, prendendo nota di ogni oggetto avvolto e messo via da Anna. Dopo gli argenti, le porcellane. Nel frattempo, altri smantellano l’appartamento pezzo dopo pezzo. Portano via gli argenti. E gli orologi che Anna provvedeva a caricare, tutte le settimane, i libri dalla biblioteca.
Anna cerca di capire se può salvare qualcosa per Emmy e i ragazzi. «Non avevo modo di trafugare nulla di prezioso. Allora cominciai ad arraffare dallo spogliatoio della baronessa tre o quattro ninnoli per volta, quelle figurine con cui giocavate da bambini, ricordate? Le facevo scivolare nella tasca del grembiule ogni volta che passavo di là, le portavo nella mia stanza e le nascondevo nel materasso. Impiegai dieci settimane per tirarle fuori tutte dalla vetrina. Ricordate quante erano?! E loro non si accorsero di nulla. Avevano troppe cose da fare, erano troppo impegnati con gli oggetti più importanti: i dipinti del barone e il servizio rifinito in oro zecchino chiuso nella cassaforte, le credenze del salotto, le statuette, tutti i gioielli di vostra madre. I vecchi libri che il barone amava tanto. Non fecero caso ai ninnoli. Così li salvai tutti. Li infilai nel materasso e ci dormii sopra. Ora che siete tornata, ho qualcosa da restituirvi». Nel dicembre del 1945, Anna consegna a Elisabeth 264 netsuke giapponesi. (…)
Il cachi, il cervo in avorio, i vari topolini e l’accalappiatopi, le maschere che adorava quando aveva sei anni, e tutto il resto di quell’universo, Elisabeth li infila in una valigetta di pelle, e li porta con sé in Inghilterra. Non conosco nemmeno il nome di Anna, né so che fine abbia fatto. Non mi è mai venuto in mente di chiedere, quando avrei potuto. Lei era, semplicemente, Anna.
[a cura di Paolo Soraci] Tutto chiaro, no? Da un lato delinquenti, ladri, topi d’appartamento, specialisti che agiscono magari su ordinazione, acrobati che si insinuano in ricche magioni o guardatissimi musei (ah, Topkapi!) o maghi della lancia termica. Dall’altro, uomini in uniforme che indagano, perseguono, restituiscono il maltolto. Vero, ma solo in parte. Le regge […]